Sono alcuni giorni che, almeno al pomeriggio, riesco a liberarmi: riesco a liberarmi dai condizionamenti vacanzieri della mia piccola compagnia, dai suoi ombrelloni, dalle creme solari, dal guidare a destra e a sinistra, da una spiaggia all’altra, alla ricerca di un sempre meno probabile spazio privilegiato, ogni giorno più raro per l’ingordigia vacanziera agostana. Le spiagge storiche di questo mondo nascondono ora subdole sorprese, la sabbia pregiata nasconde migliaia di cicche, la sporcizia monta, giorno dopo giorno.
E’ il momento in cui la maggioranza degli italiani è in ferie e ogni spazio pare adatto per disfarsi del giornale appena letto, dei pannolini del bebè, dei tovagliolini, dei sacchetti delle merende, dei cartoni delle confezioni dei giochi da spiaggia, che il vento provvede poi a spalmare in giro, ovunque. Dove sono e cosa fanno i corpi preposti del WWF, di Lega Ambiente? la plastica in mare uccide le tartarughe….. le meduse aumentano…. Stupidaggini dei mesi estivi: le tartarughe parlano forse con i bambini delle pubblicità, volano forse come gli stracchini, girano scapaccioni a qualche poveretto, come fa il gran tricheco, ti parlano come il maialino e come il beneamato cane di casa? Il mare è coperto e poi, in fondo, che c’è di male, l’Italia, il ’continente’, è forse più pulito che qua?
Se è vero che la maggioranza degli italiani sia contro la caccia non perviene che tanta ambizione di civiltà sia poi espressa attraverso il rispetto dell’ambiente…… e di se stessi: telegiornali regionali denunciano, fatti documentati, di come la Sardegna sia invasa da un’orda incivile: sono proprio i presidenti dei numerosi parchi a lamentarsi dell’inciviltà dei loro frequentatori che perfino ignorano d’insozzare un patrimonio dell’Unesco, di cui l’Umanità è padrona. Gentili ministre, Brambilla e Prestigiacomo, che vantate questa maggioranza, istigandola contro la caccia, a chi propinate la vostra propaganda? ad una maggioranza di sporcaccioni? Gentile Signora Colò, le propongo un titolo per una delle sue puntate di Condominio Terra: ‘Sporcizia tra di noi’. A tutti voglio ricordare il titolo di una pubblicità stradale, enorme e probabilmente altrettanto costosa quanto inutile: ‘ I rifiuti più nocivi sono quelli che abbandoniamo noi’.
Lascio quindi la costa per inoltrarmi sulle strade polverose della campagna gallurese, tra gli eucalipti, i canneti, gli olivastri sofferti, contorti e piegati alla direzione del maestrale e sotto la cui ombra riposano spesso gli animali. Il cielo azzurro, luminoso, rende carichi i colori di questi luoghi che anche in bianco e nero non perderebbero il loro fascino, anzi. I valloni che solcano il terreno, con i loro alberi ombrosi, ancora conservano l’umidità di pozze d’acqua, residuate dalle piogge invernali o dal flusso sofferto proveniente da qualche fontana posta sul crinale delle colline più a sud. Il vento s’incanala nei valloni e scivola tra i rami degli alberi, torcendone le foglie, in un andirivieni tremolante di tonalità, dallo smeraldo all’argento e poi di nuovo al verde cupo. Cespugli di mirto, di ginepro e di lentisco fanno corona a prati ingialliti delimitati da muretti a secco, ordinati e precisi che dividono le proprietà. Cancelli rudimentali, antichi, di stecchi e tronchi di leccio, tagliati a misura si affacciano su un dedalo di viottoli e piste, appena riconoscibili sul terreno brullo.
Non è una campagna ricca, poco il fieno che produce, già falciato e imballato in rulli sparsi in disordine sui campi; fieno per l’inverno, per pecore e vacche, da macello o per prodotti caseari; le vigne producono vini poco adatti ad ogni palato, vini del contadino, unici, mai uguali. Si rivela così la durezza di questa terra, spazzata dal vento, che non si presta facilmente all’uso delle macchine, irregolare e accidentata nel suo andirivieni di bassi rilievi, da cui balza fuori il granito, massiccio ed improvviso, la cui vulnerabilità è ancora lasciata al vento ed al tempo.
