I verdi francesi nelle scorse elezioni (cantonali) hanno raddoppiato i propri voti. La stessa cosa è successa in Germania dove, a sorpresa di tutti, per la prima volta un rappresentante degli ambientalisti è stato eletto a presiedere (insieme alla coalizione di centro-sinistra) la grossa regione del Baden Wurttenberg, dal 1953 governata dai cristiano democratici (che oggi fanno capo alla Merkel). Verdi che, occorre ricordarlo, non hanno niente a che vedere con i nostri plurisconfitti proprio mentre altrove i loro colleghi facevano manbassa di voti. Verdi che non disprezzano pregiudizialmente la caccia, come avviene qui da noi. Che conoscono la natura e la difendono.
Del resto la recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, riferita ad un caso tedesco, ha messo in evidenza una realtà da noi ancora lontana: lì la caccia è considerata un valore universalmente sancito a livello sociale, ambientale e culturale, a cui non è possibile opporsi per questioni “morali”, a danno altrui.
Il voto degli ultimi mesi, che risente sicuramente dei grossi eventi catastrofici del Giappone e del conseguente sentimento antinucleare, evidenzia al contempo in modo lampante come nel cuore dell'Europa più virtuosa e prolifera (che non è costretta ad occuparsi quasi quotidianamente di amenità di cui davvero vorremmo fare a meno), i nuovi ambientalisti siano capaci di comunicare idee di progresso e di crescita culturale, sociale ed economica, piuttosto che perseverare nella sbrindellata litania anticaccia che accomuna da noi gran parte dello schieramento parlamentare ed extraparlamentare.
Il mondo sta cambiando e sta prendendo piede una nuova idea di ecologismo contrapposta alla globalizzazione delle produzioni e all'idea di uno sfruttamento folle delle risorse di cui disponiamo. Se non fossimo così miopi, ci renderemmo perfettamente conto per esempio che le idee verso cui l'umanità si sta dirigendo con lungimiranza e dedizione, con il supporto della scienza e del mondo culturale (a cui la politica deve via via piegarsi, anche se per il momento i segnali sembrano piuttosto timidi), sono le stesse da cui prende piede la nostra “cultura della campagna”. Quella tanto cara ai cacciatori e agli agricoltori che va però difesa a fatti, creandole attorno una credibilità fatta di pochi sani principi, staccati dagli interessi di comodo del momento.
Non è un caso se uno dei più clamorosi successi della battaglia a difesa della campagna, abbia arriso qualche anno fa a tale Josè Bovè, oggi parlamentare europeo nelle schiere ecologiste, fondatore del sindacato dei contadini nel lontano 1987, che aveva tra i suoi valori principali la lotta per i diritti dell'uomo e dell'ambiente, ponendosi in contrasto con le multinazionali dell'agricoltura. Bovè, pare che sostenesse anche ii cacciatori, in Francia più che mai strettamente collegati alla realtà contadina. Oggi, per altri versi, analogo impegno trova un paladino in Carlo Petrini, patron di Slow Food: no agli Ogm, valorizzazione delle produzioni locali, risparmio energetico e impatto zero.
Gli Ogm, per chi li combatte sono un pericolo alla biodiversità, quella stessa biodiversità di cui la caccia ha un estremo bisogno e che con la sua stessa etica contribuisce a tutelare. E' qui che caccia e agricoltura trovano le loro affinità. Combattendo battaglie comuni, a tutela di principi basati su buonsenso e rispetto delle tradizioni popolari, con il supporto della tecnica e della scienza. La caccia, attraverso la salvaguardia di grandi zone selvagge, sia nei paesi dalle vaste aree selvagge, come gli Stati Uniti, sia nelle nostre seppur ancora numerose aree incontaminate, contribuisce a mantenere alle nostre latitudini specie di notevole interesse faunistico. Basta pensare all’ampio sistema lagunare, dove a una attività della pesca che segue ancora il respiro delle stagioni, si affiancano le valli da caccia, ricche ancora oggi di acquatici.
Caccia e agricoltura, anche da noi, hanno sempre convissuto felicemente,: i pascoli sull'appennino per esempio hanno favorito gli ambienti ideali per molte specie di uccelli, che hanno trovato le condizioni ideali alla loro proliferazione. La beccaccia, ad esempio, trova elementi essenziali per la sua permanenza, nei coltivi e nei pascoli ampiamente ricchi di materia in decomposizione, che favorisce la microfauna dei primi strati del terreno, lombrichi soprattutto. Al contrario, un'agricoltura che utilizza sistemi e metodi da industria avanzata, determina il totale impoverimento di ciò che oggi tutti reclamano come indispensabile per mantenere vitale l’ambiente che ci circonda. La biodiversità.
Il problema è che la maggior parte di coloro che di questa parola si riempiono la bocca ad ogni piè sospinto, nello stesso momento, consapevolmente o inconsapevolmente, la calpestano e la distruggono. L'importante è, per alcuni animalisti e ambientalisti nostrani, mantenere un regime di privilegi acquisiti e aumentare la propria sfera di influenza sul territorio, in contrapposizione sempre e comunque al modus operandi degli Atc e alle proposte che vengono dal mondo venatorio. Un modo per voltare pagina ci sarebbe: superare le divisioni interne e portare a galla la nostra idea di ecologia e di ambiente, incementando i punti di condivisione con il mondo dell'agricoltura e quello delle piccole realtà locali, creando basi di consenso basate sulla difesa di una comune idea di vita, quella che tutti comunemente chiamiamo Cultura Rurale.
Cinzia Funcis