Non siete soli. Con voi lottano ogni giorno 7 milioni di cacciatori. E come qui, anche altrove, in Francia, in Spagna, Austria e ovunque ci siano cacciatori ben rappresentati, la partita delle cacce tradizionali è tutt'altro che chiusa, tutt'altro che messa in secondo piano. La percezione che si ha, atterrando a Bruxelles, varcate le soglie del Parlamento europeo, è quella di un'attenzione affatto marginale dei problemi del mondo venatorio, legati soprattutto ad una avversione animalista che, tramite la stampa, finisce per influenzare istituzioni regionali e nazionali, in chiave negativa. Come sapete, ne hanno parlato diffusamente tutti i relatori durante la conferenza del 28 novembre al Parlamento Europeo, organizzata dall'europarlamentare italiano Giancarlo Scottà per affrontare due grandi temi: il futuro della caccia alla migratoria e le problematiche legate alla diffusione dei grandi carnivori (prevalentemente del lupo). Su entrambi i temi, non solo in Italia, la tendenza è quella di disconoscere la realtà e ignorare per esempio i danni delle specie che si sono diffuse in maniera incontrollata. Sulla base di irrazionali sentimentalismi che per esempio non tengono in nessun conto la truce morte degli animali predati dal lupo (che, come ha ricordato l’esponente francese Thomas Huber, non vengono appositamente mostrati dai media) o che, come avviene da noi, finiscono per dirottare addirittura le conclusioni scientifiche su cui si basano le leggi dello Stato.
Per fortuna, per le istituzioni europee la visione generale della gestione della fauna e della caccia è ben altro. L'approccio è formale e scientifico e per lo più scevro da ideologie, perché frutto di una accurata valutazione degli impatti positivi di quella che è sì una passione ludica di milioni di persone, ma anche l'unica vera attività di gestione rimasta nei nostri boschi. Le direttive di settore parlano chiaro: la fauna cacciabile è sottoposta a rigorosi livelli di verifica degli status e se si hanno sufficienti dati scientifici da presentare, si possono continuare a cacciare senza alcun problema perfino alcune specie valutate in generale declino. Sembrerà un controsenso ma non lo è. La caccia infatti su questo declino non influisce, come giustamente evidenziato da Bruzzone riguardo alla caccia in deroga chiesta in Italia. Le vere cause, lo si legge in tutte le salse ormai, perfino nei tanti rapporti del mondo animalista – vedi Lipu -, sono connesse ad un uso insostenibile del suolo (agricoltura intensiva, urbanizzazione, inquinamento) e ai cambiamenti climatici, che stanno realmente e repentinamente modificando le abitudini migratorie e riproduttive dell'avifauna migratoria soprattutto. Il passo degli ultimi due mesi lo dimostra purtroppo.
E' il caso dunque di smetterla di concentrarsi sui tanti, troppi, segnali negativi che vengono dal nostro Paese (esempio ultimo la richiesta italiana ulteriormente restrittiva sull'aggiornamento dei KC) e di guardare all'Europa, dove manderemo – o confermeremo - i nostri rappresentanti a giocare partite importanti per la nostra passione. Checchè se ne dica, l'Unione Europea continuerà a produrre direttive vincolanti anche sulla caccia ed è un nostro preciso dovere vigilare affinché si crei una politica comunitaria che tenga conto sempre più degli interessi e dei valori di questa nostra amata attività.
Il Ministero dell'Ambiente e Ispra sulla modifica dei KC hanno fatto muro contro le lecite e argomentate richieste di ben 15 Regioni italiane (e non dunque solo dei cacciatori) e pur di non confermare nemmeno gli attuali calendari venatori (chiusura anticipata di almeno dieci giorni), si sono messi in conflitto diretto con il Ministero dell'agricoltura. Anche se ciò significa dire a Francia e Spagna, per esempio, che non ci hanno capito nulla finora e che sono loro a dover necessariamente rivedere le loro posizioni. Un dettaglio non trascurabile è che Francia e Spagna i dati aggiornati li hanno, a differenza nostra, perchè Ispra che non è in grado di produrli. Purtroppo per ora la legge affida esclusivamente all'Ispra il compito di fornire pareri scientifici sulla fauna. Ma in futuro – e sappiamo già che qualcosa in tal senso è stato messo in moto - si potrebbe sempre cambiare la legge nazionale e portare la competenza sotto l'agricoltura, affidando finalmente il compito di monitoraggio agli osservatori regionali. La strada è questa. Avanti tutta.
Soprattutto in Europa, nelle sedi dove si decide soprattutto per la migratoria, che è considerata - ricordiamolo - un patrimonio di tutti i paesi che la ospitano nelle diverse stagioni. Quindi, invece di continuare a spaccare il capello in quattro in Italia, la strada è quella di consolidare una politica comune e di sostenerla lassù, nella grande arena dove si decidono i tanti futuri di un popolo multiforme di molte centinaia di milioni di cittadini, e di quei sette milioni di cacciatori, noi compresi, dal diverso idioma, ancora, ma accomunati da diffusi interessi, economici, sociali, culturali.
E il nostro auspicio, di tutti i cacciatori, è quello che le nostre dirigenze siano una presenza stabile da quelle parti, per rappresentare, sollecitare, ricordare a commissari e parlamentari che la caccia italiana è una cosa importante, che va conosciuta prima che deliberata e che le tante campane animaliste suonano quasi sempre fesse, bugiarde. La Face, la Federazione dei Cacciatori Europei è un vero baluardo a queste fesserie, ma va rafforzata da voci che parlino la nostra lingua, sollecitino estesa attenzione, sommergano gli addetti ai lavori (caccia, ambiente, agricoltura, economia, senza distinzione) di valanghe di informazioni per ristabilire qual minimo di verità che possa ricollocare le nostre tradizioni venatorie nel posto che meritano.
Cinzia Funcis