Basta quindi fare poca strada per ritrovarsi lontani dalla congestione, dalla nevrosi delle vacanze a peso, dalla maleducazione pagana che infierisce su questo piccolo angolo di mondo, austero, semplice, che lentamente perde la sua autenticità. In campagna, appena fuori dal paese, svanisce rapidamente la percezione della ressa indaffarata e ciabattona, la solitudine e il silenzio ti riavvolgono piano piano, come un pesce asfittico ritrovi la corrente fresca e vitale. Sebbene l’aria sia greve dal calore il piacere di essere in mezzo a tanta naturalezza ti corrobora, l’ombra non manca e ti puoi rifugiare in un vallone, sederti sulla sabbia umida di qualche pozza e guardare cosa si muove intorno.
Molti sono gli animali che puoi osservare, falchi in caccia, vero che non so riconoscerli, lepri, donnole, tartarughe, lucertole e bisce; guardo lontano col binocolo, sul finire di un pomeriggio, cespugli che si muovono, alcuni cinghiali. Molte le pernici che pedonano in fila indiana o ai bordi delle strade che scavalcano con un rapido volo per poi rimettersi subito, nei cespugli dall’altra parte: non sono però le pernici che sto cercando bensì le tortore. Le tortore comuni, perché se cercassi quelle orientali ne troverei moltissime in paese: con un richiamo a soffio, una mattina presto, ho provato a tentarne una, per vedere se veniva: tutu tuu, tutu tuuu, per tre giorni non l’ho più vista……. stonature terrificanti.
Nelle prime uscite di osservazione frequento certi posti conosciuti ma ora è diventata zona industriale, prima c’erano orti e frutteti, di cui conoscevo i proprietari, per alcuni anni ho affittato un piccolo fazzoletto di terra dove tenevo una baracca per le mie attrezzature; c’erano gruccioni e tortore, storni, merli e passeri a non finire, ora ‘zona industriale’: super market a go-go e corvi, molti corvi. Svariati stormi, composti da circa quaranta individui, spesso si fronteggiano sciamando l’uno contro l’altro, confondendosi, lanciandosi contro grida minacciose, turbinando le ali nell’aria in uno schiamazzo generale per poi ricomporsi, ogni gruppo ordinatamente, nel proprio spazio, senza apparenti vincitori, ognuno a casa propria.
Queste scaramucce tra i corvi, forse per il diritto al cibo, a qualsiasi cibo, mi aiutano meglio a capire come molte specie di animali, nei loro confronti, siano definite soccombenti: con simili vicini di casa nemmeno i gabbiani si avventurano, fedeli alle proprie origini, alla costa, alla durezza di questi mari ma anche alla loro generosità. Mari che si rigenerano in continuazione agitati dai venti e dalle correnti. Venti e mari che, come gli uomini, hanno temprato questi uccelli potenti, nobili e dignitosi, ancora liberi e lontani dall’opportunismo della spazzatura, rifiuto dell’opulenza a basso costo. L’opulenza dei centri commerciali e dei loro marchi, che crescono ad un ritmo incredibile, ingoiando spazio, diversità e cultura, devastando tradizioni e abitudini, sottraendo ricchezza, cancellando, con il loro monopolio, iniziative locali, individuali e più legittime, in nome di un potenziale relativo e limitato nel tempo, se per nove mesi all’anno servono poi poche migliaia di persone.
Mac Donald’s querela Puddu, fatto noto e internazionale, perché nomina Mac Puddu’s il proprio locale di prodotti fast food sardi a chilometri zero. Ho nostalgia del grottesco, oggi siamo nel delirio della soprafazione: Popolo Sardo insorgi e caccia questi untori di obesità, boicottali, rendili inermi!
Spingendomi più a ponente, lungo la provinciale, ho spesso notato rapidi voli di uccelli che potrebbero essere tortore, altre volte certamente le erano, posate sui cavi della corrente. Quindi mi inoltro all’interno, allontanandomi alcuni chilometri dalla strada, intersecando strade poderali di stazzi dalle linee essenziali, militaresche. Abbandono l’auto sempre più spesso e raggiungo il sommo di qualche rilievo. Adesso mi capita più volte di vederle, le osservo volare e fermarsi sul terreno ingialllito o stazionare sui cavi dei pali elettrici, affiancate e numerose sebbene troppo vicine ad una casa rurale, bianca, semplice e ridente, circondata da alcune palme, i muri di cinta, bassi, ricoperti da una bugainvillea di vari colori, dal bianco al rosso fino al violetto.
