Lo ha dichiarato - indicando una serie di obiettivi strategici che tracciano il futuro della Federcaccia e probabilmente della caccia italiana - in una recente intervista alla rivista DIANA, che per gentile concessione riproponiamo per ampi stralci.
"La Federcaccia ha bisogno, di cambiare pelle - dice il presidente della più grande associazione venatoria italiana - e questo non è facile, perché come in ogni grande famiglia dove esistono problemi questi devono essere risolti con lo strumento della condivisione. Ci sono problemi economici, che derivano anche da aumenti assicurativi, che non abbiamo mai fatto ricadere sul portafoglio dei soci.
C’è la necessità di mutare atteggiamento sulle fonti di costo, che devono essere affrontate con rigore e razionalizzazione. Su questi aspetti ci sono state spaccature e fratture nel recente passato. E non mi riferisco solo a questi ultimi 4 anni. Le fratture vanno sanate, esiste un obbiettivo che si chiama solidarietà e unità, che non va solo predicato, ma ottenuto, con uno sforzo possibile che per quanto mi riguarda è un impegno preciso. È un requisito quello dell’unità per lavorare con maggiore efficacia, una efficacia delle proposte che, si è manifestata anche nel confronto elettorale, è presente anche nell’altra parte e che non deve andare perduta per formare una collaborazione costruttiva.
La modifica dello Statuto è stato un segnale di intesa, coinvolgendo tutti, anche chi non condivideva in quel momento la linea della presidenza. Ne è uscito uno statuto fortemente condiviso, scritto insieme, che ha snellito gli organi, dando un senso qualitativo oltre che quantitativo ai presidenti regionali. Questo dà l’idea della continuità della vocazione federalista dell’associazione, una linea che va ulteriormente approfondita con forme di responsabilizzazione della periferia. Va ridotto il carico di responsabilità al Nazionale, obbiettivo da perseguire sempre con lo strumento della condivisione.
Altro aspetto che a mio giudizio deve accompagnare questo processo è la ricerca di una formazione diversa. Siamo una federazione di cacciatori e la caccia è una materia complessa, che richiede preparazione e aggiornamento, che segua la dinamica delle modificazioni della realtà territoriale, ambientale e faunistica. Occorre che la preparazione di tutti i nostri organi sia tale da consentire una capacità di proposta a tutti i livelli.
Ci sono criteri che riguardano problematiche gestionali che richiedono la perfetta conoscenza delle normative italiane e comunitarie, cosa che non sempre si verifica fra i dirigenti venatori.
Oggi una grossa parte dei territori italiani è gestita a titolo gratuito dal volontariato di altri cacciatori (là dove è stata applicata da anni la legge 157) e sui risultati di questa attività oggi si riscontra un ritardo in termini di capacità di comunicazione gravissimo. È una attività sommersa che non può rimanere tale, anche perché comunicare i risultati di questa attività gestionale ci permetterà di dare una immagine diversa, una prova del nostro impegno.
Dobbiamo perseguire logiche di recupero di immagine per tutto il nostro mondo. Non possiamo continuare a subire passivamente attacchi denigratori da parte di chi ci avversa.
Questa azione non può essere fatta con superficialità, ma dovrebbero essere individuate iniziative comuni e forti. Difficilmente si otterrà legittimità se non si abbraccia la logica di aggiornare la nostra immagine e di attualizzare la nostra funzione. Non è vero che la caccia è immutata. La caccia ha sempre adattato se stessa alle mutate realtà sociali e storiche.
La caccia si salvaguarderà fortificandosi anche attraverso una legittimazione e un riconoscimento da parte dell’opinione pubblica e della società tutta se saprà adattarsi senza rimanere chiusa in se stessa.
Occorre aprirsi alla società civile facendo vedere quello che realmente siamo e cosa facciamo, soprattutto in termini di salvaguardia del patrimonio faunistico".
