In questi giorni, molti di noi hanno trascurato i siti venatori, quelli anticaccia, le chiacchiere esistenziali, le polemiche, i blog, perché finalmente e fortunatamente hanno goduto e godranno ancora della preapertura. Che altro non è che l’applicazione – semplificata, se vogliamo - del concetto di “caccia per tempi e per specie”, di cui tutti parlano, a volte straparlano, che molti auspicano anche a casa nostra, e che molti altri (di noi) avversano, per ovvie ragioni contrapposte. Che spesso possono essere ricondotte a motivi “di cassetta”. Il migratorista verso lo stanzialista, il cinghialaio verso il beccacciaio, il “mitteleuropeo” (oggi ormai è questo il soprannome del “selettore” che esegue un “prelievo”) verso il “‘cellettaro”, altrove definito “uccellinaio”, ovvero il pronipote dell’”uccellatore”, cioè di colui che prendeva gli “ucelletti” con le reti e magari – ORROREE!!!! - gli schiacciava la testa fra pollice e indice della mano destra; quando non era mancino, ovviamente. (TUTTO FINITO, ORMAI, GLI ANIMALISTI STIANO TRANQUILLI. Anche quelli che di nascosto si compiacciono quando il loro tristo gattino si spolpa vivo un malcapitato passerotto).
La preapertura, quindi, intesa come periodo dedicato alle cacce estive di un tempo, quaglie, tortore, uccelli d’acqua (qualcuno) e poco più. A cui, sempre in meno, qualcun altro prova ad agganciare anche il mai abbastanza esecrato fagiano, croce e delizia delle discussioni fra cacciatori, da cinquant’anni a questa parte.
Godiamoci comunque queste prime, monche giornate di caccia, e fra una tortora e l’altra, proviamo a stemperare le polemiche sulla comunitaria, sulle adunate oceaniche che da una parte s’invocano e dall’altra si temono, sulla riforma della 157 che come Godot non arriva mai, e proviamo a lanciare un appello che può suonare come PRE-apertura di credito verso un interlocutore ancora non meglio identificato, che tuttavia potrebbe far la differenza per i giorni a venire.
L’appello. Tutti, nessuno escluso, siamo artefici del nostro personale destino. Tutte le comunità, le organizzazioni, le associazioni, le conventicole, le combriccole, regolano la loro attività secondo le sensibilità e gli interessi del gruppo. In pratica sono artefici del loro presente e del loro futuro. Parlando di caccia, singoli individui o gruppi che siano, i risultati di ognuno sono la conseguenza del rispettivo impegno. Secondo il sentire comune, per la caccia, si potrebbe fare di più, si potrebbe fare di meglio. Ma è innegabile che quello che siamo, o che non siamo, quello che abbiamo, o che non abbiamo, non dipende dagli altri, no. Dipende da noi. Da noi che non siamo stati capaci di capire gli altri, ovvero coloro che non la pensano come noi. In ogni caso, ognuno di noi, ogni singolo cacciatore, ma anche ognuna delle organizzazioni che ci rappresenta, si è impegnata e s’impegna per dare il meglio di se. Per quello che ha, per quello che è.
Innegabile, comunque, che poco o tanto che sia, ognuno di noi ha del buon dentro di sé. E sarebbe bene che venisse messo a disposizione per il bene comune. Ogni associazione – piccola, grande, vecchia, nuova, di destra, di sinistra, di centro – ha maturato esperienza e pertanto è capace di esprime qualità. Non sarebbe male che una volta tanto, passato il giorno della fatidica apertura - data che statisticamente esaurisce il periodo della campagna del tesseramento – si potesse dire: cerchiamo di mettere da parte le cose che ci dividono e soffermiamoci insieme a riflettere sulle cose che ci accomunano. Su ciò su cui tutti, indistintamente siamo d’accordo. Un esercizio “spirituale” non da poco, ma essenziale. Soprattutto per renderci conto, col cuore in mano, che le cose che ci accomunano sono di più e certamente più importanti di quelle che ci dividono. Se ne potrebbe fare un elenco lunghissimo, ma la prima e forse la più importante è quella che ci divide dal resto del mondo, da chi ci avversa, da chi non ci capisce.
Se non troviamo solidarietà e comprensione all’esterno, da soli riusciremo soltanto a rifugiarci in un sempre più precario Fort Apache e tenere la posizione fino ad esaurimento dei viveri e delle munizioni. Ma non è questo che vogliamo. Anche perché siamo convinti di avere da offrire al mondo esterno ancora competenza, passione, impegno e ideali che altri non hanno.
Di solito, in questi casi, oggi più di ieri, si parte da un ‘indagine “conoscitiva”. Dopodichè si individuano i punti critici (positivi e negativi) e si elabora un “progetto” . Che sia il più possibile collegato con le risorse di cui sappiamo con certezza di disporre. E non è certo il momento di fare proclami. Prudenza, modestia e pazienza devono essere le virtù che dovremo adoperare.
Il credito, quindi, a cui ci sentiamo di fare una PREapertura è quello dell’intelligenza di ognuno Chi più ne ha più ne metta. Lasciamo perdere per un po’ i sogni di gloria e i pensieri di rivalsa. Teniamoli ben custoditi dentro di noi, non sprechiamoli, non buttiamoli. Ma serbiamoli per alimentare la nostra fiducia nel futuro, il nostro entusiasmo, la nostra voglia di dimostrare a tutti che siamo un mondo vivo, vivace, moderno, consapevole e responsabile.
Facciamolo per noi, facciamolo per la passione che ci accomuna. La stagione che sta per cominciare, le emozioni che sicuramente ognuno di noi rinnoverà giorno dopo giorno in campagna, in montagna, nelle lande palustri, ci daranno ancora una volta la forza per dimostrare che siamo nel giusto.
Carlo Corelli