E' noto a tutti che la bravura di un cane da ferma è il frutto della sinergia tra doti genetiche e ambiente faunistico di iniziazione ma non tutti sanno che è quest'ultimo che determina la "resa venatoria" del cane adulto.
Per questa ragione nella mia lunga esperienza (allevo personalmente i cani con i quali caccio, in quanto credo che il cane da lavoro debba possedere caratteri specifici), ho sempre iniziato i cuccioloni sulle starne naturali, secondo me insostituibili per la formazione di base del cucciolo.
Quando nel Lazio a metà degli anni '70, le starne naturali si sono estinte, ho avuto la fortuna di trovare nelle sterminate steppe dell'Est Europa (dove le starne naturali sono ancora presenti, ma non abbondanti), un paradiso per tutte le attività cinofile.
Queste note sintetizzano le straordinarie esperienze fatte in quell'ambiente, sopratutto in riferimento alla maturazione del cane da lavoro con la speciale avvertenza che i fatti riportati valgono solo per l'ambiente e per i cani che (circa 100) ho sperimentato.
Va premesso che la steppa è una pianura incolta, omogenea e sconfinata, quasi priva di vegetazione, dove le starne (irregolarmente distribuite e più erratiche che sedentarie) sono in grado di scorgere già da molto lontano ogni potenziale pericolo, difendendosi o con il volo precoce o con una veloce fuga di piede.
In queste condizioni estreme, il lavoro di un cane da ferma, (iniziato altrove), anche se esperto e di eccellente qualità è quasi inutile, tanto che i locali cacciano le starne "alla levata" stringendole in grandi semicerchi di 10/15 cacciatori.
Secondo ogni logica un ambiente così sfavorevole, parrebbe del tutto inadatto alla iniziazione dei cuccioloni, ma con grande sorpresa ho constatato che accade il contrario.
Quasi tutti i cuccioloni (di buon sangue) dopo appena 30/40 uscite consecutive nella steppa, sviluppano tutte le loro potenzionalità genetiche, conseguendo con una completa maturità, e tutte le doti venatorie fondamentali (senso del selvatico, facilità di incontri, ampiezza di cerca, sensibilità nel fermare il selvatico alla distanza “giusta”, scelta assai difficile perché troppo vicino si invola, troppo lontano si sottrae “di piede”).
Il tutto, senza alcuna necessità di pressioni didattiche o addestrative da parte del padrone! (soprattutto se il cucciolo è stato allevato e tenuto in casa del padrone).
Ogni esperto cinofilo, troverà sorprendente che in un tempo così breve e in circostanze così sfavorevoli un cucciolone possa acquisire una tecnica venatoria adatta a trattare animali tanto diffidenti (in Italia un cucciolone maturo dopo 2 o 3 stagioni caccia!).
E la tecnica venatoria, (da cui dipende la “resa venatoria”), non si può apprendere né per imitazione dei più esperti, né per insegnamento, né per trasmissione ereditaria, ma deve essere acquisita dal cucciolone, sfruttando quelle capacità cognitive, che gli consentono di immagazzinare le esperienze significative, selezionare le reazioni più adatte ad ogni situazione, memorizzarle in modo stabile e definitivo, per effetto di una stabilizzazione sinoptica selettiva (analoga “all'imprinting” neonatale studiato da K. Lorenz), così da renderle stabili per sempre.
Per spiegare, la velocità del processo di maturazione che presuppone una elevata capacità di apprendimento per metabolizzare le esperienze e adottare comportamenti efficaci occorre sapere che l'ambiente di iniziazione innesca una spirale virtuosa di eventi sinergici.
In proposito occorre ricordare che neurologi ed etologi ritengono che il cervello del cane sia (nel “periodo sensibile” che dura fino ai 20/24 mesi di età) un organo plastico, con un sinaptogenesi il cui sviluppo è direttamente influenzato dalla qualità e dalla quantità delle esperienze ambientali.
Per ciò queste ultime (le steppe) sono in grado di dimensionare struttura e funzioni dell'apparato neuronale e quindi la capacità di apprendimento, ecco perché, le difficoltà ambientali determinano lo sviluppo di capacità cognitive adeguate, e per conseguenza adeguata tecnica venatoria, influendo direttamente e indirettamente sia sul cane che sul cacciatore.
Nella steppa le starne sono irregolarmente posizionate in spazi assai estesi, e solo un cane di grande cerca e di buona qualità è in grado di individuarle e fermarle.
Il cucciolone capisce per istinto che allargando la cerca aumenta le possibilità di incontro, incoraggiato dall'essere sempre collegato (a vista) con il padrone, il quale si astiene da qualunque richiamo o intervento, che possa limitarne l'iniziativa.
Libero di dare sfogo all'istinto venatorio il cucciolone nel misurarsi con le difficoltà dell'ambiente può far conto solo sulle sue risorse di cui sviluppa ogni potenzialità.
In un certo senso il cucciolone viene a trovarsi nelle stesse condizioni in cui in natura si trovava il predatore carnivoro da cui discende, la cui sopravvivenza dipendeva dall'esito della caccia.
La lotta per la vita tra prede e predatori si inserisce in un disegno complesso, nel quale i valori evolutivi che presiedono all'autoconservazione (evolutasi per selezione naturale dei più adatti) coevolvono secondo strategie di compatibilità, per mantenere l'equilibrio che se troppo alterato porterebbe all'estinzione di una delle specie.
Questo spiega come alla scaltrezza della preda, il predatore risponde con corrispondente astuzia.
Il processo di precoce maturazione del cucciolone, è prevalentemente legato all'ambiente, ma è reso possibile dall'assenza di interferenze didattiche e addestratore da parte del cacciatore che ostacolano la concentrazione del cane impegnato in un compito che lo assorbe completamente.
Enrico Fenoaltea