Uno spettro si aggira per l'Europa. Secondo le tante cassandre di casa nostra è l'uccello migratore. Non passa giorno che parta una denuncia, ovviamente indovinate contro chi? E ovviamente, i tanti pecoroni della politica, nazionale e locale, danno fiato a chi - ispirato non si sa da chi, ma personalmente un'idea me la sono fatta - calvalca la protesta per dirottare l'attenzione dai ben più gravi problemi, ambientali ma anche economico-ambientali, che dovrebbero preoccupare i nostri governanti, l'opinione pubblica e soprattutto pantalone, visto che continuiamo a pagare come banchi, più o meno in silenzio, per infrazioni ai dispositivi comunitari non certo commesse dai cacciatori. Punto.
Già dopo la pubblicazione dei risultati dell'analisi dei tesserini venatori effettuata da Ispra, c'è chi strumentalizza o da una parte o dall'altra, la frammentarietà dei dati. Dati che secondo me, e secondo altri ben più accreditati di me, danno invece un'idea chiarissima del fatto che che gli uccelli che vivono, sostano o semplicemente transitano sul suolo patrio godrebbero di ottima salute. Almeno se collegati alle cause di caccia.
Una riprova? Basterebbe fare dei semplici raffronti fra i diversi documenti scientifici prodotti da Ispra, molti guarda caso dandone incarico a Lipu (che essendo la lega per la protezione degli uccelli, ha interesse a dimostrare che gli uccelli stanno male), che registrano le popolazioni di uccelli nidificanti - colombaccio e tordo, fra i più cacciati secondo i dati raccolti dai tesserini di caccia, godono ad esempio di ottimissima salute - o che danno un'idea complessiva delle masse migranti che si spostano nell'areale del paleartico occidentale da una stagione all'altra.
Un esercizio, quello che ho fatto in questi giorni, che volendo tutti possono fare andandosi a leggere i documenti sul sito del Ministero dell'Ambiente, da cui qualsiasi persona di buon senso può capire come certi allarmi a carico dell'attività venatoria nostrana siano del tutto ingiustificati.
Provo a spiegare. Secondo i dati dei tesserini, citati nel comunicato Ispra, il totale dei soggetti incarnierati (circa due milioni di uccelli, in relazione al 45% del territorio nazionale; ovvero quattromilioniemmezzo circa valutando il totale dei prelievi) porta a una media di poco più di sei capi per cacciatore in un anno, tenendo conto che almeno in parte nel carniere sono finiti in abbondanza anche specie stanziali come il fagiano, la cui presenza dipende esclusivamente dai cacciatori e a prescindere da qualsiasi altro intervento di matrice ideologica (alludo agli ambientalisti); per cui sono anche meno. E tenendo conto che malgrado tutte le restrizioni, si potrebbe uscire a caccia almeno una cinquantina di volte a stagione, con alti e bassi secondo il periodo.
E allora, provando a scendere nel dettaglio - i dati macro sono ricavati da stime Lipu - il rapporto fra prelievi e patrimonio ornitico nell'areale varia da meno di 1/1000 (meno di uno su mille) per il fischione, o per il tordo sassello, a 1/1600 circa per l'allodola. A 1/1500 per la pavoncella. Insomma, un'inezia se si pensa all'enorme capitale avifaunistico su cui si può contare. Tanto per dare un'idea, le popolazioni di specie svernanti in Europa (e cacciabili in Italia) - sempre secondo stime Lipu - ammontano a più di ottocento milioni di individui con le ali.
Se poi, andando a spigolare, volessimo far presente ai nostri estimatori eccelsi della consistenza di altre popolazioni di specie altrove cacciabili, o un tempo non lontano cacciabili dalle nostre parti, scopriremmo che avremmo a disposizione anche sedici milioni di prispoloni e di altrettante pispole, cinquanta milioni di capinere, venti milioni di rigogoli, trentaquattro milioni di storni - si, di storni - quasi duecento milioni di passeri. E il fringuello, chiederanno tutti? Nel territorio della Unione Europea secondo la Lipu ce ne sarebbero 125 milioni di coppie (più 15 milioni di coppie di frosoni in tutto l'areale). Fate un po' i conti voi.
Conclusioni. Secondo me, ovvie. Per quello che riguarda l'incidenza della caccia, nel popolo dei migratori stanno tutti bene. Le minacce, quando ci sono, quando sono evidenti, provengono da un altrove ben definito. Lo sappiamo tutti, lo leggiamo in tutti i rapporti, e corrisponde nove casi su dieci alle aggressioni alla natura e al territorio (agricoltura industrializzata, veleni, cementificazione, cambiamenti climatici. Perdipiù, in una realtà vasta che abbraccia tutto un continente, l'attività venatoria che si esercita nel nostro paese non è assolutamente influente. Chi conosce anche solamente l'abc dell'ecologia lo capisce benisssimo. Perdipiù, nel nostro paese da decenni l'attività venatoria è interdetta su circa un terzo del territorio (in alcune aree del centro-sud si arriva anche al 70%). In tutto il resto è rigorosamente regolamentata. Dovrebbe essere una garanzia anche per l'anticaccia più becero.
In ogni caso, a rigor di logica, i dati che emergono dalle ormai innumerevoli ricerche, alle quali si aggiunge (seppur ignorata senza alcuna ragione dalla scienza ufficiale) un altra infinita massa di ineccepibili documentazioni raccolte dalle organizzazioni di ricerca sostenute dai cacciatori, questi dati ci dicono che i Key Concept sono assolutamente inattendibili e che anche i limiti di carniere imposti dalle disposizioni regionali (su "ordine" di Ispra) sono asolutamente ingiustificati.
Che vogliamo fare?
Vito Rubini