“I caprioli sono troppi” oppure “non ce ne sono più, sono troppo pochi”. Quante volte abbiamo sentito queste asserzioni? Ma che cosa vuole dire troppi o troppo pochi? Rispetto a cosa? Ma più che altro, quali sono stati gli strumenti utilizzati per poter fare queste affermazioni? Il più delle volte queste frasi vengono ripetute solo perché sentite nei soliti discorsi da bar, pronunciate dai soliti tuttologi, che approfittando del livello di conoscenza e di cultura, tragicamente tendente al ribasso, diventano degli opinion leader, facendo un sacco di danni.
La stima delle consistenza delle popolazioni è il fiore all’occhiello, il principio fondante della caccia di selezione. Malgrado una (per fortuna oggi sempre meno diffusa) tendenza molto tipica del Nord-Est italiano a non effettuare censimenti (meglio definirli stime numeriche), “adattando” il piano di prelievo al numero dei soci della riserva e basandolo sulle serie storiche e sul rapporto numero di capi prelevato/numero delle uscite effettuate (metodo pagato a caro prezzo), il conteggio del numero degli animali è un dovere sia nei confronti di noi stessi, sia della cosiddetta “società civile” che, giustamente, pretende di essere informata sull’andamento e sulla gestione di un bene comune (ricordiamo sempre che la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato). Non può esistere caccia di selezione senza stime numeriche, questo è assodato, ma è altrettanto importante effettuare conteggi che offrano risultati il più possibile veritieri, che diano un quadro realistico della situazione.
Le stime effettuate per avvistamento diretto sempre dallo stesso numero di operatori e di stazioni, nei medesimi giorni dell’anno, è vero che possono offrire un trend demografico (non il numero reale, ma l’andamento della popolazione), ma è altrettanto vero che se sono intervenuti cambiamenti sostanziali nella destinazione del territorio (colture, rimboschimenti naturali e non ecc.), se sono aumentate altre specie in competizione territoriale e alimentare, se sono ricomparsi i predatori naturali come il lupo e, in misura molto minore, la lince, se la pressione venatoria stessa ha modificato le abitudini delle specie, è necessario adattare il modo con cui vengono effettuate le stime numeriche all’attuale situazione. Vero, più lunghe sono le serie storiche e più risultano attendibili; ma a che cosa serve una serie storica lunga se i metodi di conteggio non sono più consoni ai cambiamenti subiti dal territorio e non sono più adatti a monitorare l’andamento di specie che hanno profondamente mutato il proprio comportamento adattandolo alle nuove realtà? Dopo decenni di prelievi effettuati quasi tutti a carico della popolazione più visibile, quella abituata a frequentare assiduamente le zone aperte (perché faticare quando si possono tirare i caprioli vicino alle strade o direttamente “dalle” strade?) è piuttosto ovvio che, anche sul cosiddetto “primo verde”, non vedremo più lo stesso numero di caprioli di un tempo. Abbiamo involontariamente (ma credo avrebbe potuto essere previsto) influenzato la selezione naturale, agevolando i caprioli abituati a vivere la maggior parte del tempo in bosco e penalizzando i soggetti abituati a frequentare spazi aperti. A questa “selezione” ha contribuito fortemente il ritorno del lupo, che in pochi anni ha cambiato radicalmente le abitudini degli animali, in particolar modo dei caprioli, abbassandone drasticamente l’osservabilità oltre che, in misura molto minore, il numero. Il momento di criticità che sta vivendo in molte zone il capriolo è certamente anche dipeso dall’aumento esponenziale del cervo, che continua a essere gestito in modo scandaloso in troppi distretti di caccia, in particolar modo nell’arco alpino occidentale. Ma tornando al lupo, ormai additato come principale responsabile della diminuzione del capriolo, come possiamo non affermare che è proprio questo predatore l’unico a effettuare una selezione vera sulle popolazioni? Ci lamentavamo che i caprioli erano troppi, che “fare” dieci o venti caprioli a testa aveva trasformato la caccia in un lavoro. Ora ci lamentiamo che sono troppo pochi, che è diventato difficile trovarli.
Ci lamentiamo sempre. Ma a prescindere dalle contraddizioni che da sempre caratterizzano il mondo venatorio e che ci rendono sempre meno credibili e affidabili agli occhi del mondo, una realtà nuova ha assunto un’importanza vitale: le abitudini dei caprioli sono cambiate ed è necessario adattare i metodi di effettuazione delle stime numeriche per poterci basare su dati attendibili. E in questa operazione non può che assisterci il mondo scientifico, con l’apporto determinante del sapere di tecnici faunistici preparati e competenti, mirato alla gestione faunistico-venatoria: quando si ritiene di avere un problema si va da uno specialista non da un tuttologo. Una nuova sfida ci attende: mettiamo da parte gli interessi di bottega e contribuiamo attivamente alla gestione con i mezzi che individualmente possiamo mettere in campo, perché è in gioco la nostra credibilità e con essa la nostra sopravvivenza.