Anche per questa stagione venatoria, si è ripresentato in modo dirompente in molte regioni italiane il problema del prelievo venatorio in deroga in applicazione dell’art. 9, comma 1, lett. a) e c) della Direttiva Uccelli n. 79/409/CEE (oggi direttiva 2009/147/CE causa le piccole modifiche apportate al testo comunitario da un punto di vista meramente formale per l’adeguamento richiesto dall’ingresso di nuovi paesi nell’UE) e più in generale il problema della regolamentazione dell’esercizio venatorio all’avifauna migratoria.
Dando per assodato che tale vicenda ha definitivamente assunto dei connotati squisitamente politici più che tecnici, cerchiamo di comprendere dove e come intervenire per ricondurre l’intera questione su di un livello più oggettivo e il più possibile rispondente al dettato della citata Direttiva Uccelli.
Rimangono aperti due grandi problemi, tutti italiani perché non trovano riscontro in nessuna altra nazione europea: il primo è il funzionamento del sistema Istituzionale preposto (Stato, Regioni, ISPRA); il secondo è quello (ormai esplosivo) dei meccanismi di funzionamento dei TAR ed in qualche caso dell’imparzialità o terzietà dei giudici nell’affrontare e valutare i ricorsi presentati da Associazioni ed Organizzazioni animaliste ed ambientaliste avverso qualsiasi provvedimenti amministrativo che interessi la regolamentazione dell’esercizio venatorio ed in particolare proprio a quello relativo all’avifauna migratoria (deroghe, calendari, catture, ecc.).
Quanto al primo problema bisogna comprendere che le Regioni dovranno rivedere attentamente la materia, imparando a confrontarsi direttamente con Bruxelles e con Roma perché l’UE, il nostro Parlamento e il nostro Governo capiscano una volta per tutte la validità delle scelte regionali.
Se esiste, come esiste, un articolo della legge nazionale n. 157/92 che regolamenta espressamente le modalità applicative del prelievo in deroga, è assolutamente necessario fare preliminare e totale chiarezza sulla non accettabilità o addirittura illiceità dell’atteggiamento di chi, autorità di qualunque natura sia, rimette continuamente in discussione l’applicazione di tale articolo aggrappandosi ad argomentazioni speciose o a “mostri” giuridici magari creati all’uopo.
La Conferenza Stato/Regioni sarebbe la sede teoricamente deputata alla definizione di un accordo tra le Regioni interessate alle deroghe (che tradizionalmente non sono più di sei o sette) e lo Stato per l’individuazione delle piccole quantità per specie sia a livello nazionale che ripartite tra le singole Regioni. Ma la cosa, sino ad oggi, non ha funzionato come ci si attendeva. In realtà, poi, quand’anche la Conferenza Stato/Regioni abbia in passato deliberato sull’argomento, nella pratica sono state poche le Regioni a tener fede agli accordi, mentre altre li hanno disattesi a seconda delle proprie esigenze politiche, discrasia che ha creato problemi paradossalmente proprio a quelle Regioni ligie agli accordi.
Bisogna poi oggettivamente rilevare che l’ISPRA (ex INFS), istituto che per legge dovrebbe essere deputato a fornire a tali Istituzioni dati e pareri oggettivi in materia faunistico-venatoria, è invece pregiudizialmente contrario – e quindi fa di tutto per ostacolarla - a qualsiasi forma di caccia che interessi in particolare l’avifauna migratoria, che si tratti di prelievo in deroga, di cattura e uso dei richiami vivi o di dare corretta applicazione ai principi comunitari stabiliti dalla Direttiva Uccelli e dalla sua Guida interpretativa.
Tale atteggiamento dell’ISPRA è dimostrato, anche molto recentemente, dai suoi controversi pareri in merito a catture e uso dei richiami vivi, prelievo dello storno ed infine dal documento relativo a presunte linee guida per la stesura dei calendari venatori regionali stilato al fine di dare applicazione all’art. 42 della Legge Comunitaria.
Vi è, poi, un altro problema cronico, ossia la povertà e l’attendibilità reale dei dati scientifici di riferimento concernenti le specie che solitamente vengono sottoposte a regime di prelievo in deroga e più in generale di quelli relativi ai periodi di migrazione pre-nuziale, riproduzione e nidificazione, migrazione post-nuziale e svernamento di tutte le principali specie migratrici di interesse faunistico - venatorio.
Ciò discende anche dal “rifiuto” dell’ISPRA ad avviare una volta per tutte un serio programma di monitoraggio correlandosi con istituti omologhi degli altri Paesi europei, nonché da una mancanza operativa degli Osservatori regionali ove istituiti.
Gli attuali dati inerenti tutte le specie di ogni Stato sono stati a suo tempo forniti alla Commissione UE dai rispettivi responsabili appositamente incaricati in seno a uno specifico gruppo di lavoro, denominato Comitato Ornis. Per l’Italia, guarda caso, parteciparono proprio i rappresentanti dell’INFS (oggi ISPRA).
E’ ora, in sostanza, che vengano opportunamente rivisti i dati per l’Italia contenuti nel documento conosciuto come “Key Concepts document on period of reproduction and prenuptial migration on huntable bird species in the EU”, il quale riporta, per ogni singolo Stato, l’inquadramento delle specie cacciabili ai sensi della Direttiva (All. II/1 e II/2), adeguandoli alla realtà dei fatti scientifici.
