Il Farmland bird index non è solo un indice di abbondanza degli uccelli, ma un indicatore della qualità ambientale del territorio agricolo.
Gli indicatori ambientali sono dei parametri rilevabili nel territorio che consentono di valutare le condizioni di un sistema ambientale nel tempo. Se ne fa sempre più un largo uso in diverse realtà, e anche la stessa Pac post 2020 ne riconosce l’importanza quale strumento per l’acquisizione di informazioni di base e per l’applicazione della prossime misure di Politica comunitaria.
Tra gli indicatori di maggior interesse per l’ambiente e per la biodiversità in ambito agrario vi è l’Indice dei volatili agricoli, meglio conosciuto come Farmland bird index (Fbi). Merita un’attenzione particolare, in quanto interessa anche alcune specie di fauna cacciabile, e misura i valori di distribuzione di diverse specie di uccelli che frequentano gli ambienti agricoli, permettendo così di avere dei parametri di confronto nel tempo. Nell’ambito dell’attività di Rete rurale nazionale 2014-2020, il Mipaaf ha finanziato negli ultimi anni la raccolta ed elaborazione dell’Fbi, e pubblicato recentemente i risultati relativi al primo ventennio di questo secolo (Rete rurale nazionale & Lipu (2021) Farmland bird index nazionale e andamenti di popolazione delle specie in Italia nel periodo 2000-2020). Da questa indagine emerge che gli agrosistemi di pianura e di collina si presentano in situazione piuttosto critica per l’avifauna, con un andamento di declino costante dall’inizio del secolo, che nel 2020 si è attestato a -28,8% (Fig. 1).
In questo caso l’Indice è stato calcolato sull’andamento di popolazione di 28 specie di uccelli comuni in ambienti agricoli, di cui 18 hanno mostrato un chiaro trend di declino, mentre le rimanenti 10 specie sono risultate stabili o con trend positivo. Purtroppo, se si analizzano le diverse specie si nota come il trend positivo interessi in particolare specie generaliste e di modesto valore ambientale (quali ad esempio gazza, cornacchia e storno), mentre i cali più sensibili sono legate a specie più esigenti in fatto di habitat.
Tra gli uccelli di ambienti agrari che hanno registrato cali più rilevanti vi è infatti saltimpalo (-68,5%), torcicollo (-67,8%) e averla piccola (-64,8%), che risentono della forte riduzione di habitat marginali di campagna, ma cali rilevanti si sono avuti per un ampio spettro di uccelli, in particolare per gli insettivori di ambienti steppici quali allodola (-46,8%) e cappellaccia (-54,6%).
Questi dati e considerazioni sono da considerarsi medi per tutti i territori agrari a livello nazionale, ma se si analizzano a livello di aree geografiche emergono andamenti assai differenti. La situazione peggiore appare, infatti, nelle aree agricole di pianura dove ovviamente insiste una agricoltura più intensiva (con cali del -46,3%), seguita dalle aree prealpine ed appenniniche (-45,8%) e dagli ambienti di collina (-2,4%). Valori stabili e con cali contenuti, invece, ci sono nelle zone mediterranee (-14% per le aree pseudosteppiche e +4,7% per la montagna) ed addirittura in sensibile aumento nell’area alpina (+30,4%). In questi ultimi territori è probabile che la maggiore diffusione di agricoltura estensiva e la maggior presenza di contesti ambientali ricchi abbia aiutato a conservare le popolazioni ornitiche locali. Interessante è anche la valutazione dei dati su scala regionale, determinata per quasi tutte le regioni e province autonome italiane (Tab. 1).
I valori più bassi si sono registrati in regioni con agricoltura intensiva (es. Veneto e Lombardia), mentre vi sono alcune regioni di centro e sud Italia che hanno invece riscontrato dei buoni incrementi, come Sicilia, Abruzzo e Molise, dove evidentemente insiste un’agricoltura meno impattante. Il Farmland bird index non è solo un indice di distribuzione degli uccelli, ma un chiaro indicatore della qualità ambientale e della biodiversità del nostro territorio agricolo.
Il calo delle specie di uccelli insettivori, come l’allodola, è infatti un chiaro segnale di declino di insetti per probabile eccessivo utilizzo di pesticidi in agricoltura, mentre l’aumento di specie più legate agli ambienti arboreo-arbustivi (es. rigogolo) può essere collegato anche a fattori di abbandono del territorio agrario e conseguente riforestazione naturale. In certi casi si hanno anche informazioni relative agli effetti del cambiamento climatico.
È il caso del cardellino, che ha registrato cali nei territori di pianura ed aumenti in aree montane quale probabile effetto determinato dallo spostare il suo areale verso quote e latitudini più elevate per compensare l’innalzamento delle temperature. Questi indici hanno purtroppo anche dei limiti, in quanto registrano delle variazioni ambientali, ma non determinano quali siano le cause del declino degli uccelli, e quindi non sono in grado di indicare quali interventi di ripristino siano necessari. Si possono tuttavia fare delle considerazioni, e soprattutto utilizzare i dati distinti per area geografica e per regione per individuare le aree più critiche del nostro Paese, e magari dare anche priorità diverse per le misure ambientali dei prossimi Psr.
Oppure ancora si possono utilizzare gli indici delle singole specie per valutare l’efficacia dell’applicazione di interventi di miglioramento ambientali specifici nel tempo.
Michele Bottazzo
Per gentile concessione de Il Cacciatore Italiano