Inserita tra le priorità del Paese , la questione bracconaggio potrebbe arrivare presto sulle scrivanie del Governo Conte (Salvini–Di Maio), come da "Contratto" pre-insediamento sottoposto agli italiani. Una buona cosa per tutti, non si potrà che convenirne, visto che anche il mondo della caccia ha un grande bisogno di star lontano da chi delinque nel totale disprezzo della legge. A patto che questa questione, importante per il patrimonio faunisitico e la biodiversità, non si tramuti, come pare essere nelle intenzioni di certe grandi associazioni animaliste, nell'ennesima occasione per aggiungere ostacoli, cavilli e vessazioni a quelli già esistenti.
Ci sarà ben un motivo, e c'è, se Wwf e Lipu le hanno sparate così grosse quando si sono incontrate a Comacchio, due mesi fa. La diffusione di certi dati, non verificabili e certamente gonfiati ad arte, sulla stampa, è servita per preparare il terreno proprio in vista di questo giro di vite previsto per chi compie reati nei confronti degli animali, secondo l'intesa Di Maio–Salvini “non ancora adeguatamente perseguiti”. Il cerchio si chiude, ad essere maliziosi, con la nomina di Fulvio Mamone Capria a capo della segreteria del Ministero dell'Ambiente. Se due più due fa ancora quattro, visto e considerato che a quanto si dice il soggetto vorrebbe mantenere anche la presidenza della Lipu e visto che la Lipu è in prima linea a guidare questa crociata tanto roboante quanto inconsistente, per i dati che poggiano soprattutto su supposizioni, c'è poco da stare allegri.
Le proposte di modifica, elaborate dal coordinamento delle Regioni, ci sono già e sono già oggetto di discussione da svariati mesi di un tavolo tecnico–operativo che sta coinvolgendo tutti i portatori di interesse, associazioni venatorie comprese. Si tratta di una applicazione tecnica del famoso Piano Antibracconaggio redatto dal Ministero dell'Ambiente, ovvero dall'ex Ministro Galletti (su input di chi?), per rispondere ad un caso Eu Pilot (conseguenza della solita denuncia animalista), che dovrà tener conto dei problemi più eclatanti e trovare i mezzi più efficaci per contrastarli sulla base di dati oggettivi e riscontri tecnico-normativi inappuntabili. O almeno questo è quello che ci si augura, da parte venatoria, visto che, come vedremo più avanti, quei dati gonfiati sono finiti proprio nel documento tecnico ed è su quelli che si basano alcune ipotesi di modifica, dettati più dalla pancia che da analisi oggettive.
Non ci dovrebbe essere spazio, per il bene della natura e delle specie da tutelare, dei tribunali amministrativi e penali già intasati da cause cavillose, per un approccio ideologico, sospettoso e sproporzionato. Pare infatti che in questo documento tecnico ci siano delle parti non proprio condivisibili a causa di una certa tendenza antivenatoria. Anche se qui siamo di parte, non si trova davvero alcuna utilità pratica (e logica) nel prevedere più o meno sistematicamente cose come il ritiro della licenza di caccia, per quelle infrazioni che rientrano nel regime sanzionatorio amministrativo. Anche se all'atto pratico non cambia nulla (a nessuno interessa difendere i trafficanti e chi adotta ancora pratiche da uccellatore, ma è bene difendere il principio), è chiaro che chi compie atti come il commercio di fauna minacciata e il prelievo di pullus di Rapaci destinati alla falconeria, nulla ha a che fare con la caccia. Quindi perché tirarla in ballo? Le sanzioni accessorie sono già previste in tutti i casi che hanno a che fare con la materia, a seconda del reato, in caso di recidiva. Una simile impostazione farebbe venire meno il principio di proporzionalità delle sanzioni, che devono essere modulate in base agli illeciti e non trattate in maniera generica. In ogni caso, la sospensione per tre anni, come finora previsto, in caso di recidiva pare più che sufficiente. Calcare la mano, revocando la licenza, cosa prevista attualmente solo per gravi atti di carattere penale, in simili situazioni, vuol dire allevare una schiera di bracconieri, altro che combatterli ed educarli!
