Un paio di decenni fa, forse anche di più, quando Ambrosetti era già Ambrosetti, ma Cernobbio come centro “universale” di riflessione e propulsione di progetti economici e sociali doveva ancora decollare, il mondo della caccia ebbe modo di valutare un progettino, elaborato dallo Studio Ambrosetti medesimo, che con poche risorse e un’esperienza e una competenza che oggi tutta l’Europa ammira avrebbe portato questa nostra attività a relazionare alla pari con i massimi sistemi della società italiana e internazionale.
Non ne fu fatto di niente, purtroppo, e quindi, come diceva un mio vecchio amico, meglio lasciar perdere, senza minimamente recriminare. Perché ovviamente, almeno allora, i tempi non erano – per noi – maturi.
Qualche anno dopo, però, questa opportunità la colse Coldiretti, prima organizzazione agricola che aveva percepito l’incalzare dei tempi e sentiva il bisogno di collegarsi con realtà in profondo divenire. N’è passata di acqua sotto i ponti, la società è radicalmente cambiata, ma i beni e le esigenze primarie – il cibo, la salute, l’aria pulita, il bisogno di stare insieme in armonia – sono rimasti in cima ai nostri pensieri. E Coldiretti, non solo grazie a Cernobbio, anno dopo anno, traccia un solco che la pone su un osservatorio privilegiato, di prospettiva, sui problemi dell’agricoltura, dell’ambiente, del benessere delle persone.
Quest’anno, al Forum dell’agricoltura e dell’alimentazione di Cernobbio, alla presenza del gotha della politica e dell’economia, Coldiretti ha stupito con effetti speciali, per mettere in evidenza le storture di un sistema produttivo e commerciale degli alimenti, che oltre a penalizzarci economicamente, porta danni alla nostra salute e rende sempre più precaria la nostra qualità della vita. Ma ha anche lanciato un messaggio che, volendone parafrasare molti dei contenuti, potrebbe tornare giusto anche per noi della caccia. Ammesso che ci sia consentito confrontare i nostri temi con quelli del futuro del mondo.
Con il titolo “Ecco l’Italia che vogliamo”, Sergio Marini ha sollecitato all’attenzione della platea reale e multimediale una serie di raccomandazioni che spaziano dalla globalizzazione senza regole fino ai comportamenti dei singoli e delle comunità.
Provo a citarne qualche stralcio, con l’intento di provocare qualche riflessione comparativa, su cui si potrà, in seguito, se lo vorremo, individuare percorsi virtuosi.
“Più Europa. E’ necessario lavorare alacremente alla costruzione degli Stati Uniti di Europa, dotando l’Unione di forti istituzioni politiche elette democraticamente, capaci di orientare sia il cammino di integrazione iniziato, che di ricondurre le spinte disgreganti in atto”….”Dobbiamo essere in grado di portare pienamente l’Italia in Europa, facendo sì che la nuova Politica […] Comunitaria riconosca il valore [..] del “modello italiano” e le sue straordinarie peculiarità, consentendo che esso diventi patrimonio della comunità contaminando virtuosamente il pensiero comunitario”.
“L’Italia, una, sussidiaria e solidale: …nel contesto di un necessario contrappunto federale il valore della sussidiarietà diventa strumento cardine per gestire la semplificazione burocratica e i principi di solidarietà sono indispensabili per superare le diseguaglianze....
“I nostri punti di forza: Gli assets su cui il nostro Paese può e deve puntare, sono di natura materiale e immateriale: patrimonio storico ed artistico, paesaggio, biodiversità, ricchissima articolazione territoriale, originalità e creatività, gusto e passione, intuito e buonsenso. Accanto a questi fattori, siamo stati capaci di sviluppare nel tempo un capitale sociale che rimane fortissimo; resta viva una forte capacità di relazionarci e di fare comunità, di innovare mantenendo in vita saperi antichi. Risorse che appartengono al Dna del Paese e che garantiscono quel valore aggiunto inimitabile e non delocalizzabile.”
“L’Italia che fa l’Italia: “L’Italia e il suo futuro sono legati […] alla capacità di tornare a fare l’Italia, imboccando intelligentemente la strada di un nuovo modello di sviluppo che trae nutrimento dal […] valore materiale e immateriale della distintività italiana e nel rafforzare il nostro saper “fare rete”.