Guardo la casa, penso ai proprietari, forse invidiandoli per la loro scelta radicale, sono lontano da essa forse anche duecento metri ma quando ci sarà l’apertura starò oltre le colline, lo spazio a disposizione è immenso, certo di non poter, forse, turbare la pace di quelle persone. Prendo un bivio, percorrendo una strada sterrata, costeggiata da eucalipti, fino ad arrivare ad un valloncello, per poi risalire una breve salita ripida che dopo una curva ridiscende in una conca che si infossa dolcemente, a piedi risalgo, per circa duecento metri, fino a raggiungere il sommo della china. E’ un ampio campo da fieno, ormai falciato e riarso, da cui si alza un calore insopportabile, un ampio e basso cono sul cui sommo si erge un torrione granitico, frammentato alla base da numerose scaglie di roccia, è circondato da cespugli di mirto e da un leccio sotto cui mi fermo a riprendere fiato, inalando il ponentino pomeridiano, a pieni polmoni. La visuale intorno pare soddisfacente ma più mi riprendo dallo stress calorico e più mi convinco che invece sia ottima. Sebbene il calore salga dal terreno intorno, il vento e un po’ della mia acqua, sembrano sempre più averne ragione rendendo l’immobilità sopportabile. Levo il telo dallo zaino e lo stendo per terra come un alpinista pianta sulla vetta la bandiera della sua vittoria. Beatitudine dentro ed intorno a me, ringrazio la folla che mi ha spinto via dalle spiagge.
Sento un battito d’ali secco e breve, mi alzo a sedere di colpo, loro scartano improvvisamente, sorprese da quella strana eruzione dal terreno, tre tortore bellissime; sono alla mia altezza e si buttano giù, ai piedi del colle, dove paiono voler atterrare, esitano, fermandosi nell’aria, poi si lasciano andare ad un altro breve volo atterrando oltre il campo. Le osservo un poco col binocolo mentre beccuzzano in giro dondolando. L’antica emozione si fa strada, sorge da una contrazione allo stomaco e risale su per la schiena, impazienza di cacciare, sensazioni che si rifanno strada, dal profondo, immutate. Per compensare l’impulso raccolgo febbrilmente rami secchi e sterpaglie, tra i cespugli: serviranno per costruire una parvenza di capanno tra il granito ed il mirto che gli sta accanto.
Ed il giorno arriva: salto la colazione perché è nello zainetto, già in macchina, dalla sera prima, insieme a tutto il resto, vestiti compresi, non mi lavo nemmeno la faccia, non voglio svegliare nessuno ed esco, maglietta e pantaloncini, come per andare al mare: sono le cinque e fa freddo, buon segno, il cielo è terso, mi chiudo in macchina e indosso la camicia, mettere in moto ed andare è l’unica cosa da fare. Sento già la nuova dimensione di questa giornata, mai vorrei che fosse disturbata dall’incontrare qualcuno che mi facesse perdere, anche un solo minuto, con le solite banalità mattiniere…. via a tutto gas.
Meno di mezz’ora e sono ai piedi della collina, nessun movimento in giro, m’inerpico con le mie cose, zainetto, sgabellino appeso, bastone da una parte, sovrapposto, imbustato, dall’altra. Aria limpida, vedo Capo Testa e Bonifacio, con i fari ancora accesi, e le sue case a picco. Brezza fresca che scende dai monti del Limbara, il mare cobalto. Ad est il bagliore del sole, pronto ad esplodere, illumina un trenino di nuvole basse, che paiono accompagnare le linee dei monti di Li Lieri. Almeno così mi pare, non ho più tempo per i particolari, la perturbazione dei giorni prima è passata: ne ero preoccupato per il forte vento ma oggi è una giornata tra le migliori da immaginare per un giorno di caccia alle tortore. La considero come un premio di bentornato che già mi ripaga dalle delusioni dell’aver ritrovato, dopo anni di impegni, l’ amata caccia così snaturata e vilipesa. Arrivo su, apro lo sgabellino per sederci di schianto, affannato, trafelato, devo bere, lo stomaco serrato: mi sembra di stare a scuola, in attesa del mio turno per un esame….. di matematica. Sparite incubi….. oggi è la prova del fucile!
