La caccia, in un tempo non molto lontano, è stata il fiore all'occhiello dell'aristocrazia. Re, nobili e ricchi mercanti, dalla Roma classica al tardo medioevo fino a qualche decennio fa, l'hanno praticata come consuetudine sociale e ne hanno fatto sfoggio nelle loro sontuose abitazioni ornate da bellissimi arazzi e leggendarie tele, che li immortalavano in nobili tenute venatorie, con tanto di fucile e segugio. I romani e i greci invocavano i favori della dea Diana (o Artemide) dedicandole statue marmoree di rara bellezza. Viaggiando a ritroso tra le pieghe della storia e dell'arte, nelle sale dei più prestigiosi musei del mondo o in piccole pinacoteche di provincia, ci rendiamo conto che la caccia prima che hobby o divertimento o passione, è e sarà sempre uno dei fondamenti della natura umana e della vita sociale di ogni epoca.
Il gesto venatorio è stato per esempio uno dei pochissimi punti di congiunzione tra mondi opposti. Il villano e l'aristocratico, certo con mezzi e necessità diverse, come in una sorta di “livella” alla Totò, sui terreni di caccia misuravano le proprie abilità (l'uno per mangiare, l'altro spesso per pura gratificazione), rubandosi a vicenda i segreti per rimpinguare il proprio carniere (ricco di cervi, daini, caprioli, pernici, ed esclusivo quello del signore, misero di capinere, fringuelli, peppole, carinzoli nel caso del contadino). Un mondo intriso di storie, leggende e tradizioni, che attraverso libri e reperti storici racconta le stesse emozioni dei cacciatori di oggi.
In un tempo in cui la natura la faceva da padrone, la caccia, così come tutte le altre attività legate alla vita contadina, entrava quotidianamente nella vita di ognuno portando con sé un bagaglio immenso di conoscenze, oggi pressochè perdute per la stragrande maggioranza della gente. Questa vera cultura della ruralità, rivive fortunatamente grazie alle fiere della caccia, alle feste tradizionali, alle mostre di antiquariato venatorio e alle iniziative che in generale celebrano la poesia di quella dimensione da molti considerata ormai lontana.
In Toscana, terra illuminata anche da un punto di vista normativo, anche per quanto riguarda la dimensione “caccia& natura”, questo contatto è ancora palpabile come in diverse altre regioni, soprattutto nelle zone meno industrializzate dello stivale. E non a caso quindi proprio la Toscana in questa calda stagione estiva ospita tre mostre pittoriche incentrate su questo tema.
A Barga la Fondazione Ricci celebra la civiltà contadina con oltre cento opere che raccontano L'armonia della terra. Immagini della Valle del Serchio nella pittura Toscana (3 luglio - 5 settembre 2010). A Pescia, ridente cittadina in provincia di Pistoia, che diede i natali a uno dei più importanti pittori animalier del nostro Novecento, Mario Norfini, la caccia è raccontata in una straordinaria raccolta delle sue tele più rappresentative (Mario Norfini. Pittore della caccia e degli animali. 09 luglio – 12 settembre 2010). Infine alla Villa medicea di Cerreto Guidi (sede del Museo Storico della Caccia e del territorio) tramite una straordinaria mostra di dipinti e oggetti antichi si fa un viaggio a ritroso tra gli svaghi dei nobili e le loro passioni, caccia in primis, ovviamente, con l'esposizione straordinaria Per utilità e per diletto "Cittadini" in Villa (2 luglio - 3 ottobre 2010). Tra le opere più significative fa sfoggio il bronzetto dell'Uccellatore del Giambologna. I visitatori troveranno anche armi antiche, coltelli e schioppi singolari, ritratti di cacciatori, tra cui quello dell'Elettrice Palatina, pseudonimo di Anna Maria Luisa de’ Medici, che le cronache ci restituiscono come abile cacciatrice.
E’ una ricca e sontuosa rappresentazione, soprattutto per quanto riguarda la Mostra di Cerreto Guidi, che testimonia quanto in Toscana si dia ancora grande valore a questo mondo, che ancora oggi costituisce un forte raccordo fra tradizione e società, ancora vivo e palpabile, che dà l’idea di come certe “sapienze” si sono tramandate di generazione in generazione, e ancora fanno parte di un modo di vivere profondamente sentito nelle campagne.
Forse, tenendo proprio conto che in estate queste iniziative consentono l’incontro fra mondi e culture diverse, fra la gente di campagna e quella di città e soprattutto con una massa di turisti proveniente da altri territori, insieme ai tanti sforzi profusi per creare “movimenti” e richiamare l’attenzione sulla cosiddetta “cultura della ruralità”, forse, dicevamo, non sarebbe male impegnarsi a far parlare la storia, l’arte, la cultura, il vivere insieme, di un mondo, il nostro, che deve adattarsi a ridurre i proclami e a utilizzare linguaggi più immediati, più fruibili, da parte di un interlocutore - il cittadino medio dell’Era dell’immagine - che poco sa delle ragioni per cui noi ancora andiamo a caccia, ma è in grado di capire che dietro a un bel quadro, a un oggetto di ottima fattura non ci può essere solo un’esigenza primaria, quella alimentare, ormai erroneamente concepita come superata, ma un modo di essere che si colloca nella sfera dell’etica e dell’estetica, ovvero il Giusto e il Bello, fattori distintivi dell’essere uomini.
E tanto per finire in gloria, a proposito appunto di “alimentazione”, cerchiamo, tutti noi che intendiamo sostenere e rivalutare la “cultura della ruralità” (strettamente connessa al nostro essere cacciatori), di darci da fare per incrementare le già diffuse sagre estive, con lunghe tavolate che propongano in abbondanza piatti a base di selvaggina, quella di cui è consentito il commercio e la somministrazione al pubblico, ovviamente, cinghiale per primo, ma anche cervo daino capriolo camoscio e muflone, come fanno soprattutto in tutta la nostra fascia alpina, e pure lepri, fagiani, starne, germani, colombacci (avete mai assaggiato o fatto assaggiare il piccionaccio alla leccarda di Amelia?). Ci accorgeremo che, salvo quei pochi vegetariani e quei pochissimi anticaccia viscerali, la schiera dei nostri amici potrebbe allargarsi a dismisura. Se poi, grazie ai tanti nostri volontari, riusciremo a devolvere i proventi del nostro impegno a fini benefici e umanitari, come già noi facciamo in gran parte delle nostre rustiche ma accoglienti comunità campagnole, chissà che l’amico conquistato non possa diventare anche un nostro entusiasta sostenitore. Hai visto mai che, piatto dopo piatto, sagra dopo sagra, mostra d’arte dopo mostra d’arte, anche il nostro più convinto avversario non possa essere in grado di capire che dietro a ogni cacciatore, anche di oggi, c’è un anima gentile e un cuore grande così. Da lì, a capire che anche un fringuello allo spiedo, alternato a un crostino e a un fegatello, può essere utile alla causa, il passo potrebbe risultatre davvero breve!
C.F.