Dal lontano 1953 (prima licenza di caccia) ho allevato i cani (setter) con i quali ho cacciato e nella doppia veste di allevatore e cacciatore sono stato testimone diretto dell'evoluzione genetica dei cani da caccia che in questo mezzo secolo si è resa necessaria per tenere dietro alle modificazioni dell'ambiente, dei selvatici, dei modi di cacciare, e sono convinto che i cani di oggi siano superiori in tutto a quelli del passato.
Pochi ricordano che un tempo quasi tutti i cuccioli (allora geneticamente riottosi e indisciplinati) dovevano subire un dressaggio preliminare all'uso venatorio per consolidare le qualità fondamentali e il collegamento con il cacciatore.
Ma durante questa fase i cani acquisivano un loro modo di cacciare al quale poi il cacciatore si doveva bene o male adeguare.
Oggi la situazione è completamente diversa perchè chi ha bisogno di un cane si procura un cucciolo di pochi mesi, lo tiene in casa, lo alleva e questo già dopo le prime esperienze, e senza pressioni addestrative, non solo è in grado di svolgere un buon lavoro ma lo fa nel modo desiderato dal padrone (il che è dimostrato dalla unanime soddisfazione di tutti i cacciatori che tengono i cani in casa).
Il cane "autodidatta" è una novità di enorme rilievo che a mio avviso è il risultato della selezione fatta dagli allevatori, della convivenza domestica e venatoria tra cane e padrone-cacciatore, e del legame strettissimo che nelle convivenza di crea tra i due.
La spirale virtuosa è stata innescata dagli allevatori che sfruttando la plasticità neuronale del cane sono riusciti ad incrementarne geneticamente, docilità, precocità venatoria, capacità di apprendimento, di adattamento e socialità cooperativa.
Ne è risultato un cane non solo particolarmente adatto alla convivenza domestica ma anche capace di cacciare subito senza pressioni addestrative, e così si è diffusa tra i cacciatori l'abitudine di allevare e tenere in casa i cani da caccia.
Inoltre nella convivenza la varietà e pluralità degli stimoli (assai superiori a quelli della vita in canile) hanno sollecitato la sinaptogenesi del cucciolo, con potenziamento delle funzioni percettive, adattative e cognitive.
La maggiore complessità del sistema nervoso ha consentito al cucciolo l'"apprendimento sociale" cioè la attitudine ad integrarsi con la realtà esterna fornendo risposte congrue e flessibili agli stimoli esterni.
Ma l'elemento in assoluto più importante è il legame strettissimo e totalizzante che il cucciolo allevato e tenuto in casa sviluppa con il padrone-cacciatore, quasi una simbiosi che influisce sulla natura, sul carattere del cane e sul suo modo di cacciare dando luogo ad una forma di dipendenza inedita e quasi patologica.
Questo vincolo tra cane e padrone, intenso e pervasivo come mai era avvenuto prima, probabilmente è dovuto al fatto che il cucciolo appena svezzato, separato dalla madre e dai fratelli e introdotto nella casa del padrone, non avendo esperienze o punti di riferimento precedenti, percepisce la nuova realtà come un prolungamento di quella precedente e come faceva con la madre si applica a rafforzare il rapporto con il padrone, considerato inizialmente come sostituto della madre e poi come capo-branco (dal quale dipende per il cibo, per la sicurezza, per la socialità, per la caccia) e a tale scopo usa il repertorio di moine accattivanti e i comportamenti (che usava con la madre) che percepisce essere graditi al padrone.
Con la sua sbalorditiva capacità di osservazione il cucciolo impara a "leggere" attraverso il linguaggio del corpo gli stati d'animo e gli umori del padrone e per istinto si sforza di adeguarsi a quello che il padrone mostra di apprezzare perchè questa approvazione diventa il "rinforzo positivo" costante del suo modo di essere.
In sostanza, tutta la fase critica dello sviluppo del cucciolo, che consta della socializzazione umana, dell'effetto paura, della dominanza del padrone (capo-branco), dell'adattamento alle regole della convivenza, del senso del territorio e della gerarchia, avviene in ambiente umano e con costante riferimento al padrone.
Reciprocamente dal canto suo il padrone è sedotto dalle effusioni del cane che ritiene dovute alla gratitudine e all'affetto e ricambia il cane con "premi" e carezze e così alimenta la reciprocità del rapporto, e nella sublimazione della caccia, il cane, come dice acutamente Mainardi, diventa "compagno di vita e di lavoro".
In questa fase emergono gli "imprinting" cioè il complesso di reazioni agli stimoli che viene assorbito in modo indelebile e immodificabile sistema nervoso (come avviene per la paura dello sparo o per il rifiuto del consenso), un fenomeno che i neurologi definiscono "stabilizzazione sinaptica selettiva".
Quando stabilisce questa simbiosi con il padrone il cane che gergo venatorio si definisce "appadronato" nella caccia si sintonizza su ciò che vuole il padrone come per collegamento telepatico così riesce a "fare sistema" con lui.
In sostanza nel cane "appadronato" per effetto di un "imprinting" l'istinto venatorio perde autonomia e diventa un tutt'uno indissolubile con il padrone.
Un riscontro fattuale di questo si trova in ciò che accade se cambia padrone: il cane "appadronato" per alcuni giorni rifiuta di mangiare e di cacciare, e in casi limite, non vorrà più cacciare con nessun altro.
Enrico Fenoaltea