Guardo le foglie che cadono stando seduto su di un masso, umido. Non faccio nemmeno caso al cane che corre dentro al bosco, tartufo a terra, cercando di evitare al meglio le spine dei rovi più duri.
Mi chiedo perché mi trovo qui, questa mattina. Il fucile appoggiato scarico alle ginocchia, il bavero alzato, lo sguardo nel vuoto; ad inseguire quella scia d’aereo che si disegna in cielo.
Il cane, povera bestia, corre a perdifiato, esplora, mi viene a cercare, quasi m’implora di seguirlo.
E me ne sto lì, seduto su quel masso umido sordo a tutti i richiami.
I miei occhi, umidi e arrossati, sono assenti; spaziano gli angoli di prato che furon teatro di giornate indimenticabili, di frulli di beccacce, di voli di tordi e colombacci.
Anni fa il mese d’ottobre era consacrato alle alzatacce; quante le smoccolature indirizzate alla sveglia che si permetteva di rompere anche quando ero in festa dal lavoro, ma aveva un ordine e doveva rispettarlo.
Che ricordo meraviglioso quello che ora mi fa tendere la mano per poi raccoglierla a pugno, come facevo intorno alla tazza del cappuccino bollente, sorseggiato in quell'autogrill, in compagnia di mio Padre; mentre Lui si affaccendava a scegliere tra gli scaffali due, a volte tre, tavolette di cioccolata che avremmo divorato per combattere il vento freddo della Tramontana.
Una nuvola a forma di farfalla, nasconde appena il sole rinato da poco; i raggi dell’astro paiono disegnati tutt'attorno alle ali di quell'immenso insetto vaporoso.
Quattro tordi si stagliano veloci in mezzo a quell'immagine stupenda; li guardo senza nemmeno scompormi, passano veloci zirlando sulla mia testa, li seguo un poco con lo sguardo poi, quando non sono altro che quattro puntini informi odo un colpo che pare lontano, quasi ovattato; uno dei quattro uccelli chiude le sue ali per l’ultima volta.
Mi accorgo che mi da fastidio, eppure appoggiato sulle mie gambe c’è un fucile, ma sono seduto su questo masso umido e la mia arma è scarica ed il cane ora si è coricato sull'erba davanti a me.
Mi chiedo ancora perché mi trovo qui questa mattina.
Le ali della farfalla si sono disciolte, svanite nell'aria sospinte dal vento ed ora il sole mi scalda le guance, asciugando la lacrima che mi riga il volto.Il cane capisce, e silenzioso si allontana un poco, per fare pipì, poi ritorna, mi lecca la mano e si siede guardandomi negli occhi; lo vedo a malapena.
Il vento si è calmato, si odono spari in lontananza, ma nelle mie orecchie, c’è solo il fischio di richiamo di mio Padre, che faceva quando voleva accertarsi che io fossi sempre al mio posto; un fischio particolare che non scorderò mai più.
Due, poi tre, poi altri due tordi mi passano di poco a lato, avrei potuto tirare con tutta calma, ma me ne sto seduto su questo masso, con il fucile appoggiato alle gambe.
Lo vedo distintamente, appoggiato a quella quercia, sempre quella, mentre si sbuccia la mela quotidiana e gli uccelli passano sbeffeggiandolo; solo dopo molte volte mi accorsi che la cosa era voluta: lasciava che i volatili venissero a tiro del mio fucile. Lo faceva perché io sparassi, a Lui importava solo che io fossi felice. Ero giovane ed esuberante, avrei fuso le canne se avessi potuto.
Altri spari, un uomo mi si avvicina a passo lento, il fucile a tracolla, quasi ha timore ad avvicinarsi mi guarda, lo guardo e senza parlare forse capisce; voleva accertarsi che io stessi bene. Non mi chiede nemmeno se ho qualche problema all'arma o se il cane sta male; incrociamo gli occhi e questo basta. Forse per non fare la figura dell’impiccione, mi chiede se ho del fuoco per accendersi una sigaretta. Distinguo benissimo l’accendino messo nel pacchetto insieme alle sue bionde.
Poi si allontana e ritorna alla sua parata.
Si affollano i pensieri, i ricordi. Ricordi fatti di giornate meravigliose passate insieme e anche di litigi per il diverso modo di vedere alcune cose. Bellissimo il rapporto che avevo con il mio vecchio; fatto di complicità, di sfide, di generazioni diverse ma unite.
Ricordo ogni istante dei suoi ultimi sei anni di sofferenza, della mia sofferenza per sentirmi impotente davanti al male, a quel destino maledetto che me lo ha portato via in questo modo.
E non ho potuto e saputo fare nulla di più. Sarà anche colpa mia? Avrò fatto abbastanza ?
Avrò mirato bene a quell'uccellaccio nero?
Non lo saprò mai.
La farfalla si è dissolta definitivamente, l’uomo della sigaretta si è allontanato con i suoi pensieri.
Il cane continua a guardarmi, non ha fatto in tempo ad essere servito dal fucile di mio Padre, non era nemmeno nato, non può capire; sa solo che è giunta l’ora di farmi rivivere e con un potente abbaio che sa di monito mi richiama all'ordine. Finalmente mi decido di seguirlo, ma devo camminare poco, alla base della vecchia quercia si blocca in ferma. Una bellissima Beccaccia si alza lenta in volo.Sparo per istinto e poco dopo pettino le sue meravigliose piume.
Mentre accarezzo commosso la testa del mio amico, un’altra farfalla si disegna in alto, altri due Tordi svolazzano veloci sulla mia testa zirlando.
L’uomo della sigaretta mi grida un "bravo bel tiro"
Mi allontano in direzione della macchina, inviando all'uomo della sigaretta un saluto con la mano ed un grazie che solo io sento. Lui contraccambia senza dire altro
Lungo il sentiero mi pare di sentire quel fischio che non scorderò mai; mi volto di scatto,
è solo un merlo che vola rasoterra tra un cespuglio e l’altro.Lo seguo con lo sguardo e mi scappa da ridere
Accarezzo ancora la Beccaccia ed il cane. Dedicato a mio padre
Renzo Stella
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