Si parla spesso dell'inadeguatezza della nostra classe dirigente. La cosiddetta rappresentatività individuata attraverso una qualche forma di consenso elettorale, che è un tenue barlume di quella luce che da duemila anni si chiama democrazia, a volte porta a fare scelte inappropriate. E' vero che la classe dirigente è sempre lo specchio dei cittadini che l'hanno eletta. E' vero che specialmente nell'odierna società della comunicazione, chi dispone dei relativi mezzi (di comunicazione) ha la vittoria facile. Ma è anche vero che esistono altri parametri che possono ribaltare queste verità. Lo scontento, per esempio. L'indignazione. La vessazione. L'accanimento fiscale (un refrain all'ordine del giorno). La consapevolezza che chi ti guida non è all'altezza dei problemi.
E' allora di solito che scatta l'orgoglio, la protesta. Ma, come spesso accade, tutto si conclude all'alba, perchè i sogni, le speranze sono una cosa, la realtà è un'altra.
Al proposito, ma lo dico solo en passant, si fa un gran parlare del governo dei tecnici, che per la verità appena assumono un ruolo politico, tecnici ovviamente non lo sono più. Altrimenti dovremmo cambiare l'appellativo dei “politici” stessi, in quanto se fossero politici di professione, anch'essi – automaticamente sarebbero dei... tecnici.
No, credo che il nostro problema, di cittadini, sia quello che nell'ultimo mezzo secolo abbiamo deciso più o meno consapevolmente di sposare quello che veniva (e viene, per carità!) chiamato progresso (oggi caratterizzato dal fenomeno del consumo per il consumo, che genera qualcuno recentemente ha definito turboconsumismo). Che promette tante belle cose, ma comporta anche degli oneri che impongono, e ci hanno imposto, di cambiare certi comportamenti, individuali e sociali. In una società in via di sviluppo, per esempio, i figli, tanti figli, sono una risorsa. In una società moderna, invece, molto spesso sono un problema. Economico in primo luogo, ma anche pratico. Al punto che se in questi ultimi decenni, appunto, abbiamo assistito addirittura a una pianificazione delle nascite per legge (in Cina), altrove, e anche da noi, questa pianificazione è avvenuta per decisione dei singoli. Decisione presa più o meno consapevolmente, più o meno per necessità. Fatto sta che a questo punto la natura, che sembra strana ma invece non fa altro che il suo mestiere, si trova in difficoltà. Va fuori giri. Non essendoci più sufficienti energie che spingono per affacciarsi sulla scena, quelle che sulla scena già ci sono da una parte si impoltriscono, dall'altra consolidano l'abbarbicamento, dall'altra ancora fanno di tutto per non mollare. E mentre il mondo gira, sempre più vorticosamente, questi frenano, si attardano nel presente senza accorgersi che ormai è... passato, diventano sempre più inadeguati a capire e a proporre qualcosa di futuribile. Sono sazi di quello che hanno, fanno di tutto per consumare al meglio quello scampolo di vita che gli resta.
Questo è il quadro. E non c'è barba di becco che tenga. Per cambiarlo, c'è bisogno di forze esterne, magari diverse, magari più rozze, magari inconsapevoli, che... inaspettatamente e a volte brutalmente si presentano a chiedere il conto. Funziona così in tutti i contesti, da quelli più elementari a quelli più sofisticati. Una volta, alla terza età veniva ritagliato un ruolo, importantissimo, di supporto. Gli anziani erano i saggi, coloro ai quali si ricorreva prima di prendere decisioni importanti. Oggi, questo genere di sviluppo tecnologico ha deciso di farne a meno. Anzi, poiché gli ex boss rampanti sono invecchiati nella stanza dei bottoni, in pratica si sono fusi con il loro sgabello e per autoconvinzione hanno abolito la categoria. Nessuno è vecchio, nessuno è inadeguato, e le giovani generazioni s'arrangino. Per cui anche quelli che si autodefiniscono tecnici - e il cielo sa quanto bisogno ce ne sia - sono spesso in là con l'età e la loro “tecnica” comincia ad essere un po' datata. Insomma, siamo in mano a gerontocrati a loro insaputa.
Eh sì. Lo riscontriamo tutti i giorni, i giovani stanno ai margini. Per emergere devono sgomitare, eccome se devono sgomitare. Nella caccia, questo paradigma è ancora più evidente. Da quando le nostre comunità sono state indotte a lasciare la terra, da quando si è pompata l'idea (sbagliata?) di progresso, da quando una cultura metropolitana è stata imposta e gradualmente sostituita alla tranquilla, millenaria, consolidata società rurale, le mille luci della città hanno fatto perdere l'orientamento a masse sempre più folte di nostri conterranei. Col risultato che la campagna si è trovata oggetto di mille aggressioni, di mille speculazioni, vittima di quegli stessi figli che se n'erano allontanati. Un ecologismo malato ha fatto il resto, imponendo regole che ancora di più hanno allontanato i giovani dal contatto vero, continuato, con la terra, le sue bellezze, le sue fatiche. Esempio più eclatante: i nostri bambini ingrassano, mai sazi di merendine, la società (e i genitori) invece che provvedere con una dieta più sana, li sottopongono a vessazioni muscolari (footing, palestra, et similia), mentre basterebbe una sana vita in campagna per ovviare allo sconquasso.
Tuttavia, per quanto di caccia, malgrado le remore sociali (andare a caccia non è più concepibile, dicono), le restrizioni (mentre ovunque nel mondo l'età di accesso alla licenza è intorno ai quindici-sedici anni, da noi s'impongono i diciotto), stanno arrivando schiere di donne e di maschietti non più teen-agers ma ancora nel pieno della giovinezza. Forze fresche che se ben amministrate potranno di sicuro costituire la nostra risorsa per il riscatto. Sono sicuramente più aperte al nuovo, sono più consapevoli delle nuove e diverse e infinite sfaccettature dell'oggi, dispongono di maggiori strumenti culturali, hanno accesso alle tecnologie e – soprattutto – mettono energia e passione in quello che fanno. Riusciranno a cambiare le nostre stanche liturgie? Avranno la forza di affrontare quelle sfide che un mondo in continuo divenire ci sta proponendo a raffica? Chi, malgrado l'anagrafe, dispone ancora di aria fresca per alimentare le sue sinapsi, gli dovrà dare una mano. Aiutare nell'avvicinarsi ai problemi complessi. Trasmettergli le conoscenze tecniche, si, facendoli misurare sugli artifizi della politica, non c'è dubbio, ma soprattutto infondendogli passione, tanta passione, perchè si innamorino della terra, dei suoi misteri, delle sue insidie, delle sue meraviglie.
Insomma, nel mentre non abbiamo bisogno di balie col pannolone, non abbiamo bisogno nemmeno di tecnici senza un briciolo di passione. Nella società come nella ...società dei cacciatori. Vorremmo un mix di saggezza e di freschezza, di prudenza e di coraggio, di ragione e di passione.
Difficile? Chissà. L'uomo è sostanzialmente natura. E la natura a volte è sorprendente.
Alberto Bassini
|