Vabbè, c’abbiamo i grillini. Ce l’abbiamo in Parlamento, ce l’abbiamo adesso anche a Bruxelles e per guadagnarsi un po’ di visibilità a buon mercato, spesso fanno come i Verdi e gli ambientalisti ormai sempre più animalisti. Sparano a palla incatenata sulla caccia i cacciatori. è un sintomo, grave, a mio parere, della loro pochezza. Non sono all’altezza di affrontare i grandi temi e allora ripiegano sulla Croce Rossa. Ma anche lì, spesso e volentieri, la tirano di fuori. Non hanno capito che darci addosso porta male. Guarda quella povera Brambilla, che cerca di riciclarsi con un nuovo look più decoroso (dai cani ai bambini, come se ne capisse qualcosa, ha scritto recentemente Alex Corlazzoli), visto che i suoi colpi di scena mediatici (prima inventa Dudù, poi gli trova la fidanzatina) non hanno portato granchè bene. Nè a lei, nè a chi le ha dato credito. Una vicenda che qualcosa potrebbe insegnare. Potrebbe essere materia di riflessione, per i grillini o forse per una sola parte di loro, perchè sulle questioni ambientali vere, masticano amaro. A Parma, per esempio. Avevano impostato una campagna contro l’inceneritore, probabilmente meritoria, ma poi, a Comune conquistato, il sindaco Pizzarotti, pur bravo, ha dovuto fare marcia indietro.
Secondo me, tutti questi, grillini, Brambilla, pecorari, zannuti vari di complemento, non hanno capito che, al di là delle apparenze, la caccia è ancora viva, radicata nei territori, forte di una cultura e di una tradizione che la gente vera, quella italiana doc, tanto ruspante quanto genuina ma che conosce e usa i nuovi mezzi di comunicazione, “social” compresi, riconosce come propria, vicina al comune sentire di chi non dimentica le proprie radici rurali, sane, che vivaddio sono e saranno quelle che ci aiuteranno a uscire da questo lungo tunnel che una politica sciagurata ci impone da ormai troppo tempo.
I segnali? Ottimi e abbondanti. Purtroppo, lo dobbiamo riconoscere, la crisi ha fatto capire ai molti ignari che i problemi, dell’ambiente e non solo, sono altrove. E che, comunque, il nostro mondo ci sta mettendo del suo nel testimoniare che al di là di tutto la caccia è forte, è positiva. Con il successo delle manifestazioni, prima di tutto. Tutte in crescita, dall’Hunting Show al Game Fair, alle tante, innumerevoli altre, che da un po’ di tempo nascono come funghi. E tutte benedette da folle di entusiasti. Una miriade di giovani, di donne, di appassionati, che non si affacciano solo per curiosare sui nuovi modelli di schioppi o sugli stivali ultimo grido. No, partecipano, sperimentano, vivono intensamente la giornata. S’informano, discutono, dicono la loro con competenza e con passione.
C’è ancora un forte senso di appartenenza alla bandiera, è vero, però è nato e cresce il bisogno di condividere, di stare insieme, di insistere sull’unità. Alle prove generali non si assiste solamente in Toscana, ma anche in Lombardia, in Veneto. Alle fiere, le diverse associazioni si propongono in stand unitari, organizzano dibattiti con spirito corale. Organizzano eventi, anche minimi, condividono gli obiettivi, si distribuiscono i compiti.
Una mano, lo dobbiamo dire, ce la danno le nostre donne, le tante massaie ma anche le giovani che sempre con maggiore entusiasmo prendono la licenza e primeggiano in conoscenza e competenza.
La caccia è viva. è più viva di prima. La gente nemmeno se ne accorge, ma la ricchezza della nostra fauna selvatica dà sostanza anche al loro palato. Non c’è bottega, drogheria, mercato rionale o fiera di paese, trattoria, locanda, osteria, ma anche ristorante pluristellato, che non offra qualcosa che sappia di cacciagione. I grandi chef, ormai da tempo, non disdegnano di cimentarsi con ricette anche rivoluzionarie con selvaggina, che fanno invidia alla grande tradizione gastronomica francese, inglese o mitteleuropea. Vedete al proposito www.bighunter.it alla voce Cucina. Dalla beccaccia al cervo, dal cinghiale alla lepre, dal germano alla pernice, ormai è un tripudio neorinascimentale. Recentemente, ho avuto il piacere di assaggiare fra l’altro “il cinghiale va al mare”, preparato per un pubblico superselezionato, competente, da Igles Corelli, grande gastronomo, grande innovatore. Sapori unici, intensi, quasi una provocazione, a conferma che anche con un prodotto antico, tradizionale, si può fare innovazione. Non è stato da meno Bruno Barbieri, ormai star della televisione, che introdotto da Matteo Marzotto (famiglia di appassionati cacciatori), ha dato il via all’ultima edizione del Game Fair. Tanto per rinverdire i fasti di una kermesse che fin dalla nascita, ormai una vita fa, fece della cultura gastronomica una delle sue carte vincenti.
Breve digressione: Chi scrive, ormai anzianotto (ma a me, al mattino quando mi faccio la barba davanti allo specchio, piace ancora vedermi come un...diversamente giovane...), come molti di voi sanno ha un ricordo di prima mano. E qualche nostalgia. Nostalgia del primo impatto a Chambord, con Gianni Bana e Pino Foccoli (Beretta France), quando con Nicolas Noblet, Federico Odescalchi e la dinamicissima Sophie Galeras decidemmo di tentare con quella favolosa kermesse anche in Italia. Sulle rive del Lago di Bracciano. Nostalgia di quel mondo della caccia italiana, ai tempi eroici dei referendum, quando Rosini, Mingozzi, Fermariello, Cardia, aderirono entusiasti all’idea e al progetto. Nostalgia di quei banchetti formali al Castello, o dei pranzi misto-vip di Principi & Butteri, ma anche di quelle serate sotto un pergolato con i ragazzi - più o meno - dello staff (e Benedetto Barberini, e Saverio Patrizi, e Fausto il capocaccia di Vigna Grande) a passare la notte cantando, davanti a una griglia sempre ben alimentata. E le proposte gastronomiche, anche nuove (petti di colombaccio), del giovanissimo Federico Cenci introdotto da quel matto geniale di Roberto Fidanzi; il “piccionaccio alla leccarda” degli amici di Amelia, i rigatoni al sugo di folaga di Giovanni Franceschi, i tanti laboratori del gusto, con variante al sapore/afrore selvatico, gli spuntini col prosciutto di cinghiale o con la porchetta ruspante, salsicce e salamini che sapevano di caccia già appena li adocchiavi. (Scusate l’inciso, ma mi piace ricordare che con la proposta della gastronomia come vessillo della nostra cultura, veniamo da piuttosto lontano).
E i giovani? I tanti giovanotti acqua e sapone che si alzano prima dell’alba, sfidano le intemperie, la pioggia, il freddo, per non mancare l’alba, per vivere una giornata all’aria aperta, magari attrezzati di tutto punto con vestimenta ipertecnologiche, ma freschi nell’anima e grati a chi, spesso il genitore, gli ha offerto l’opportunità di diventare uomo.
Sono tutti segnali, sono convinto, che ci fanno sperare in meglio per questa nostra passione. Una realtà che senza dubbio riuscirà a prevalere ancora una volta sul maleodorante rigurgito delle residue velleità tardo-verdastre, ormai sul viale del tramonto dell’ultima fanfara radicaleggiante.
In bocca al lupo a tutti. |