Nel merito del secondo problema (TAR) è sotto gli occhi di tutti un altro dato oggettivo: in molti casi i ricorsi presentati dagli anticaccia, pur non risultando basati su alcuna concreta motivazione tecnico-giuridica, ma esclusivamente su interpretazioni strumentali delle complesse norme di riferimento (comunitarie, nazionali e regionali), trovano comunque accoglimento da parte di alcuni Giudici o, quanto meno, l’accordo di provvedimenti di sospensiva per poi decidere nel merito delle questioni sollevate solo in un secondo tempo.
Ma anche se poi i Giudici interpellati rigettano tali ricorsi entrando nel merito, a ben poco serve vedere riconosciute le proprie ragioni.
Questo utilizzo strumentale dei ricorsi al TAR è anche agevolato ed incoraggiato dal fatto che le Associazioni ed Organizzazioni ricorrenti sono esentate dal sostenere i relativi costi finanziari.
Cosa possiamo fare, allora, per cominciare a ridurre i motivi di contenzioso sulle deroghe e sulla caccia alla migratoria in Italia, pervenendo finalmente a un’applicazione serena di queste importanti opportunità che la Direttiva Uccelli e la sua Guida interpretativa in realtà offrono?
Per una risoluzione definitiva del problema, occorre e occorrerà agire su diversi fronti e soggetti, nell’ambito però di una strategia complessiva cui partecipino, ciascuno per la propria parte e competenze, lo Stato, le Regioni e le Associazioni venatorie. Di seguito si prospettano alcuni suggerimenti.
Lo Stato:
- deve farsi parte diligente nei confronti dell’UE, rivendicando la correttezza dell’art. 19 bis della legge n. 157/92 nei confronti del dettato della Direttiva “Uccelli”;
- deve insistere nei confronti della Commissione UE – quale Stato fondatore della CEE ne ha la massima autorevolezza – a fronte anche dell’ultimo, recente rifiuto ricevutone, per ottenere il reinserimento dello storno tra le specie cacciabili in Italia, evitando almeno per questa specie il ricorso alla deroga;
- deve provvedere formalmente all’integrale recepimento nella legge n. 157/92 della Guida interpretativa sulla caccia della Commissione UE, per conferire alla medesima un valore giuridicamente pregnante;
- deve provvedere a convocare annualmente la Conferenza permanente con le Regioni e le Province autonome, per i doverosi accordi preliminari su specie e quantitativi prelevabili e poi farli rispettare;
- deve intervenire sull’ISPRA, affinché tale istituto abbandoni posizioni politico-ideologiche che da statuto non gli appartengono, tornando a esercitare l’importante ruolo tecnico che la legge n. 157/92 gli affida, soprattutto incrementando gli sforzi per la raccolta di quei dati troppo spesso definiti carenti o mancanti;
- deve prevedere che i ricorsi presentati avverso provvedimenti amministrativi riguardanti l’esercizio dell’attività venatoria debbano necessariamente essere affrontati e risolti, sempre con il coinvolgimento di tutte le parti in causa, senza alcuna sospensiva ma in via definitiva prima che prendano avvio le attività regolamentate dalle disposizioni impugnate;
- deve disporre che le esenzioni dai costi relativi non vengano concesse ogni qual volta tali ricorsi vengano presentati da Associazioni “di parte” che hanno il solo fine di immotivatamente contrastare l’esercizio venatorio e riguardino attività, come la caccia, che sono invece legalmente e legislativamente riconosciute dallo Stato italiano e che interessano centinaia di migliaia di onesti cittadini cacciatori.
Le Regioni:
- devono provvedere all’istituzione, al finanziamento e all’attivazione degli Osservatori (o Istituti) faunistici regionali, per un concreto contributo alla raccolta di dati sull’avifauna migratoria in cooperazione con l’ISPRA;
- devono impegnarsi in sede di Conferenza permanente con lo Stato a giungere ad accordi specifici e a tenervi fede;
- devono approvare provvedimenti “sostenibili” e nel contempo rispettosi delle nostre cacce tradizionali, ossia improntati, nel limite del possibile, più a valutazioni tecniche che di altra natura, se veramente l’obiettivo è fornire i cittadini-cacciatori di fondamenta giuridiche solide sulla cui base esercitare la propria attività;
- devono essere disponibili a concertare con le Associazioni venatorie le linee guida cui improntare i propri provvedimenti.
Le associazioni venatorie:
- devono offrire la massima disponibilità alle Regioni per la concertazione di tali provvedimenti “sostenibili”;
- devono rifuggire dalla tentazione di appoggiare o sollecitare fughe in avanti della politica solo per rincorrere numeri altalenanti di tessere associative;
- devono profondere il massimo impegno operativo sul territorio per coadiuvare e supportare le indagini sull’avifauna migratoria condotte dagli Enti pubblici, sollecitandone l’attuazione ove carenti o mancanti;
- devono offrire il massimo supporto tecnico e legale alle Regioni in occasione dei frequenti ricorsi subiti dai provvedimenti regionali, in particolare ai TAR ove trattasi di provvedimenti amministrativi;
- devono condurre una politica educativa culturale nei confronti dei soci, per un nuovo approccio complessivo improntato all’aderenza agli aspetti tecnici, all’evitare criticità inutili, al tutelarsi dalle fughe in avanti della politica;
- devono condurre una “battaglia” politica, informativa e di sensibilizzazione sui troppi privilegi normativi concessi alle associazioni animaliste e ambientaliste, nonché sulla inaccettabile mancanza di responsabilità civile e penale dei magistrati.
Marco Castellani