Ridicolo poi che si voglia infierire su uno strumento (i richiami acustici elettromagnetici), dei quali peraltro è già rigorosamente vietato l'uso a caccia, quando qualsiasi cellulare moderno (I-phone, Smart-phone) può essere trasformato in un nanosecondo (basta un'app, anzi, basta un file audio) in un riproduttore di canti in piena regola.
Nelle zone di caccia in cui non si può sparare con le munizioni con palle o pallini di piombo si vorrebbe vietarne anche la detenzione. Siamo di fronte dunque ad un processo alle intenzioni. Anche qui da un punto di vista tecnico sembra manchi un nesso causale. Stiamo per dare la stura a uno "stato di polizia"? Il cacciatore è un operatore sufficientemente formato per distinguere tra ciò che può fare e ciò che gli è vietato.
Il piano prevede anche la trasformazione di reati a danno degli animali in delitti, con un incremento delle pene pecuniarie in base a criteri conservazionistici. Ovvero, più una specie è preziosa per la biodiversità, più dovresti pagare se la prelevi in modo illegale. Tale norma potrebbe addirittura essere controproducente ai fini del piano stesso, visto che il codice penale per i delitti prevede pene solamente in caso di dolo o di colpa, mentre attualmente la legge sulla caccia non fa distinzione, ovvero, la sanzione rimane anche se non l'hai fatto apposta. Così come la sospensione o la revoca della licenza nei casi più gravi.
Si chiede inoltre di contemplare un nuovo reato: il furto venatorio, nei casi in cui chi prelevi fauna selvatica sia sprovvisto di regolare licenza di caccia. Si tenta così di inserire un esplicito riferimento a ciò che già avviene ed è applicato dagli organi competenti, essendo la fauna patrimonio indisponibile dello Stato. La 157/92 non esclude l'applicabilità di tale reato, ma prevede l'esclusione soltanto in relazione agli specifici casi previsti dagli articoli 30 e 31, ovvero quelli riguardanti i cacciatori muniti di licenza che commettono gravi violazioni. Qui, per analogia, vale richiamare il caso dell'automobilista che commette un'infrazione (o un delitto), con o senza la patente. Analogia che chiunque ci rifletta dovrebbe archiviare nel fascicolo delle barzellette quando certa gente vorrebbe far credere che tutti i cacciatori sono bracconieri, perchè tutti i bracconieri presi in flagrante hanno la licenza di caccia. Appunto: e gli automobilisti che commettono infrazioni al codice della strada ce l'hanno o non ce l'anno la patente?
Insomma, a diffuso parere della categoria, queste proposte sembrano più che altro un'operazione di facciata, utile in realtà a coprire gli insuccessi ormai palesi del mondo ambientalista, infierendo di nuovo sui cacciatori, con ulteriori e ingiusti limiti ai loro diritti personali. La controprova è che nemmeno molto sforzo si è fatto per valorizzare il lavoro delle decine di migliaia di cacciatori impegnati nel volontariato, guardie giurate comprese, che garantiscono una presenza costante a tutela di fauna e ambiente.
In compenso, come anticipato, il documento fa specifico riferimento alle stime grossolane e senza alcun fondamento sui milioni di uccelli bracconati, per altro divulgate anche dalla Lipu. - la tattica è ben rodata, ricordiamoci la sparata strumentale per chiedere il posticipo dell'apertura relativa a quei "milioni di animali morti" a causa degli incendi dell'estate 2017, frutto di un calcolo esponenziale che contemplava anche le blatte, come dovette riconoscere lo stesso presidente della LIPU. - Stime che devono essere obbligatoriamente espunte da ogni documento ufficiale, poiché prive di sufficienti riscontri attraverso i dati oggettivi desunti dall’attività di vigilanza e tendenzialmente lesiva dell’immagine del mondo venatorio italiano e del Paese per la loro infondatezza. Quello che serve è un'analisi seria del fenomeno (cause, entità, specie coinvolte). L'approccio grossolano, incapace di incidere realmente su un fenomeno complesso, che abbiamo già visto applicato al Piano Lupo o sulle proposte per il contenimento faunistico degli ungulati, deve essere respinto. Siamo o non siamo la patria del diritto?
Dario Coluccia