Col 2013, cioè domani, scadono i frutti della PAC, la Politica Agricola Comune, che definisce le linee di sviluppo agricolo dei paesi dell’Unione Europea, e ne finanzia le relative “Misure”. Non c’è chi non sappia che ormai la nostra agricoltura è indissolubilmente collegata a queste misure e – nel bene e nel male – è il frutto di queste scelte. Anche se, l’italianità, quella – sempre nel bene e nel male – recentemente messa in evidenza anche dal Governo Monti, ha cercato e cerca d’interpretarla secondo un copione che richiama l’antico teatro dell’arte. In altre parole, c’è ancora chi recita a soggetto. Va a braccio. Gli interessi, è inutile dirlo, sono enormi. E fino ad oggi hanno fatto la differenza quelle categorie e quei gruppi che erano più rappresentativi, più organizzati, con più santi in paradiso.
E’ indubbio che il benessere della fauna selvatica oggi dipende soprattutto da queste politiche agricole comunitarie, a volte in sintonia ma altre volte in contrasto con analoghe politiche ambientali, pur sempre partorite e “alimentate” a Bruxelles. Ambedue queste logiche che definiscono l’evoluzione del territorio e dell’ambiente a livello comunitario hanno effetto anche sull’attività venatoria. E quindi sulla caccia e sui cacciatori. Che al contempo, dato per scontato un minimo di lungimiranza, almeno nelle intenzioni di buona parte dei dirigenti e della componente più sana del nostro mondo, hanno interesse a dire la loro sia perché si pratichi un’agricoltura produttiva, sia perché la fauna selvatica l’ambiente e il paesaggio non vengano penalizzati da soluzioni che mirano esclusivamente a un profitto esasperato a discapito di tutto il resto, secondo la massima (scellerata) del tutto e subito.
Ecco che allora, oltre che strapparsi i capelli per una decade in più o per una specie in deroga, non sarebbe male che nei nostri consessi ci si adoperasse a riflettere su quelli che saranno i prossimi sei anni, 2014-2020, di politica agricola comunitaria. Ammesso che siamo ancora in tempo, visto che il piano la UE lo ha già sostanzialmente definito e che adesso è all’esame dei singoli paesi, governi e regioni. Da quanto finora emerso, si confermano i principi del precedente piano rurale, che prevederà fra l’altro importanti misure agro-ambientali e per la vitalità delle aree rurali. Inquadrate, per quanto ci può riguardare, nella definizione di “conservazione e valorizzazione degli ecosistemi agricoli e forestali”, su cui s’innesteranno i cosiddetti: Pagamento Verde, Pagamento per le zone svantaggiate (tenerle vive, per la caccia, è essenziale), Regime per i piccoli agricoltori (ad esempio, i piccoli appezzamenti hanno da sempre favorito la diversificazione delle colture, che accolgono una multiforme realtà faunistica: il declino della nostra starna ce lo ha amaramente insegnato). Ben sintetizzate nel concetto di Greening, che sottende a determinanti logiche di sostenibilità ambientale, già in essere da almeno due decenni (al vecchio set-aside e ai prati-pascoli, si aggiungeranno misure di tutela per terrazzamenti, fasce tampone, boschi, superfici a valenza paesaggistica), ma che strada facendo acquisiscono sempre maggior rilevanza, per far da contraltare a concetti di produzione dettati da un esasperato mercato globale, che – senza scomodare Columella - poco hanno a che fare con quella che un tempo era la realtà rurale. Soprattutto nel nostro paese.
Fra una misura e un’altra, assommando le condizionalità, una buona parte di tutti i finanziamenti comunitari saranno in qualche modo attribuiti a queste soluzioni “verdi”, il cui indirizzo a livello territoriale sarà determinante sia per la politica ambientale sia per la politica venatoria.
Non sfugge a nessuno, c’è da augurarsi, l’importanza di essere presenti attivamente nei dibattiti che in questi giorni sempre più si vanno dipanando anche a livello locale, per orientare le posizioni dei nostri rappresentanti, nazionali e regionali, al tavolo delle trattative. E c’è da augurarsi che chi ha a cuore la caccia, le nostre tradizioni, il nostro patrimonio culturale e ambientale, si faccia sentire, lanci proposte, metta in guardia da pericoli, anche ideologici, che, l’esperienza c’insegna, sono sempre dietro l’angolo.
E che dio ce la mandi buona, questa PAC in terris!
Alberto Belloni