DOVE VA LA CACCIA. INCHIESTA BIGHUNTER.IT
Anche Ettore Zanon, uno dei più autorevoli comunicatori di caccia e gestione della fauna che abbiamo, ha accettato di affidare a Bighunter la sua opinione su "Dove va la caccia".
Da sempre pratica il prelievo selettivo di ungulati, la caccia più sentita e tradizionale dalle sue parti, sulle montagne del Trentino. "Se vogliamo essere precisi - dice - nasco come cacciatore di camosci. Ma non chiamatemi “camosciaro”! un’espressione che suona malissimo e quasi svilisce quella che considero “l’università” nella caccia agli ungulati. In ogni caso - precisa - la caccia “di selezione” si declina in molti contesti e sfumature diversi: io preferisco la cerca, quella vera, passo dopo passo nella natura... e il cacciatore che interagisce con gli animali che la abitano".
E' per questa sua dedizione che, nel tempo, non ha cambiato forma di caccia: "Sarebbe come dire che ho cambiato... stile di vita." Afferma senza mezzi termini. Anche se gli capita magari più spesso di partecipare a qualche braccata al cinghiale, in Europa centrale, solo piacevoli diversivi rispetto alla sua passione originaria. E aggiunge che non possiede nemmeno un’arma liscia e quando, molto raramente, viene invitato a qualche caccia che la richiede... gli devono prestare un sovrapposto!
Piuttosto, nel tempo ha ampliato un po’ i suoi orizzonti, cacciando in molti paesi europei e in qualcuno extraeuropeo, conoscendo ambienti e specie nuove, esperienze venatorie diverse, ma sempre con binocolo e carabina alla mano.
Il territorio dove vive e caccia abitualmente, dati i suoi cinquant'anni, l'ha visto mutare nel tempo. E' meno utilizzato ai fini agricoli e forestali, quindi il bosco ha guadagnato costantemente terreno, e invece ci sono molti più turisti. Anche la componente faunistica si è modificata, prima con l’aumento esponenziale del cervo, ormai molti decenni fa, poi con la reintroduzione dell’orso, oggi con il ritorno del lupo e col cinghiale che si affaccia: un quadro sempre dinamico. Quello che lo preoccupa sono i cambiamenti del clima, che negli ultimi anni appaiono evidenti.
E nel rapporto fra i cacciatori l'ambiente e la società cosa è cambiato nel frattempo? "Più che del Trentino - dice - parlerei del contesto italiano, dove è cambiato molto in termini di forme di caccia, con gli ungulati, cinghiale ma non solo, che sono diventati di interesse primario e l’unica forma di caccia realmente in crescita. Nei rapporti fra cacciatori e società, a parte l’intensificazione delle pressioni animaliste, ciò che vedo all’orizzonte è un conflitto sempre più emergente con gli agricoltori, che va affrontato e risolto. Intanto, l'analisi è banale, la caccia si sta trasformando perché i suoi praticanti sono sempre meno, malgrado sembri impossibile conoscere il numero esatto dei cacciatori italiani, e mediamente sono sempre più anziani. Siamo un’allegra brigata di vecchietti".
Ma quali possono essere i punti critici e i punti di forza? "Tanti - risponde - purtroppo. Prima di tutto la storica divisione dei cacciatori in molte associazioni. Un delirio tutto italiano, perché nei paesi venatoriamente evoluti i cacciatori hanno una sola associazione, molto più autorevole, che li rappresenta tutti. Inoltre le associazioni non si occupano del problema strategico, quello essenziale per la sopravvivenza della caccia in Italia: la sua immagine e la sua percezione nella società. Invece che impegnarsi strenuamente in campagne di comunicazione che facciano capire alla gente comune cos’è davvero la caccia… si preoccupano ancora di relazioni col politico di turno, di assicurazioni, di lepri e fagiani da rilasciare. Una situazione a mio avviso surreale. I punti di forza? Difficile dire, ma la butto là: il gettito fiscale che genera la caccia?"
In prospettiva, rispetto alla diminuita consistenza dei cacciatori auspica che alla quantità corrisonda una maggiore qualità: sarebbe un grande vantaggio. "Ma la qualità - ne è convinto - nasce dalla formazione, altro problema storico del mondo venatorio italico. Una formazione che crei cacciatori più competenti e consapevoli, dalla base ai vertici. È un discorso in prospettiva che avrebbe effetti positivi sul lungo termine, ma se mai si inizia...".
"Forse - conclude - saranno gli stessi animali selvatici a darci una mano: stanno entrando nella vita reale delle persone, anche in città, e creano qualche problema di cui noi cacciatori potremmo rappresentare la soluzione. Un ragionamento cinico ma realistico. E ci è utile anche l’Europa. Si, proprio l'Europa. In tutti o quasi i Paesi dell’Unione Europea la caccia, soprattutto per merito dei suoi praticanti, è molto meno invisa che in Italia: in questo contesto, più ampio e favorevole, siamo meno deboli".
Redazione BigHunter.it
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