Alla faccia di chi ci vuole male, tanto per andare sull'ormai consolidato slogan televisivo, anche quest'anno ci ritroviamo alla vigilia dell'apertura.
Poteva andare meglio, la 157 non è ancora stata riformata, ma poteva andare anche peggio. Certe campagne di stampa piene di menzogne, alimentate a dismisura dallo sguaiato starnazzo di oche da strapazzo, hanno fatto sì che tutto il nostro impegno di cacciatori sia stato adoperato per ristabilire un minimo di verità. Speriamo che i prossimi mesi siano più ricchi di buone notizie.
La prima, che nessuno potrà censurare, è che andremo a caccia con la speranza nel cuore. La seconda è che a questa speranza vogliamo con determinazione collegarci l'augurio che finalmente, sopiti i bollenti spiriti delle frange più esagitate, ristabilita un minimo di equità su come stanno le cose anche in fatto di normative presenti e future, si possano affrontare i nodi di una congiuntura che stenta a mettere a fuoco i problemi veri che ci preoccupano. E non è certo con la revisione dei tempi di caccia e delle specie cacciabili che li risolveremo.
Il nostro problema principale è quello di trovare un'intesa con l'opinione pubblica. Non è vero che il novanta per cento degli italiani vorrebbe chiudere la caccia. Sciocco chi lo dice, sciocco chi ci crede. Sciocco, o forse in malafede, anche chi sventola lo spauracchio del referendum. Che peraltro, cambiati gli attori, alcuni del tutto singolari e fuori ruolo, non mira alla chiusura della caccia, ma alla sua PRIVATIZZAZIONE. Niente di male, se la cosa la si guarda da una prospettiva europea o planetaria.
Quasi ovunque, la caccia è privatizzata. Ma da noi no. E' quasi un secolo, ormai, che in Italia pratichiamo questa passione antica come il mondo, sulla base di un principio che rende giustizia sia ai cacciatori (oggi, con gli ATC, veri e propri – se non unici – gestori del patrimonio faunistico e ambientale) sia agli agricoltori, che fra aree protette, aziende di produzione, fondi chiusi, rimborsi, distanze regolamentari e limiti di varia altra natura (vedi ZPS) possono andare ragionevolmente soddisfatti.
Tuttavia, sarebbe sciocco pensare che i problemi della caccia possano trovare soluzione solo facendo i conti in casa nostra. Non è così, purtroppo. Il mondo è cambiato. Se prima eravamo solo noi a frequentare boschi montagne e campagne, oggi dobbiamo condividere queste nostre gioie anche con altri fruitori. E soprattutto, nell'era della telematica, anche chi sta comodamente seduto in poltrona davanti al televisore si sente in diritto di dire la sua sulle cose del mondo, compreso sulla salvaguardia dell'ambiente e sul benessere della fauna selvatica. Sta a noi, quindi, che in campagna sappiamo cosa c'è e come funziona, che per il benessere della fauna selvatica ci adoperiamo più di chiunque altro, sta a noi far sapere agli altri, agli sprovveduti che bevono anche le peggiori fandonie televisive, che non siamo come ci descrivono, che prima di quella fucilata che può inorridire qualche anima candida, c'è un impegno e una dedizione che nessun'altro profonde in egual misura a vantaggio di quella ricchezza di selvaggina che in molti ci invidiano e di cui tutti, cacciatori e non cacciatori, andiamo fieri.
Non c'è dubbio. I nostri avversari sono più bravi di noi a usare i moderni strumenti della comunicazione. E spesso lo fanno in maniera vigliacca. Facendo apparire la caccia come il peggiore dei mali sulla terra. Ovviamente, noi lo sappiamo, non è così. Il problema, però, è farlo capire. E noi, ancora non ci siamo riusciti. O almeno, loro, gli altri, sono stati più capaci di noi a far prevalere le loro stupidaggini. A volte con la complicità della politica, a volte con l'aiuto di quinte colonne. A volte, purtroppo, anche grazie a nostri maldestri comportamenti.
Come fare, allora? Chi lo sa! Le vie della comunicazione sono infinite. E l'efficacia della cura purtroppo si misura solo dal risultato. Se l'obiettivo è stato raggiunto, vuol dire che abbiamo fatto la scelta giusta. Se invece è andata male, vuol dire che abbiamo perso tempo e sprecato risorse.
