Leggo con grande fastidio una notizia pubblicata da Bighunter inerente la caccia e la mia regione, il Friuli: “pochi giorni fa i presidenti delle associazioni ambientaliste Wwf, Legambiente, Lipu, Lac e Lav tramite una diffida hanno avanzato la richiesta alla regione Friuli Venezia Giulia di aumentare la superficie regionale sottoposta a tutela, destinando una quota dal 20 al 30% del territorio fatta eccezione per il territorio delle Alpi, a protezione della fauna selvatica.
La richiesta delle associazioni deriva dal fatto che a seguito dell’approvazione della legge regionale n. 13/2009, la Regione avrebbe, secondo gli ambientalisti, definito illegittimamente il territorio regionale di pianura e di mare come “Zona faunistica delle Alpi”, evitando così di interdire alla caccia, destinandolo a protezione, solo il 10% della superficie agro-silvopastorale, anziché almeno il 20%.”
La diffida è del tutto strumentale quanto priva di fondamento giuridico. La legge n.13/09, infatti,oltre a definire provvisoriamente -in attesa dell'approvazione del Piano Faunistico Regionale - l'intero territorio del Friuli Venezia Giulia, quale zona faunistica delle alpi, ha anche stabilito che fino alle reale definizione di ciò che può considerarsi effettivamente zona alpi, comunque la percentuale regionale di territorio sottoposto a protezione non potrà essere inferiore al 20% e superiore al 30%, ovvero esattamente le percentuali previste dal comma 3 art.10 della legge n.157/92.
Se quindi il problema non esiste in una prospettiva giuridica, la sua proditoria trasposizione nel simulacro di una denuncia - ultima di tante uguali - detta l’esistenza di un’insanabile frattura in termini di rapporti sociali.
Per l'ennesima volta, infatti, un’importante parte del mondo ambientalista istituzionalizzato ha dimostrato di non volere essere un interlocutore critico ma solo un antagonista demagogo.
Ciò conduce all’idea, più volte sussurrata, in questi ultimi tempi come gli spazi del dialogo e del confronto fra i portatori antagonisti degli interessi diffusi in materia ambientale, si siano spenti fra pregiudizialità e retorica.
Non di meno le rappresentanze dei cacciatori, per coerenza e senso di responsabilità, debbono cercare altrove sinergie e condivisioni per difendere, la tutela concreta degli ecosistemi e con essa la sopravvivenza dell’istinto, della multiculturalità e della passione venatoria.
Per far questo ritengo si debba cominciare oltre che a sopraffare l’idea che vuole la tutela ambientale come prerogativa esclusiva dei sodalizi che si declinano “contro” la caccia, anche a svelare contenuti ed argomenti che restano sempre estranei al circuito dell’informazione per svegliare la conoscenza di quell’opinione pubblica che - diversamente da ciò che sovente si sostiene - è indifferente rispetto alla caccia piuttosto che contraria e che distratta aspetta verità diverse da quelle stereotipate.
Compito di tutti noi cacciatori è quello di appropriarci finalmente, di argomenti e valori che sono nostro patrimonio culturale congenito, ovvero di coloro che hanno un rapporto concreto e diretto con il territorio, con la ruralità, con l’ambiente e con la fauna senza mediazioni e strumentalità politiche.
Chi esercita l’attività venatoria ha insita l’esigenza di tutela della natura perchè questa è il suo alimento ed il senso dell’esistenza.
Nessuno, più di noi, può con altrettanta indispensabilità e genuinità essere portatore degli interessi di cui si sono, in passato appropriati con l’arroganza della verità indiscutibile e declinata, alcuni animalisti ed ambientalisti.
Di questi, oggi, dobbiamo smascherare l’alibi.
Il coraggio, quindi, è urlare con convinzione e senza paure che noi cacciatori siamo i veri tutori degli obiettivi conservazionistici (anche sociali), e loro sono soltanto coloro che oggi, si sono trasformati in meri utilizzatori di temi sentiti e controversi per logiche diverse, alle volte economiche e sovente politiche.
