Il principio del nuovo anno che sta per approssimarsi ci porta, come sempre in questo periodo, a fare una riflessione sul passato appena trascorso e su quello che ci aspettiamo dal futuro; ma se è vero che non c’è futuro senza passato dovremmo davvero tornare alle origini ed alle nostre antiche radici per riscoprire la caccia ai suoi albori.
Una caccia femmina nel nome e nell’essenza, se nelle varie mitologie si è sempre scelta una dea e non un dio a rappresentarla: Artemide per i Greci, Diana per i Romani, Arduinna per i Celti, la mitica dea Cinghiale custode della foresta delle Ardenne sulla quale meriterà tornare per un approfondimento, visto il numero sempre più in crescita degli addetti della braccata.
Nell’antichità la caccia era dunque considerata un’attività se non prettamente femminile, perlomeno ampiamente praticata anche dalle donne, come largamente documentato in opere artistiche e letterarie celebranti la Dea.
Una su tutte, canta così il famosissimo Omero in uno dei suoi Inni:
“Artemide io canto, dalle frecce d’oro, che ama i clamori della caccia;
arciera saettatrice di cervi,
Artemide, che sui monti ombrosi e le cime battute dal vento
esaltandosi nella caccia, tende l’arco tutto d’oro,
e scocca i suoi dardi dolorosi: tremano le vette
dei monti sublimi, dalla foresta piena d’ombra si leva
un’eco immensa, all’urlo delle fiere; freme la terra
e il mare pescoso, ma ella, con intrepido cuore,
si volge da ogni parte, sterminando la stirpe delle fiere […]”
Per capire cosa sia poi successo in seguito e perché la caccia sia diventata fino a tutto il secolo appena trascorso competenza squisitamente maschile bisogna seguire almeno in breve gli avvenimenti storici e soprattutto i cambiamenti sociali e di costume.
Passatempo per i ceti privilegiati per tutto il Medioevo, pur restando un’evasione agognata anche per i ceti più poveri, per i quali rappresentava anche un’importante forma di sostentamento (lo è stata anche fino a pochi decenni fa, prima che il boom economico ci investisse con l’orda delle carni pronto consumo), è forse nell’età dell’Umanesimo e del Rinascimento che la caccia vive la sua autentica stagione di gloria, anche al femminile. Forse perché quello stesso Umanesimo che si era gettato alle spalle i secoli bui per scavare con rinnovata energia la natura umana aveva riconosciuto nella caccia e nell’istinto predatorio una parte fondamentale di quella stessa natura, così misteriosa ed al tempo stesso così imprescindibile dal regno animale e naturale che si andava cominciando ad indagare con la Scienza; perché la caccia è da sempre prima di tutto conoscenza e conservazione della Natura, perché si può amare solo ciò che si conosce e si indaga solo ciò che appassiona.
E’ a quell’epoca, e alla pratica largamente diffusa dell’uccellagione, che dobbiamo la nascita e la selezione dei progenitori dei nostri attuali cani da ferma, o cosiddetti da penna.
Attività quest’ultima spiccatamente femminile, perché veniva considerata meno pericolosa e violenta delle grandi cacce in braccata, e pertanto più adatta alle dame.
I nobili Bracchi Italiani e Spinoni popolano le corti del nord e del centro Italia, così come gli affreschi a tema venatorio che adornano le illustri residenze dei Gonzaga, degli Sforza, dei Visconti e dei Medici.
Si studiano le razze, si definiscono quelle da seguita, si selezionano caratteri ed attitudini gettando le basi della nuova cinofilia che verrà, sull’onda di una entusiastica circolazione di idee e nozioni per tutta l’Europa.
La separazione della caccia dal mondo femminile pare essersi consumata con l’avvento delle armi da fuoco, che coincise anche con una nuova concezione della guerra in generale e col conseguente decadimento dei valori di eroismo e nobiltà che fino ad allora l’avevano caratterizzata.
La polvere da sparo porta con sé un’idea di carneficina e di distruzione di massa, e viene considerata estremamente pericolosa per l’universo femminile, se si considera anche l’evolversi dei costumi e dei nuovi assetti sociali conseguenti alla fine del feudalesimo e del ceto nobiliare, ed all’avvento di nuove concezioni di vita borghesi ed urbanizzate, così via per tutto l’800 e ‘900.
Proprio l’urbanizzazione gioca un ruolo fondamentale nel distacco dal mondo rurale e naturale, anzi, a ben dire il tratto più caratteristico degli ultimi due secoli trascorsi è rappresentato proprio dalla progressiva perdita di suolo e di habitat selvatico, e dal conseguente allontanamento dell’uomo dai ritmi e dalla vita naturali.
…Ed oggi, siamo portati a chiederci?
Gli ultimi anni, oltre a proseguire inesorabilmente col quadro appena descritto, raccontano anche una certa evoluzione nel modo di intendere la caccia, insieme ad un aumento progressivo di addette femminili e ad una rinnovata concezione etica dell’arte venatoria, aspetti che appaiono in un qualche modo intimamente connessi; se si pensa che la nostra stessa dea Diana è donna ed insieme protettrice degli animali selvatici e cacciatrice, si ricaverà la misura di quanto importante sia, oggi più che mai, un approccio etico e rispettoso alla caccia, per ricondurla alla sua anima originaria ed essenziale che la intende prima ancora come arte, che come mera pratica sportiva.
“Nessuno oltraggi Artemide”, ammoniva Callimaco, fine poeta ellenico, ed oggi è un fervido augurio che dobbiamo rinnovare in vista delle aspre battaglie che si profilano per la caccia al suo esterno contro i suoi numerosi detrattori, ma anche dall’interno, per i fragili equilibri che spesso i suoi stessi addetti rischiano di compromettere per miopia o semplicemente per diversità di vedute.
E’ oltraggio subire le calunnie e gli attacchi dissennati degli oppositori della caccia tout court, similmente è oltraggio praticare la distruzione senza alcuna costruzione, l’evasione fine a se stessa senza passione.
In questo momento spinoso le donne, da sempre custodi delle tradizioni e con il loro innato istinto protettivo, possono e dovrebbero avere un ruolo cruciale nel rappresentare i migliori valori della nostra tradizione venatoria, possono farsi guida di un grande branco per molti aspetti smarrito e destrutturato, così come ci insegnano i nostri saggi ed accorti selvatici.
Che l’alba del nuovo anno che sta per incominciare ci regali l’emozione di una nuova stagione di rinascita per la caccia, auguri a Tutte ed a Tutti!
Monica Sergelli