Sulla riforma della 157, dice, "abbiamo presentato, con un ritardo ingiustificato, come ho più volte avuto modo di riconoscere, un progetto fortemente condiviso e che riteniamo, e non solo noi di Federcaccia, largamente sostenibile. Anche il senatore Orsi ha più volte dichiarato in pubblico che la nostra è sicuramente la proposta più sostenibile fra le tante che girano. L’ultimo passaggio relativo alla Comunitaria certo non è stato un segnale positivo. E a questo riguardo sarebbe opportuno aprire una riflessione utile a mantenere inalterata la possibilità di una modifica accettata delle 157. C’è stato lo stand by elettorale e l’iter per la modifica della legge è stato temporaneamente sospeso.
Speriamo che i lavori possano essere ripresi quanto prima.
Sarebbe comunque deprecabile che per alcune cose che possono risultare poco sostenibili e poco sostenute anche dalla stessa maggioranza si mandasse perduto tutto il lavoro fatto.
Credo sia importante riflettere su questo.
E aggiungo a questo riguardo che storicamente lo Stato italiano ha posto una scarsa attenzione alle problematiche faunistico-venatorie e gestionali. Aggiungo inoltre che il nostro è l’unico Stato in Europa che ha questo tipo di disattenzione. L’ho ricordato più volte e lo faccio ancora: dal 1939 ad oggi in Italia ci sono state solo 4 leggi di modifica della caccia. In tutti gli altri Stati europei questo non accade, a partire da quello più liberale in termini di legislazione venatoria, la Francia, che negli ultimi 9 anni ha modificato per ben 6 volte la legge sull’attività venatoria adattandola alle mutate situazioni ed esigenze.
Il nostro è uno Stato che non ha una rete permanente e funzionante di osservatori ornitologici, e quindi i dati relativi ai flussi migratori sono normalmente messi in discussione perché ritenuti poco attendibili."
"Il nostro è uno stato che non affronta la questione ambientale faunistica e venatoria - dice ancora Dall'Olio - il nostro è uno Stato che non affronta la questione ambientale faunistico e venatoria come avviene in altri Paesi attraverso un confronto tra le parti interessate, cacciatori, agricoltori, ambientalisti, in modo da permettere la condivisione delle regole e la modifica delle stesse.
E questo è un altro problema, perché gli altri Stati in Europa raggiungono attraverso interventi del governo soluzioni ai problemi in materia.
La nostra è una situazione problematica che non credo produttivo portare su posizioni conflittuali. E adesso mi sembra invece che il conflitto sia risorto con i temi e i toni di trenta anni fa: “caccia sì”, “caccia no” e non “caccia come”.
In questo credo ci sia ancora una responsabilità anche dello Stato. D’altronde non si capisce guardando i calendari di altri Paesi perché Spagna e Grecia cacciano a febbraio e noi no. Perché la Francia ha calendari più ampi? E senza conflitti sociali.
Lo Stato lo ha deciso in base ai dati aggiornati in suo possesso e alle rilevazioni scientifiche attraverso un processo di condivisione, o vogliamo credere che siano concessioni dettate dalla liberalità politica di quello o quell’altro parlamentare?
Arrivare alla situazione francese sarebbe per noi miracoloso, ma ricordiamoci che è il risultato di un intervento dello Stato che ha portato a una concertazione risolutiva su questi temi.
Lo Stato francese dà all’Office della Chasse 70 milioni di euro l’anno, che prende dalle tasche dei cacciatori, che hanno però un ritorno utile in termini di risultati per il sistema ambiente agricoltura caccia.
Da noi, lo stato non distribuisce nemmeno le risorse che dovrebbe alle Regioni, che come è noto hanno a loro carico la parte più onerosa del sistema gestione e programmazione, con tutte le difficoltà che ne derivano.
L’ambiente, la fauna e la caccia hanno bisogno di risorse".
Nota.
Gianluca Dall'Olio, parmigiano, avvocato, consulente di marketing, è cacciatore per tradizione familiare; iniziato dal padre alla caccia col cane da ferma, ma poi diventato segugista (alleva griffoni nivernesi), prima lepraiolo poi prestato alla caccia al cinghiale, che pratica nel senese e sull'Appennino ligure-tosco-emiliano. E' stato presidente della sezione comunale e provinciale (per 14 anni) della Federcaccia di Parma, prima di diventare consigliere nazionale e successivamente vicepresidente della stessa associazione che adesso presiede.