Noi entriamo nella terra in un abbraccio ancestrale, loro la guardano dallo schermo delle immagini artefatte; noi affrontiamo la vita e la morte con la crudezza e lo spirito dell’istinto originario, loro assopiscono i sentimenti nell’edulcorato e sciatto mondo dell’indistinto.
Se chiedete ad un cacciatore di descrivervi gli errori della pianificazione urbanistica del proprio comune, lui vi porterà innanzi ad ogni singolo portone che non si sarebbe dovuto fare, vi farà percorrere le strade dell’inutilità e metro per metro saprà dirvi che erba non cresce più, quale fiore è sparito, quale animale ha spostato il suo nido, quale gioco i bambini non possono più tramandare.
Se chiedete ad un cacciatore quali e quanti sono gli ineluttabili e innocenti “piani di abbattimento” causati del traffico o dal benessere oltre il limite del necessario, che appartengono alla responsabilità di tutti, lui ve li mostrerà sul ciglio di ciascuna strada, consapevole dell’ipocrisia e del tempo che viviamo.
Se chiedete ad un cacciatore di raccontare quanti alberi in più o in meno ci sono sul suo territorio, quanti animali di meno e quanti di troppo percorrono i campi o le montagne di cui i suoi occhi e la sua anima si dissetano, lui vi conterà i numeri della natura e nessuno potrà farlo con maggior dovizia e premura.
Non possiamo più accettare nulla con rassegnazione, non possiamo più assopirci nell’ovvietà delle posizioni precostituite, non dobbiamo più accettare di essere il capro espiatorio di un’azione politica dell’opportunismo e della sola immagine proficua.
Dobbiamo cominciare a fare delle domande ed a sollecitare le sensibilità individuali e collettive affinché pretendano delle risposte, sia in merito alle questioni più generali che particolari, soprattutto quelle che riguardano i nostri detrattori e le loro presunte verità.
Perciò mi piace cominciare.
1) Quali e quanti sono i rappresentanti del mondo ambientalista nelle commissioni edilizie dei vari comuni o negli altri organismi pubblici inerenti la gestione o conservazione della fauna e del territorio?
2) Quali e quanti sono i costi pubblici di quelle partecipazioni?
3) Quali e quante sono le risorse pubbliche destinate ai parchi e alle zone di protezione gestite dalle associazioni ambientali ?
4) Se sono, come effettivamente sono associazioni riconosciute, perché non vengono resi pubblici i loro bilanci ?
5) E’ vero che i piani faunistici delle varie regioni o le consulenze in materia ambientale vengono sempre assegnate alle stesse persone e quanti sono i soldi spesi per “studi scientifici” assegnati a consulenti espressioni del mondo ambientalista ?
6) E’ possibile, opportuno ed etico che componenti di organismi dirigenziali delle varie amministrazioni o dei corpi di vigilanza - dipendenti pubblici - siano anche rappresentanti di vertice dei sodalizi ambientalisti ?
7) E’ vero che tutti gli organismi di gestione dei Parchi, delle Zone di Protezione Speciale e dei Siti d’Interesse Comunitario sono monopolizzati da componenti delle Associazioni ambientaliste ?
8) Perché non vengono oscurati i siti di quelle associazioni animaliste che offendono i cacciatori ed inneggiano alla violenza contro altri uomini ?
9) Quanti sono i reati commessi contro i cacciatori, le loro associazioni o contro chi presenta un’immagine correlata al mondo venatorio ?
10) Perché vi è un’irresponsabilità personale e patrimoniale per le iniziative, dimostratesi infondate, di quei soggetti che rappresentano organi preposti al controllo ambientale o alla vigilanza che soventehanno accusato ingiustamente i cacciatori o le loro rappresentanze ?
Può venire per tutti il tempo delle dieci domande.
Paolo Viezzi
Presidente Regionale F.I.D.C. Friuli Venezia Giulia