“…un quarto d’ora prima che tramonti il sole, in primavera, entrate in un boschetto con lo schioppo, senza cane. Vi cercate un posto da qualche parte, vicino al margine.
Il quarto d’ora è passato. Il sole è andato sotto, ma nel bosco è ancora chiaro; l’aria è pura e trasparente; gli uccelli balbettano ciarlieri, l’erba novella luccica dell’allegro splendore dello smeraldo. Voi attendete. L’interno del bosco si oscura gradatamente; la luce rossa del crepuscolo sfiora lenta le radici e i tronchi degli alberi, sale sempre più su, passa tra i rami più bassi ancor quasi nudi,alle immobili cime che si assopiscono. Ecco,si son fatte scure anche le cime stesse;il cielo vermiglio s’inazzurra. L’odore del bosco diventa più forte. Gli uccelli si addormentano,non tutti in una volta, ma per specie: ecco che si sono chetati i fringuelli, dopo qualche istante le capinere, poi gli ortolani. Nel bosco è sempre più scuro. Gli alberi si fondono in grandi masse nereggianti; nel cielo turchino spuntano timide le prime stelle. Ancora una volta sopra di voi, ha risonato la voce sonora del luì, in qualche parte il rigogolo ha mandato il suo malinconico grido,l’usignolo ha fatto il primo schiocco.
Il vostro cuore langue d’attesa, e d’un tratto,- ma solo i cacciatori mi capiranno- d’un tratto nella quiete profonda, echeggiano un gracchiare e un sibilo d’un genere speciale, si ode uno smisurato battere d’agili ali, e una beccaccia, inclinando con grazia il suo lungo becco, vola dolcemente da dietro a una oscura betulla incontro al vostro tiro.”
So che i “beccacciai” (e non solo quelli) si staranno agitando,non è legale e soprattutto non è etico cacciare la beccaccia all’aspetto, ma questo brano tratto dal libro Memorie di un cacciatore di Ivan Turgenev è stato scritto nel 1850. Sono sicuro che il grande poeta e scrittore oggi sarebbe d’accordo con tutti noi sul fatto che praticare questo tipo di caccia equivale a disonorare colei che è considerata la regina del bosco.
Ma il pezzo sopra riportato non vuole focalizzare l’attenzione sullo scopo dell’”aspetto”, ma su come l’uomo, attraverso la caccia, riesce a leggere nella natura che lo circonda la reale e concreta poesia della vita.
Ricordo perfettamente il luccichio presente negli occhi di mio nonno quando mi raccontava della sua prima lepre; sebbene fossero passati circa cinquant’anni, lui lo raccontava come se tutto fosse accaduto mezzora prima. E ricordo allo stesso modo la disperazione, sempre negli stessi occhi, quando la malattia gli impedì di continuare a vivere la sua passione.
Che cosa, mi sono chiesto, spinge un uomo a preoccuparsi più per una passione che non può praticare che per la sua salute?
La risposta credo sia in quelle righe scritte da Turgenev e non solo da lui. Hemingway ne “ il vecchio e il mare” racconta con grande emotività il rapporto tra l’uomo,la natura (in questo caso il mare) e il selvatico che lui ha pescato. Ma ciò che principalmente viene messo in evidenza è il grande rispetto che lo stesso pescatore nutre nei confronti del pesce con cui sta lottando.
Rispetto, emozione, amore, poesia, passione. Parole che abitano cuori tutt’altro che aridi e geneticamente crudeli.
L’uomo, attraverso la caccia ritorna alle origini, ritorna nelle braccia della propria madre,braccia che lo hanno cullato e nutrito per milioni di anni.
I tramonti,le albe, il cane in ferma, la pioggia, il sole, i grandi boschi o le immense pianure, i monti, i fiumi da attraversare... questo e molto altro fanno sì che la caccia altro non sia che un ritorno a casa.
E si sa,quando si ritorna a casa il cuore si colma di gioia,e da questo sentimento non può nascere che poesia.
Non importa se questa poesia si riesce a scrivere,alcuni lo hanno fatto, altri metabolizzano in modo diverso.
C’è però un comune denominatore: la pace interiore.
Una pace che è frutto di una perfetta armonia che si forma quando l’uomo è in totale accordo,come le corde di uno strumento, con la madre terra e con tutto ciò che ad essa appartiene.
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