E' uno degli argomenti più scottanti all'interno del mondo ambientalista moderno e con cui ovviamente esso stesso si rifiuta di fare i conti. Un vero e proprio tabù su cui si arrovellano gli amici dei quattrozampe di tutto il mondo, senza trovare soluzione: gli animali mangiano altri animali. Dato di fatto.
Presto o tardi se ne dovranno fare una ragione, i paladini del cane e del gatto, considerati come dei soprammobili a proprio uso e consumo o dei feticci senza corpo, anche se pare già l'abbiano fatto senza ammetterlo. Potremmo scomodare i più grandi studiosi della psiche umana - nessuno ricorda il profilo che Eric Fromm (“Anatomia della distruttività umana”), fece di Adolf Hitler? - per cercare di sviscerare il meccanismo di rimozione che si mette in moto in quelle coscienze umane capaci di recarsi al supermercato, comprare la scatoletta più blasonata, versarla nel piattino dorato del proprio micio e poi indignarsi per le condizioni degli animali negli allevamenti da carne, rivendicando per gli stessi il diritto ad una coscienza e sognando un mondo fatto di insalatine nel piatto e coniglietti saltellanti in ogni angolo. Come se in quella scatoletta non ci finisse – ben che vada - il pollo da batteria, che nasce, vive ed ingrassa fino ad essere trasformato in morbidi bocconcini.
Un'incoerenza che diventa di proporzioni enormi quando, noncuranti di questo piccolo dettaglio, illustri detentori della civiltà e del buonsenso, organizzano campagne mediatiche fatte di teneri cuccioli e cuoricini (che ricordano le stesse pubblicità di una nota marca di scatolette per gatti), facendo leva sulla sensibilità di ogni cittadino. “Il primo diritto degli animali è il diritto alla vita”, recita il brillante “Manifesto della coscienza degli animali”.
Chi difende gli animali (compresi vegani e vegetariani) dà in pasto alle proprie bestioline altri animali - in casi estremi, illegali, sembra che sia stato statisticamente possibile che il gattino o il cagnolino abbiano potuto nutrirsi con la carne del loro…”babbo” o del loro “nonno” - a cui evidentemente quella coscienza che piace tanto rivendicare alla nostra ministra del turismo, non è concessa. Una evidente contraddizione che da sola basta per smontare l'inconsistente proclama di Veronesi, Tamaro, Feltri e altri illuminati e illustri pensatori animalisti.
E se non c'è da escludere che qualche fanatico abbia tentato (in un moto di ortodossia ideologica) di nutrire il proprio dogo argentino a fagioli e carote condite in salsa di soia (fortunatamente il fenomeno non ha ancora preso piede, per lo meno per il rischio non poi così lontano di diventare essi stessi la cena del proprio animale), la maggior parte degli animalisti più radicali e convinti compra questi prodotti, senza battere ciglio, sistematicamente.
Non a caso gli interessi economici che si celano dietro a questa realtà sono enormi, ben diverso sarebbe se la consuetudine fosse quella di dare gli avanzi dei propri pasti agli animali, come è sempre stato e come sempre meno invece accade. Il settore del Pet Food in Italia è uno dei pochi che anche in periodo di crisi “tira”. Secondo il rapporto 2010 dell'Assalco (Associazione Nazionale imprese per l'alimentazione e la cura degli animali da compagnia), il mercato di scatolette e croccantini per cani e gatti è in costante crescita (+5,9%), per un giro d'affari totale che raggiunge gli 1,49 miliardi di Euro.
Basta fare due conti. In Italia 15 milioni di persone hanno almeno un animale domestico. Secondo i dati Eurispes in totale si hanno 6 milioni di cani di proprietà e quasi altrettanti gatti. Di questi il 45 per cento viene nutrito con cibi industriali appositamente confezionati. In questo enorme business (che globalmente dal 2004 è cresciuto del 34%), ci è dentro fino ai capelli anche la rampante Brambilla che tra le sue varie attività importa e commercializza proprio il cibo per animali, attraverso la sua Sal Pet Food. Nota anche l'altra sua attività, quella che la vede legata alla Sotra Coast International di Merate, una fabbrichetta di papà Brambilla, che importa e vende ai supermercati di tutta Italia pesci freschi e surgelati (anch'essi animali eccezionalmente privati di coscienza e diritti), che spesso anch’essi fanno parte della dieta dei tanto adorati gattini.
Tutto lecito, naturalmente ma, scoperte le carte non resta che fare due più due per comprendere che la mossa della Brambilla rientra a pieno titolo (inconsapevolmente?, a voi – e a lei - la risposta) in un sistema più complesso e strettamente legato ad un segmento di mercato in crescita, una specie di gallina dalle uova d'oro che comprende prodotti e servizi di ogni genere, legati al benessere degli animali. Gli italiani si scoprono un popolo sempre più attento alle esigenze di Fido e Micio e al varco trovano chi ha già messo le mani avanti da tempo. Risultato? Gli animalisti sono i primi responsabili delle mostruosità che loro stessi contestano!
Ma se l'amore smisurato per il mondo animale si ferma a poche fortunate creature pelose (possibilmente carine), com'è possibile che tale ipocrisia non salti agli occhi di chi sa vedere solo la pagliuzza in quelli di cacciatori, gestori di circhi e di zoo? (Non a caso sembra che i delfinari non rientrino nella lista nera, forse perchè il delfino ricorda le fattezze di un pesce ed è quindi meno tutelabile?). Non sanno i sostenitori dell'amore e della coscienza animale che i loro peluches animati provocano lo sterminio di altre milioni di bestie che finiscono i propri giorni stipate in angusti allevamenti? Non sanno che il cane del cacciatore si nutre degli avanzi della selvaggina che lui stesso ha contribuito a cacciare e che ha vissuto tutta la sua vita in piena libertà senza bisogno di ricevere attenzioni dalla patetica sete di coccole dell'essere umano?
Potremmo poi ricordare loro come l'uomo abbia coltivato nel corso dei secoli un rapporto fatto di collaborazione e affetto che proprio nella caccia trova una delle sue applicazioni più felici. Il cane, restituito al suo ambiente naturale ed ai suoi istinti, vive con immensa gioia le uscite con il cacciatore. Non sappiamo se lo stesso possa accadere ad un povero chihuahua, scelto per moda e costretto in improbabili cappottini, anche se il confronto è subito fatto.
Alla luce di tutto ciò e a fronte delle intenzioni abolizioniste, non possiamo che opporci a questo modo miope di vedere le cose. Se i buoni sentimenti animalisti hanno un prezzo, non devono essere i cacciatori a pagarlo. Si prendano il peso delle proprie responsabilità, compreso quello delle tonnellate di anidride carbonica riversate nell'atmosfera per il mantenimento dei loro animali. Ad ognuno le proprie contraddizioni.
C.F.