C'è qualcosa di nuovo oggi nel cielo, anzi d'antico. Si, ma non sono gli aquiloni. E non saprei dire se l'aura che si percepisce è nuova o antica. Certamente non è di restaurazione. Semmai, a me pare un venticello leggero che annuncia una nuova stagione. Sono segnali, segni nell'aria, a dire il vero, che volendoli interpretare con un po' di ottimismo (sfido chiunque a non riconoscere che oggi ce n'è davvero bisogno) fanno sperare in un qualche ravvedimento collettivo.
Non sono aquiloni dunque quelli che librano di nuovo sopra le nostre zucche di cacciatori. No. Sono notizie. Sono fatti.
Il primo: i verdi europei, con un referendum online, alla maniera grillina, incoronano un personaggio ormai antico, Josè Bovè, che calca le scene prima francesi poi internazionali da una ventina d'anni, sventolando spauracchi alla maniera leghista, In difesa della sana società rurale. E piano piano ha fatto breccia nei cuori della gente. Anche perchè nel frattempo, in Europa, in Italia un po' meno ma ci stiamo arrivando anche qui, anche il più distratto ha capito che le politiche e le strategie radical-scic, salottiere, sfociate da tempo direttamente in un ambientalismo di maniera, altro non erano che uno strumento funzionale al mantenimento di un modello di sviluppo sciagurato e irresponsabile. Con la conseguenza, che ci troviamo oggi a comprare e vendere quote di C02, fra un governo e un altro del pianeta, come se fossero noccioline.
Si potrebbe dire che con l'intronazione di Bovè si sta assistendo al... vecchio che avanza, ma sarebbe un clamoroso errore, perchè il risultato di questa democrazia - definiamola - diretta è davvero clamoroso, rivoluzionario! Un allevatore, un amico dei pastori, che si richiama alla più classica delle società bucoliche, pastorali, appunto, espressione di una cultura ruspante, non indorata di sociologia sessantottina, al vertice dell'ecologismo europeo è proprio una sorpresa. Nessuno se lo sarebbe aspettato. M'immagino, lasciatemi godere di questo sano compiacimento, i Bonelli, i Pecoraro Scanio, i Pratesi, ma anche le Brambille, i Catanoso, le Giammanco sbigottiti, indispettiti, non solo per il fatto in sè, ma proprio perchè - conservatori nell'anima - non sono riusciti a capire in tempo utile che il vento stava cambiando.
Li vedo pertanto indaffarati, eterni saltimbanchi, campioni del triplo salto mortale dialettico, indaffarati a recuperare, per spiegare che sì, è logico, ce lo dovevamo aspettare. Insomma: "non ho capito, ma mi adeguo", come diceva quel veterocomunista da strapaese che era Maurizio Ferrini (Ricordate "Quelli della notte" di Arbore?). Cercheranno di riciclarsi per l'ennesima volta, i furbacchioni, e solo ed esclusivamente per....intercettare il vento che cambia. Non credo che ce la faranno.
Il secondo, l'ho letto tempo fa su BigHunter, è un altro fatto clamoroso ("Fatti, non pugnette...", diceva Paolo Cevoli-alias l'assessore Gangini, l'altro parodista di Zelig). L'Inghilterra, ormai allo sberleffo nei confronti dei Bleariani, anch'essi con la puzza sotto il naso dei pidocchi riunti, spocchiosi e ostili sia nei confronti degli aristocratici della Camera Alta, sia dei contadini e dei campagnoli, genuinamente ruspanti ma sani di corpo e di mente, l'Inghilterra delle campagne si riappropria di un vero e proprio must, quella caccia alla volpe che per una decina d'anni era stata vietata. Anche se, a dimostrazione del profondo legame con le tradizioni di questo popolo, dalla regina fino all'ultimo dei suoi sudditi, neanche Blair aveva avuto la forza di impedirla totalmente.
Secondo me sono cose importanti, che rimettono al centro dell'attenzione la "questione rurale". E se tutto questo succede in Francia e in Inghilterra, dove rural (il termine è lo stesso sia di qua che di là al Canale della Manica) è ancora un concetto fortemente apprezzato dal tessuto sociale delle due grandi nazioni, con un po' di pazienza si arriverà a riparlarne anche da noi.
Chissà che alla fine, non si riesca anche dalle nostre parti a far di nuovo intendere come sinonimi i due appellativi: "cacciatore" e "ambientalista". Come in passato, come succede in molte altre parti del mondo. Dove, anche famiglie reali e capi di stato non si fanno problemi a dichiararsi cacciatori appassionati, quando addirittura non tessono pubblicamente le lodi della categoria, protagonista assoluta nella tutela del patrimonio naturale.
Vito Rubini