Può darsi che oggi, 23 aprile 2012, o nei prossimi giorni, il presidente del Piemonte Cota presenti una leggina con l'intento di abrogare la legge regionale sulla caccia, rendere inutile così il referendum, temuto ormai dagli stessi promotori, e far credere che si risparmieranno quei milioni di Euro (dieci o venti o ventidue che siano) che si dice verranno bruciati per celebrarlo.
Intanto, mentre la Lac ricorda che per evitare il referendum bisogna fare proprie integralmente le richieste dei promotori, su “La Stampa”, noto quotidiano filoanimalista, si batte la grancassa affinché la consultazione venga impedita, anche se nello stesso tempo si registra l' apprensione per la difficoltà che gli anticaccia incontrano nell'organizzare i comitati di sostegno. Forse – per organizzare una bella campagna – li avrebbero voluti loro quei milioni di Euro, che per la loro sciagurata pervicacia i cittadini piemontesi dovranno sborsare per farli divertire. Solo divertire, ovviamente, perchè ormai lo dicono tutti gli osservatori, questo referendum fallirà miseramente per mancanza di quorum.
A tirare il gruppo, oltre ai soliti esagitati, ci sono quelli di Legambiente Piemonte (Gianni Pesce) e certi “Amici degli Animali” (Michele Suma, anche lui targato), ai quali si sono affiancati il segretario regionale del PD, Morgando, un consigliere regionale (capogruppo del PD, Reschigna) e un parlamentare dello stesso partito (Stefano Esposito) che non la mandano a dire. Sperano in questa sospirata leggina per farlo saltare, il referendum. Staremo a vedere se ci riusciranno. Difficile comunque pensare che sia una soluzione accettabile dai cacciatori, in quanto – è già stato detto e scritto – perchè possa avere efficacia dovrà accogliere richieste assurde, che ridurrebbero l'attività venatoria a una farsa, con la conseguenza praticamente di chiuderla, e quindi di far perdere risorse molto più consistenti di quante se ne potrebbero risparmiare non celebrandolo, il referendum. Solo in due o tre anni verrebbero a mancare cospicui introiti sia direttamente alla Regione (tasse regionali), sia allo Stato (Porto d'Armi), sia a tutto un settore che fa lavorare, solo in Piemonte, migliaia di persone, fra operatori diretti e indotto. Danni incalcolabili, quindi, a un sistema economico, collegato all'industria, al commercio, all'agricoltura, al turismo, in un periodo in cui cose di questo genere non c'è proprio da augurarsele. Appare chiaro, quindi, che anche le forze politiche responsabili, e un opinione pubblica oggi particolarmente attenta a non impoverire ancora di più la nostra economia, dovranno adoprarsi, alcune loro malgrado, per far fallire l'operazione. Ovvero: impegnarsi perchè non si raggiunga il quorum.
A meno che, questi stessi promotori, consapevoli del pericolo, e finalmente rapiti da un moto di “resipiscenza operosa”, non si facciano carico di lanciare un messaggio di responsabilità e dichiarare urbi et orbi, che dato il difficile momento economico, per risparmiare anche quei milioni che farebbero davvero comodo per tappare ben altre poste di bilancio, questo referendum non s'ha da fare. Sicuramente troverebbero il plauso degli amministratori, acquisirebbero maggiore credito nei confronti dell'opinione pubblica, e riuscirebbero finalmente a fare qualcosa di utile per tutti, invece di inventarsi nemici immaginari, i cacciatori, che fino ad ora sono solo serviti a distogliere l'attenzione dai reali problemi del territorio.
L'alternativa per lor signori, lo ripetiamo, potrebbe essere si una leggina, ma che sic et simpliciter non potrebbe far altro che abrogare con un colpo di spugna l'attuale legge regionale, rimpiazzandola con i principi generali della legislazione nazionale (Legge quadro). In attesa che la politica, democraticamente, non attravreso colpi di mano, recuperi con una leggeregionale organica i reali interessi della gente del Piemonte.
Ma la strada, purtroppo, appare segnata: i piemontesi perderanno i loro bei milioni di euro per una consultazione inutile, pur se – finalmente, una volta per tutte – per la volontà di quattro scriteriati, sarà un massacro anche per quelle forze ambientaliste sane, che saranno seppellite da una valanga, di quelle toste, di carducciana memoria (“Salta il camoscio/Tuona la valanga...”). Insomma una caduta rovinosa, letale, salutare e definitiva, per un movimento che nelle condizioni in cui siamo non porta nessun vantaggio alla società. E i conti sono presto fatti. In Piemonte, per i referendum sull'acqua e il nucleare, sono andati a votare neanche il 60% degli aventi diritto. Un risultato ottenuto – in un giorno e mezzo - grazie al dispiegarsi di forze imponenti, che avevano occupato piazze, talkshow televisivi, opinion makers, che, lo sanno tutti, per schierarsi – se si escludono forse la Hack e la Litizzetto – vogliono dei bei soldini (in passato, qualcuno ha detto che li avrebbe dati in beneficenza, ma probabilmente se n'è dimenticato). E qui, di soldi si parla. Chi li metterà a disposizione per finanziare una campagna per una causa – diciamocela tutta – che interessa solo a quattro scalzacani?
Date retta, cari promotori, non è più il tempo dei digiuni, avete tutti il doppio mento, un'adipe che svela la vostra reale voglia di fare rivoluzioni. Fate il bel gesto! Rinunciate! Chiedete a Cota che almeno una parte di quei dieci milioni (o venti che siano) vengano impiegati per risolvere qualche problema faunistico/ambientale. Anche in Piemonte – dove camosci e stambecchi furono salvati dal Re Cacciatore - ce ne sarebbe bisogno, ma non è certo cancellando la caccia da questi nostri territori che si risolverebbe qualcosa. Anzi!
Roberto Lottini
P.S. Se poi volete insistere, magari perchè ne va della vostra sopravvivenza, bene! In bocca al lupo!