A proposito della pernice rossa, pregiato galliforme fra i più rustici della nostra piccola stanziale, riteniamo utile riproporre questo interessante articolo apparso recentemente sul Quotidiano di Genova "Il Secolo XIX del levante", a firma Italo Vallebella. Una realtà frutto dell'attività dei cacciatori locali, che potrebbe essere presa a modello per una moderna gestione faunistico venatoria, da configurare nelle diverse relazioni territoriali.
Più numerose di prima. Ma anche molto liguri. E se il primo è un dato che da qualche stagione è percepibile anche da chi frequenta l’entroterra pur senza avere particolari conoscenze, il secondo deriva da uno studio genetico. La pernice rossa è tornata a popolare i boschi del levante. Ed è quella autoctona, tanto che il dato medio di ibridazione dei capi abbattuti è del 3,7%.
Lo studio che ne ha certificato la genetica è francese, i dati sono stati presentati a Casella alla festa “Caccia, pesca e tradizioni”. Il committente è l’Ambito Territoriale di caccia Genova 2, quello levantino che va dal Bisagno al confine con la Provincia della Spezia: "Noi sul territorio ci siamo fisicamente – spiega il presidente Luigi Tiscornia -. Ed è nostra politica ormai da qualche anno capire quali animali ci siano e quali caratteristiche abbiano, al di là che si parli di specie cacciabili o meno".
L’ultimo studio sulla pernice rossa, però, arriva alla fine di un lungo percorso iniziato una ventina di anni fa: "Le pernici da noi ci sono sempre state – ricorda Massimo Lavaggi che ha seguito il progetto per il comitato di gestione dell’Atc -. Ma la popolazione si stava riducendo. E le immissioni di nuovi capi non portavano miglioramenti".
La colpa di quelle immissioni fallimentari risiedeva nel dna. Quelle pernici non erano autoctone, ma di una specie orientale "facile da allevare – ricorda Lavaggi -, ma con grosse difficoltà di adattamento una volta immesse sul territorio".
La strada per invertire la tendenza è passata attraverso vari fornitori. Quello da cui l’Atc acquista ora le pernici è in Toscana. E i capi in questo caso hanno una media di ibridazione del solo 2%. Così da qualche anno la popolazione è aumentata. Il verso della pernice è tornato a farsi sentire nei boschi. Spesso questi animali si vedono camminare, (“pedonare” come si dice in gergo) su sentieri e prati dell’entroterra.
A quel punto l’Atc ha pensato che fosse venuto il momento di studiarle geneticamente. Il riscontro è stato più che soddisfacente. Attraverso l’analisi di ben venti marcatori, è emerso anche che per i capi abbattuti il 36% è totalmente puro, l’80% ha una ibridazione del 6%, il 59% non supera il 3%.
"E la specie ne ha risentito in maniera positiva – spiega ancora Lavaggi -. Oggi i capi che immettiamo superano la stagione di caccia, ad esempio". Non solo però perché, come spiega Luca Ciuffardi, il tecnico che segue i progetti Atc, "nel bagaglio genetico delle nostre pernici ora ci sono anche tutte le informazioni per difendersi dai predatori contrariamente a prima quando i capi ibridi venivano facilmente predati e sono in grado inoltre di riprodursi".
La strada, dunque, è quella giusta. Lavaggi osserva che "arrivare allo 0% dei capi ibridi non sarà facile, ma di certo di questo passo le percentuali, già molto positive, scenderanno ancora". Tiscornia chiude con un sorriso: "Sforzi premiati nell’interesse non solo dei cacciatori ma anche della fauna locale".
DETERMINANTE E' L'ATC. C’erano una volta prati e spazi aperti. Ora, invece, l’entroterra è caratterizzato maggiormente da rovi e boscaglia. Anche per questo la fauna dell’entroterra è cambiata. "Decenni fa c’erano soprattutto lepri e pernici, oggi caprioli e cinghiali – dice Luigi Tiscornia -. E tutto questo non è certo casuale". L’ambiente, dunque, condiziona la fauna. E l’Atc prova a invertire la tendenza anche con risorse proprie: "Nel 2017 – ricorda Tiscornia – abbiamo investito 39mila euro per miglioramenti ambientali al fine di trasformare certe zone da boschive a prative".
Anche di questa attività probabilmente ha risentito in modo favorevole la pernice rossa. La prossima immissione è prevista per luglio: "Libereremo circa 4mila capi – dice Massimo Levaggi -. Avranno tempo di adattarsi al territorio in vista dell’apertura della caccia la terza domenica di settembre. Anni fa gli animali ibridi venivano immessi poco prima della stagione di caccia perché a volte non resistevano sul territorio. E quello era un segnale pessimo".
Tiscornia rimarca il lavoro dell’Atc: "Ai nostri associati chiediamo solo 70 euro all’anno, ci sono molte Atc anche nelle regioni vicine alla nostra dove se ne paga 250 – ricorda-. Siamo un ente privatistico con finalità pubbliche. Facciamo quello che le istituzioni, alle prese con bilanci sempre più problematici, non riescono a fare. Certo, non possiamo sostituirci a loro. Magari quello che facciamo è una goccia nel mare. Ma è sempre meglio di niente".
Italo Vallebella