“Le politiche necessarie: Per accompagnare la crescita, abbiamo bisogno di “buona politica” e ciò significa in primo luogo il ritorno a funzioni di mediazione intelligente fra ceti e interessi distinti e contrastanti ai fini di perseguire un più ampio interesse di carattere generale, ciò che si definisce “bene comune”. “Alla politica, fortemente deficitaria, chiediamo un’operazione coraggiosa di verità, giustizia e legalità, aspetti la cui declinazione è diventata in questi anni via via più opaca”.
“Il benessere [diffuso, n.d.r.]: E’ tempo di ripensare lo sviluppo in una logica di benessere secondo principi di sostenibilità, etica […] e coesione sociale. [Per questo, n.d.r.] c’è la cultura dei territori, la tipicità e la creatività di tutta la gente che l’ha generata. […]. C’è la qualità e la diversificazione assicurata dalla lotta continua che facciamo per difendere la biodiversità…”.
9. Il valore della comunità: “La crisi ci ha fatto riflettere sulla necessità di investire su alcuni valori, che sono anche essi durevoli, continuativi, che non conoscono erosione: la socialità, l’amicizia, la famiglia, lo stare bene assieme, la spiritualità nelle sue varie espressioni culturali e religiose, la solidarietà. Nella “prossimità”, che è elemento fondante della comunità, c’è l’essenza, il concetto base del modello di sviluppo verso cui dobbiamo tendere; c’è la chiave, per potersi integrare nel mare della globalizzazione senza smarrirsi, conservando la solidità e la coerenza dei nostri modelli identitari e valoriali”.
“Etica prima di tutto: Una molteplicità di episodi in questi anni e mesi ha messo pesantemente a nudo le debolezze del ceto politico nazionale e locale. Ciò da un lato ha generato una diffusa indignazione all’interno dell’opinione pubblica, dall’altro ha dato vita a forme, movimenti e pulsioni di sapore antipolitico”. “Tutto ciò - e si tratta di un problema non trascurabile - rischia di produrre un meccanismo di rimozione individuale: se la colpa è degli “altri”, le persone nel loro quotidiano agire finiscono per sciogliersi da quelle responsabilità che pure hanno e dovrebbero esercitare nella sfera pubblica e in quella privata. Se tuttavia in questi anni c’è stato un venir meno dei valori di trasparenza, di verità, di assunzione di responsabilità ciò, in taluni casi, ha investito anche le forze di rappresentanza. A volte, infatti, è accaduto che esse abbiano espresso scarsa progettualità, bassa propensione a rischiare, incapacità di essere punto di riferimento esemplare per i loro associati, che siano rimaste prigioniere di logiche legate a rendite corporative. Ma soprattutto ci è parso che esse non abbiano saputo fuoriuscire dalla logica schiacciante del “presente” e a configurare quella proiezione in chiave futura di cui il Paese ha bisogno. Che ciò sia il riflesso di una più generale miopia e assenza di lungimiranza della classe politica, non è motivo di consolazione”.
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Ecco, che ne dite? Lasciando per un momento da parte le conflittualità interassociative, che peraltro come sappiamo non sono caratteristica esclusiva del mondo della caccia, evitando di addentrarsi nei meandri delle specie migratorie in declino e di quelle in crescita, dei modi e dei tempi con cui esercitare la nostra passione, non pensate che forse, se partissimo da questi principi, che sottendono – badate bene – anche una chiara autocritica, cominceremmo a percorrere un cammino che potrebbe portarci non dico molto lontano, ma sicuramente ci aprirebbe la mente verso l’unificazione di intenti (l’associazione unica potrebbe maturare di conseguenza), verso una revisione dei rapporti fra categorie e con la società, verso una rappacificazione interna e – lasciatemelo dire – una visione diversa, più aperta, più attuale e più efficace del nostro essere cacciatori, sensibili gestori di un territorio che per generazioni abbiamo contribuito a consolidare? Cultori di un’attività che potrebbe di nuovo assurgere a modello di comportamento civile e sociale.
Giuliano Incerpi
PS.Chiedo di nuovo venia per l’ardito pensiero di assoggettare alle cose della caccia un messaggio che ha sapore ecumenico e indica valori universali.