Giorni fa, scorrendo i siti anticaccia, ho scoperto che - con i tempi che corrono - sulla home-page della LIPU, tra le "ultime notizie", tre su sei erano contro la caccia e i cacciatori. Mah. C'è proprio da chiedersi: ma in che paese viviamo?
Poi, incuriosito, ho provato ad esaminare tutti i contenuti di quel sito e con curiosità ho aperto il link de La Nuova Lista Rossa degli Uccelli in Italia. Relativa ai soli nidificanti, badiamo bene, anche se, stranamente, nel titolo questa parola - nidificanti - non era riportata. Un lavoro commissionato dal Ministero dell'Ambiente (UICN-Italia) e Federparchi, realizzato praticamente da LIPU-Birdlife-IT e Ispra, in parte con i dati del Ministero dell'Agricoltura (Progetto Farmland Bird Index, a suo tempo affidato peraltro alla stessa Lipu).
Naturalmente me lo sono letto. Prima scoperta, questo testo virgolettato: "La principale minaccia per gli uccelli nidificanti in Italia è rappresentata dal cambiamento dei sistemi naturali, seguito da inquinamento, cambiamenti climatici, agricoltura e acquacoltura."
Davvero interessante, mi sono detto. E allora ho proseguito a leggere. E insisto col virgolettato: "Complessivamente quindi lo stato di conservazione degli uccelli nidificanti in Italia è migliorato, come confermato dall’aumento del Red List Index. Questo miglioramento si è osservato in tutti gli ambienti tranne che nelle praterie, dove l’indice è leggermente peggiorato tra il 2012 e il 2019. Le specie che frequentano ambienti marini sono quelle che hanno mostrato i progressi più significativi, mentre quelle di foresta sono quelle che in assoluto si trovano nello stato di conservazione migliore". E infine: " Per oltre 30 specie le minacce includono la categoria “uso delle risorse biologiche”, che include il bracconaggio. È tuttavia importante notare che il cambiamento climatico è una minaccia per un numero ancora maggiore di specie, specialmente nelle zone umide e nelle regioni montane in generale. L’aumento del numero di specie per le quali il cambiamento climatico rappresenta una minaccia può riflettere tanto una maggiore sensibilità riguardo i suoi effetti sulla biodiversità, quanto una maggiore conoscenza da parte dei ricercatori specializzati". Ancora più incuriosito da quel termine usato, bracconaggio, sono andato direttamente sulla RED LIST-UICN a verificare cosa si intendeva con "uso delle risorse biologiche", dove sorprendentemente insieme a quel termine ho trovato altre quattro voci e ben diciannove, dico diciannove, sottovoci. A dimostrazione di una certa tendenziosità, a mio parere, in chi ha scritto il commento al rapporto.
Ma andiamo avanti. La Red List, come tutti sappiamo, si chiama così perchè il "rosso" è segnale di pericolo. E la UICN segna in rosso le specie in cosiddetto "pericolo critico". La prima sorpresa, nello scorrere la lista (delle dieci specie in rosso) è che di specie oggetto di caccia non ce n'è neanche una. Le elenco: Voltolino, Schiribilla, Cormorano atlantico, Mignattino comune, Falco Pescatore, Gipeto, Capovaccaio, Forapaglie comune, Bigia padovana, Migliarino di palude. Segno più che evidente che le ragioni della loro grave diminuzione sono ben altre, piuttosoto che la caccia. Preciso di nuovo: nella nidificazione. Perchè di molte delle specie qui considerate in declino, nel periodo del passo se ne riempiono i cieli, e soprattutto le acque delle zone umide. Ma vorrei dire di più: Per la stragrande maggioranza delle specie che fino a qualche decennio fa erano cacciabili perchè considerate in diminuzione, ancora oggi non è cambiato granchè, a dimostrazione che le campagne di animalismo peloso (proposte come attività di protezione e di recupero di specie a rischio) condotte dalla LIPU e dalle altre organizzazioni anticaccia non hanno dato alcun frutto.
Perchè, ormai lo sanno anche i sassi e questo rapporto lo testimonia, la caccia non c'entra. Ben altre sono le cause e se le associazioni ambientaliste-animaliste avessero davvero a cuore l'oggetto dei loro principi, in questo ultimo mezzo secolo, invece che contro i cacciatori, avrebbero consumato le loro ugole contro le ragioni che oggi questo documento richiama: cambiamento dei sistemi naturali, inquinamento, cambiamenti climatici, agricoltura e acquacoltura.
E già che ci siamo, attingendo dalla stessa fonte, diamo ancora qualche altro ragguaglio.
Rispetto al 2012, nel 2019 le cose comunque vanno meglio: sei specie su 278 nidificanti in Italia hanno registrato un peggioramento, ma sedici non sono più a rischio.
Come si sapeva, ogni cacciatore che frequenta boschi e campagne lo sa da sempre, le specie che soffrono sono quelle legate all'agricoltura (ormai industria) e alle praterie montane: si parla di abbandono dei pascoli, ma non è da escludere l'antropizzazione turistica, estiva e invernale. Ne fanno le spese anche specie oggetto di caccia: il gallo forcello, la pernice bianca, la coturnice, che comunque, se ben gestite venatoriamente, ancora si difendono.
Insomma. Possibile che con tutti i problemi che hanno le specie selvatiche, soprattutto nelle aree di nidificazione (a caccia chiusa, dunque), si continui con questo "dagli all'untore" nei confronti dei cacciatori, quando ormai è chiaro che le cause di certi declini sono di tutt'altra provenienza?
Francesco Vassetti