Animalista vuol dire estremista? Non sempre. Ma molto spesso sì. Una buona fetta di animalisti ritiene doveroso “convertire”, passateci il termine, il resto della popolazione al rispetto tout court degli animali. Non importa che siano ratti destinati alla sperimentazione scientifica o cinghiali che stazionano nei pressi di autostrade, facendo il gioco della roulette russa e tagliando la strada ai malcapitati che si trovano a passare di lì in auto. Salvarli e salvarli tutti, senza se né ma è il loro unico pensiero. Non sopportano parole come gestione faunistica e controllo demografico. Per loro la questione etica - paritaria rispetto a quella applicata ai nostri simili (non per nulla si definiscono antispecisti) - si pone dinanzi ad ogni considerazione logica o scientifica. Vale dunque la pena di combattere, costi quel che costi. E qui, quindi, abbiamo un problema. In una società civile e democratica chi si pone in questo modo e non intende sentire ragioni, quando passa ai fatti, è considerato un pericolo pubblico.
Quando si parla di minacce di morte ed azioni sul campo atte a danneggiare, imbrattare, dare fuoco, bisognerebbe pronunciare la parola terrorismo, ovvero tutto ciò che nella sfera di una lotta politica è rivolto a spaventare, destabilizzare passando da atti violenti. Chiamare le cose con il proprio nome è il primo passo per prendere coscienza di un fenomeno che esiste e che sta dilagando, soprattutto nei confronti dei cacciatori. Manifestazioni sabotate da danneggiamenti, pedinamenti sui luoghi di caccia con tanto di minacce e intimidazioni, aggressioni verbali e fisiche, imbrattamenti con scritte ingiuriose e diffamatorie, quante ne abbiamo viste negli ultimi mesi? E quante ne dovremo ancora vedere prima che chi ci governa decida di porre fine a queste aggregazioni, tarpando sul nascere qualcosa che origina dalla violenza verso gli altri?
Qualcuno, fuori dai nostri confini, lo sta già facendo. Come abbiamo visto negli scorsi giorni tra le news di questo portale, in Uk il Governo ha creato una sezione antiterrorismo specializzata, con l’obiettivo di monitorare la crescita di movimenti che mettono in atto azioni violente in nome del diritto degli animali. Il Telegraph riporta che l'MI5 (l'equivalente della nostra Digos) ha istituito la nuova unità in considerazione di un incremento, senza precedenti, del terrorismo legato ai diritti degli animali. La goccia che ha fatto traboccare il vaso sono state le minacce di morte arrivate ad alcuni parlamentari conservatori che spingevano per l’abbattimento dei troppi tassi presenti nel Regno Unito, in virtù del fatto che sono veicolo della tubercolosi bovina, una piaga per gli allevatori. I movimenti vegani estremisti si sono fatti parecchio sentire soprattutto in Francia, dove nel 2018 è scoppiata la protesta contro i macellai. Vetrine insanguinate, scritte minacciose, reazioni inconsulte anche per semplici esposizioni in vetrina di carni e salumi hanno messo in ginocchio le attività, con macellai costretti a barricarsi per paura delle ritorsioni da parte degli antagonisti.
Ed è in parte quello che sta accadendo anche da noi. Non bastano i millemila ricorsi animalisti al Tar, palesemente presentati al fine di ottenere sospensioni in attesa della trattazione della questione (sfruttando una evidente debolezza del sistema giustizia), ai cacciatori tocca fare i conti anche con chi, per il solo fatto di avere un hobby (riconosciuto dalla legge!) che comporta il prelievo di animali in natura, si sente autorizzato a compiere atti violenti nei loro confronti. In troppe occasioni vengono minacciati ed insultati, o sono prese di mira sedi di associazioni venatorie e altre strutture con atti vandalici di ogni tipo. Tutto questo avviene di fronte al silenzio assoluto delle associazioni animaliste riconosciute, che quasi mai sentono il dovere di placare gli animi o comunque prendere le distanze da chi si comporta in questo modo. E avviene in un clima di continua e colpevole criminalizzazione della figura del cacciatore, derivante da falsità diffuse da queste associazioni che creano di certo terreno fertile per l’odio verso la categoria. Non aiuta di certo avere alla guida del settore ambiente un Ministro che nella migliore delle ipotesi ignora istituzionalmente il contributo ambientale del mondo venatorio, anche a favore di una capillare vigilanza dei reati contro l’ambiente e la fauna. Strizzando anzi l’occhio a quel sentimento animalista che anima un clima di astio nei confronti della categoria. Non si spiega altrimenti la convocazione delle associazioni anticaccia per parlare di caccia e bracconaggio in chiave migliorativa delle leggi e dell’osservanza di esse, come è avvenuto negli scorsi giorni.
Se di certo dall’entourage del Ministro Costa ci si può aspettare purtroppo una gestione di parte a favore di chi la caccia la detesta, non è detto che, in una visione di insieme, grazie al contributo di tutte le forze politiche, non si possa finalmente dare un freno a certe manifestazioni violente e creare anche da noi una sezione antiterrorismo che possa tutelare anche cacciatori, macellai, allevatori e chiunque abbia a che fare con la cosiddetta cultura rurale e dunque utilitarista della risorsa animale ( senza nulla togliere al rispetto che si deve a ogni vita), da certi squinternati incapaci di dialogare con il prossimo, che utilizzano la violenza come loro unico mezzo di espressione. A noi sembra il minimo.
Cinzia Funcis