La mia giovane età e la poca esperienza mi impongono un certo equilibrio nel momento in cui mi accingo a scrivere. Non è facile, perchè sono di indole forte e poco paziente, amo essere diretto in tutto, è la mia natura e non sempre riesco a nasconderla. Vado a caccia da quasi dieci anni ma da sempre vivo immerso nella campagna. Ho usato di proposito la preposizione “nella”, per sottolineare che non appena ritaglio uno spazio di tempo libero nella mia vita quotidiana devo saziare la mia irrefrenabile voglia di stare all’aria aperta, nei campi, al fiume o nell’orto.
Amo la campagna nella quale sono nato, non riuscirei mai a privarmene, il mio dna me lo vieterebbe. Dicevo appunto dei miei miseri dieci anni di licenza, pochi o tanti che siano, credo di essere entrato prestissimo nel mondo venatorio attivo. Da subito ho voluto rendermi utile alla gestione delle sue risorse, infinite e incredibilmente sane. Ho capito presto che si trattava di un mondo estraneo all’odierno, fatto di grandi e semplici uomini, che vogliono raggiungere tutti un unico fine: svegliarsi all’alba e immergersi nel sogno passionale della caccia.
Così non ho fatto fatica ad inserirmi tra loro. Come in ogni realtà, non nascondo che anche fra i seguaci di Diana qualche problema esiste. Anche fra noi serpeggiano vizi e virtù che segnano il cammino della nostra categoria. Non tutti partecipano alla vita sociale, limitandosi a cacciare per il proprio carniere, c’è chi non rispetta le regole, c’è chi pecca di egoismo, chi muore di gelosia e chi si improvvisa “cacciatore della domenica”. Come per tutti gli uomini, nessuno è perfetto. Ma c'è una cosa che ci accomuna a tutti ed è la nostra natura di cacciatori, come diceva un grande della caccia italiana, Adelio Ponce de Leon: “un cacciatore cosa rimane a fare al mondo, se non potrà più cacciare?” Questo è l’abc, il fondamento, il pilastro reggente, la prima nota, o come diavolo volete chiamarlo, della nostra passione. Dovrebbe essere scritto in ogni sezione di caccia, fotocopiata su ogni licenza perché raffigura la nostra anima.
Da qui voglio partire. Da qui voglio lanciare il mio monito. Dato per assodato che ogni cacciatore deve andare a caccia, occorre lavorare perché ciò sia reso possibile. In Italia, siamo soliti organizzare la società frazionandola minutamente e lo vediamo da anni nella politica. Quanti partiti esistono? Ora poniamoci delle semplici domande. Quanto ci costano? Quanto ci costerebbero se fossero solo tre? Cosa rappresentano? Chi rappresentano? Quali sono le differenze? Rapportiamo il discorso alla caccia: quante associazioni venatorie convivono in Italia? La risposta è unanime: “troppe”! Con tutto ciò che ne comporta: divisioni accentuate, costi eccessivi e spesso inutili e poca forza decisionale, non sufficientemente capace di rappresentarci per quelli che siamo.
Ora torniamo all'anima della caccia. Da Nord a Sud, isole comprese, siamo tutti cacciatori, senza colori e senza ideologie pseudo-politiche. Tutti vogliamo la stessa cosa, tutti abbiamo la stessa passione che ci scorre nelle vene. Allora perché dividerci. Perché combattere per la stessa posta, ma divisi sotto diverse bandiere? Se non ve ne siete ancora accorti, la caccia sta attraversando un momento epocale, uno di quei momenti che possono cambiare il futuro in male, in peggio o indirizzarlo verso la giusta via. Ora sta a noi, ai nostri rappresentanti capirne l’essenza e interpretarla nel modo giusto. Se sbagliamo adesso, non avremo più la possibilità di ripercorrere il cammino che fin qui ci ha portati.
Siamo di fronte al compimento di scelte legislative d’importanza storica in grado di allontanarci ulteriormente dal resto d'Europa, che finora in tema di caccia (salvo eccezioni), si è conformata, legiferando con parsimonia e con audacia. Oltre le Alpi hanno lavorato tutti bene. Dall’Inghilterra ai vicini Francesi. Ottimi calendari venatori, giusto accreditamento all’azione del selecontrollo, ottimo rapporto con l’agricoltura e dunque con la gestione dell’ambiente. Il tutto condito da un crescendo di consensi intorno ai cacciatori.
E noi della penisola? Siamo ancorati a chissà quale fondale, fermi ad una legge vecchia di vent’anni, obsoleta e poco europea. Siam divisi, non abbiamo un fronte comune, veniamo ripetutamente presi in giro all’alba delle tornate elettive con promesse politiche mai mantenute. Il territorio viene continuamente deturpato anche a causa di una poco attenta e decisa gestione del territorio da parte degli atc. Gli accordi con il mondo agricolo, unica via per garantirci uno spazio adeguato nel quale praticare, sono ancora un miraggio lontano. Ci troviamo inoltre nel mezzo di un ciclone mediatico anticaccia, capitanato dalla ministra Brambilla, che del turismo dovrebbe occuparsi, seguita da un cumulo di vecchi referendisti rispolverati per l’occasione, alimentati da associazioni d’ogni sorta che sembrano aver mutato l’oggetto sociale variandolo in “missione abolizione della caccia”!
Cosa stiamo aspettando dunque? Non riesco proprio a capire, sarà la giovane età e l’amore cieco che nutro per la caccia, ma mi domando perché in Italia, anche in tema venatorio, dobbiamo rendere tutto così difficile. La caccia dovrebbe essere gestita da chi la pratica con ardore e al limite della quotidianità, da chi abbia le giuste competenze e la giusta esperienza, da chi vive l’arte venatoria cacciando negli atc e nei comprensori, evitando i “signori” riservisti (non me ne vogliano, ma son mondi diversi).
I nostri dirigenti dovrebbero essere uomini fieri del loro compito, che dovrebbe essere espletato soprattutto con passione, senza mirare al seggiolino come i politici, senza secondi fini. Si scansi chi diversamente agisce, lasci spazio a chi interessa solo lavorare per la caccia e in nome di essa. Serve un’unica associazione che ci rappresenti tutti, che unisca forze che finora han spinto in direzioni diverse, convogliandole tutte in un unico motore. Servono nuove leve, giovani che disdegnano l’arrivismo che l’Italia politicizzata ancora oggi ci insegna. Serve una rivoluzione, pacifica ovviamente, perché pur sempre stiamo parlando di una passione e non è il caso di alzare eccessivamente i toni. Ma tutto questo deve succedere presto, altrimenti il futuro della caccia potrebbe non esser così roseo.