Siamo i figli della Commedia, quella del nostro Dante, abitatori di pittoreschi gironi, dove usiamo collocare i nostri avversari, tutti coloro che ci stanno sulle scatole, che ci fanno invidia. Passata la Pasqua, superata la polemica brambilliana del sacrificio degli agnellini, non ci mancano certo gli argomenti per scagliarci contro qualcuno che ci vuole male, come diceva quel caro amico che ci ha lasciati l'anno scorso, ma anche per rialimentare quelle fruste polemiche che ci dividono fra di noi. Trascurando il fatto che mai come adesso ci sarebbe bisogno di unità, di sentirci tutti uniti, come un sol uomo, mi verrebbe da dire, ma più propriamente come un sol...cacciatore, visto che le infinite emergenze che ci affliggono (covid, guerre alle porte, crisi economica, peste suina...) rischiano di mettere in secondo piano le nostre aspettative. Approvato il decreto PSA per delimitare i focolai di peste suina, i nostri politici sembra si sentano appagati. Al massimo, per far vedere che si occupa ancora delle nostre cose, qualche partito promette di aprire un tavolo di lavoro. Qualcun altro, forse anche per altre ragioni, pensa di aumentare i prezzi dei prodotti da caccia, cartucce, fucili, per finanziare una campagna a sostegno del nostro mondo. Qualcun altro ancora, magari anche con giuste motivazioni, si lamenta perché si sente trascurato nella sua attività a favore di un ambientalismo a noi affine. Dimenticando, forse, che anche a nostro ipotetico sostegno ci sono tre o quattro associazioni ambientaliste riconosciute che purtroppo, però, agiscono in proprio, facendosi ovviamente concorrenza.
Eppure, recuperavo proprio in questi giorni dal web, se ci sono stati degli ambientalisti veri, fra l'altro, fra i fondatori di questo movimento assurto ormai a fenomeno planetario, questi non solo davano ampio riconoscimento alla cultura della caccia, ma erano loro stessi appassionati cacciatori. «… quando qualche amico mi ha chiesto ansiosamente se dovesse lasciare andare a caccia i suoi ragazzi – scriveva Henry David Thoreau, il padre dell'ambientalismo moderno – ho detto di sì – ricordando che la caccia era una delle parti migliori della mia educazione», concludendo che «… il cacciatore è il più grande amico degli animali che caccia, non esclusa la Società Umana».
Siamo fatti così, tutto il mondo è paese ci ricorda un vecchio detto, ma probabilmente noi italiani, cacciatori in prima linea, siamo ancor più determinati, eternamente divisi fra guelfi e ghibellini, e poi – sconfitti i ghibellini – fra guelfi bianchi e guelfi neri, secondo la più nota vulgata dell'Alighieri, appunto.
E invece…
Invece ci vorrebbe un leader carismatico, un capopopolo al di sopra delle fazioni, un "cacciatore celeste", una figura eponima capace di raccogliere intorno a sé queste nostre schiere di appassionati e guidarli nella sfida a un mondo, quello ormai egemone della cultura metropolitana, che non ci capisce, che ci osteggia, che mistifica con la propaganda la funzione, il ruolo che ancora noi possiamo vantare a favore della tutela dell'ambiente, della gestione del territorio, della conservazione del nostro patrimonio faunistico.
Ci vorrebbe un David, per contrastare quell'arrogante Golia, che minaccia le fondamenta della nostra tradizione. Una fionda fornita di pochi ma efficaci argomenti su cui tutti si possa essere d'accordo, e via così. Da qualche parte si deve cominciare. L'obiettivo è chiaro: prima della caccia, si devono salvare i nostri territori, il nostro paesaggio, i nostri borghi dall'assalto di una cultura aliena. E la nostra amata selvaggina. Prima o poi, qualcuno ce ne dovrà rendere merito.
Roberto Cantori
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