Pam pam, cominciano a sparare, sono passate le sei, qualche colpo più a ponente. Arriva un volo, tre tortore, lontane e veloci. Torturo la sua sicura del sovrapposto, su e giù, lontano sparano, un colpo o due, ogni tanto. Nel Nord Italia ho già fatto aperture alle tortore, in caccia vagante, quando? vediamo un po’….. La vedo improvvisamente, eccola, alla mia sinistra! è spuntata dal sommo dei cespugli, sale in diagonale, sale e per un attimo si ferma…… sparo. Una bastonata mi coglie alla guancia, sono sbilanciato, rimango stordito, per un breve attimo ho pensato di essere stato aggredito da qualcuno, alle spalle: “Fromboliere, i sovrapposti menano, hai fatto la conoscenza col fucile nuovo, potevi pensarci anche prima…., quando hai sparato l’ultima volta, in Scozia? quanti anni fa? tutti i fucili vanno ben stretti, se ci tieni ai denti.” Comunque la tortora è li, deve essere venuta giù, dritta come una candela. Tolgo la cartuccia, mi scordo perfino di gustare, finalmente, l’odore della polvere, guardo la tortora, riversa ai bordi di un cespuglio, le ali aperte, il capo rovesciato all’indietro. Chiudo il fucile, mi guardo ancora in giro, per un po’, di nuovo da sinistra, in volo teso, ne passano due, lontane, prima un colpo poi l’altro, inutilmente… “tranquille sorelle, era giusto per pareggiare il conto con il calcio del fucile“….. e ora è andata meglio.
Guardo ancora la tortora abbattuta: la lascio li, finché rimane all’ombra del cespuglio, poi col sole, mi riprometto….. :“Amico non contarti storie, muoviti e valla a prendere!” Ho lanciato la sfida, aperto le ostilità e ora non posso tergiversare, devo andarla a prendere col timore di ritrovarmi una nuova coscienza, corrotta. Vorrei muovermi, senza esitazione, senza alcun rammarico ma poi sto li, a guardare le piume del suo petto, appena mosse dalla brezza e aspetto ancora, un’altra occasione. Ecco che alla fine mi arriva addosso un’altra tortora, sobbalza deviando mentre imbraccio e le sparo dietro due colpi, quasi simultanei…. esco subito scendendo la china fin dove è caduta, brevemente la raccolgo, soppesandola, sono ben in carne, pronte per partire. Risalgo e raccolgo anche l’altra, rimane scomposta, il collo rigido, le richiudo le ali, ne trionfo ne rammarico, mentre rientro nel rifugio, ma una punta di soddisfazione, che pulsa, è viva e avrà modo di crescere, di li a poco. Vedo il sovrapposto, appoggiato ad un arbusto, la sua brunitura manda riflessi bluastri, è lui che ha vinto la sfida, imperturbabile, due canne che sprigionano la mia energia…… che ritrova una delle sue identità.
Metto due nuove cartucce, ‘le bombette’ le chiama mia figlia: per lei le cartucce non possono essere altro che quelle della stampante del pc, mia moglie le chiama ‘proiettili’, figlia di un partigiano ama ricordare cose belliche: mondi remoti, attratti, non del tutto comunicanti ed in questo momento che ognuno viva nel proprio. Non vorrei staccarmi dal mio, ma se non oggi, o domani, o Domenica, alla fine dovrò andarmene e sempre con il rammarico di qualcosa che mi sfugge tra le dita, irrimediabilmente. Caccio fino a che il sole è alto e arriva la stanchezza; il caldo e le emozioni mi fanno sentire la fatica: nove bossoli da portar via, tre tortore abbattute. La tensione si quieta. Penso che ho ancora la colazione da cominciare, la sete da calmare e mi avvio: “Ciao granito, ci rivedremo ancora? o al tuo posto troverò un centro commerciale, un parco di giochi d’acqua, un albergo con piscina e campi da golf?”
Arrivo a casa, passo dal box, c’è il freezer, poso le cose della caccia, in pantaloncini e maglietta rientro in casa. Occhiate curiose, già tornati dal mare: tutti ad aspettarmi? Battute banali, qualcuna ha voluto forse essere ironica o sardonica? Che importa, io imperturbabile, penso al mio sovrapposto e alla penichella che sto per prendermi, le mani intrecciate dietro la nuca, il soffitto in cinemascope, per ricopiare la giornata….. e il sonno mi coglie: “Allora Fromboliere, com’è andata?” “Bene amico mio,…….. meravigliosamente bene.”
Fromboliere