Quello che non dobbiamo fare, è ormai chiaro!, è continuare a litigare fra di noi. E a dare fiato a tutti coloro che fomentano divisioni, o che professano la volontà di una unificazione, sì, ma secondo i propri principi, le proprie soggettivissime aspettative. E soprattutto, in una società aperta, che nonostante residue e pelose velleità di imbrigliare e orientare l'informazione può contare sempre di più nella cosiddetta “rete”, che non ha né distanze né barriere.
Cerchiamo fra di noi il massimo punto di condivisione, consolidiamolo, mettiamo da parte gli elementi di contrasto e presentiamoci uniti sul principio (primo e unico: il diritto alla caccia) e su poche o tante cose concrete nel confronto con i nostri interlocutori: la società nel suo insieme, articolata nelle sue specifiche espressioni. Le rappresentanze politiche, le categorie (gli agricoltori prima di tutto), l'opinione pubblica. Usiamo linguaggi consoni al momento.
Nessuno, tranne noi, è in grado di capire certe rivendicazioni bollate come corporative. Tutti saranno in grado di capire che se ci sono i caprioli è perchè noi abbiamo provveduto con rigore e impegno a far si che ci fossero. Se passano ancora le anatre, è perchè le nostre aree palustri sono curate da noi, tutto l'anno, non solo nella breve, brevissima stagione di caccia. Anche quelle in cui la caccia non viene esercitata. Se i colombacci e i tordi svernano, non è per merito degli anticaccia, ma grazie a una gestione continuativa del territorio, grazie della collaborazione fra cacciatori e agricoltori.
C'è bisogno, anche, diciamocelo, di rinverdire le nostre schiere. Contrariamente ai sondaggi, la statistica, aldilà del paradosso di Trilussa, non è un'opinione. Abbiamo bisogno di giovani. Tanti. Tantissimi. Abbiamo bisogno di un nuovo modo di interpretare la società. L'opinione generale, si sa, è orientata non solo dalla qualità dei cervelli, ma anche dalla quantità degli stessi. In Italia, forse per problemi di origine sociale, più della metà dei nostri concittadini è di genere FEMMINILE.
Per ora, a caccia, abbiamo si e no un tre per cento di donne. Se guardiamo agli Stati Uniti, il paese a società avanzata, moderna, per antonomasia, sono una donna ogni quattro. Basta affacciarsi su Facebook per rendersene conto. Abbiamo bisogno di gente che sappia utilizzare i nuovi mezzi di comunicazione, non solo come strumenti, ma per quello che di innovativo, rivoluzionario, essi rappresentano nella comunicazione, nel linguaggio, nel modo di vivere. Siamo il paese col maggior numero di telefonini, ma siamo ancora indietro quanto a personal computer. Soprattutto, i nostri cacciatori sono fra i meno rappresentati nella schiera di coloro che ordinariamente frequentano la rete. Abbiamo bisogno di elaborare un nuovo pensiero. Che sappia almeno capire le ragioni di tanta avversione e riesca a elaborare metodi e argomenti non solo per controbattervi, ma che sia anche in grado di anticipare certi orientamenti ostili.
C'è bisogno, quindi, di vivere nel moderno, per sostenere la nostra cultura, le nostre tradizioni, il nostro modo di essere.
Un suggerimento, anzi due. Perchè le nostre associazioni venatorie non istituiscono una TESSERA JUNIOR (magari unitaria, in quella prospettiva da tutti auspicata) da assegnare senza limiti di età ai minori di sedici anni, figli e nipoti di cacciatori o di simpatizzanti della caccia, collegandovi un progetto educativo, alternativo alle baggianate di profilo disneiano? Perchè, sempre per favorire un percorso unificatorio, le stesse associazioni non provano a individuare una tessera GIOVANI, unica, per cacciatori sotto i trentacinque anni, al fine di favorire un ricambio nella classe dirigente (quando sarà il momento, per carità, senza minacciare la poltrona di nessuno) con personale che nel frattempo si abitui a elaborare politiche al passo con il secolo?
Big Hunter, che anche quest'anno per l'apertura presenta un nuovo bellissimo catalogo che coniuga sapientemente tradizione e innovazione, cultura e tecnologia, persegue da tempo, da alcuni anni anche col portale www.bighunter.it, gli obiettivi richiamati in questi modestissimi appunti. Sarebbe bello che a questo impegno si affiancassero forze e volontà largamente diffuse.