Fa piacere, ogni tanto, che anche in contesti ostili si registrino opinioni di persone obiettive, sincere, che la pensano controcorrente. Nel clima arroventato dal referendum annullato - che mette in evidenza la strumentalizzazione selvaggia di posizioni, anche genuine, da parte dei politicanti di turno, visto che sia da parte nostra sia da parte dei nostri detrattori forte sarebbe stato il desiderio di andare al voto, per motivi opposti, ovviamente - si legge anche di testimonianze del tutto estranee alle miserie congiunturali, volte a segnalare macroscopiche contraddizioni su temi come quello della conservazione del patrimonio naturale, che ormai sono poco più che un espediente per far parlare di sé.
Giorni fa, su La Stampa noto quotidiano non certo favorevole alla caccia, sul blog LaZampa.it (vedi Mondo Vegan a firma Sapiens), è apparso un richiamo a dir poco coraggioso. Nel corsivo si sosteneva in sostanza che difendere i prodotti tecnologici dell'attuale moderna società dei consumi è come sostenere che “la luna è di burro”. Ma non è stata tanto questa provocazione che ha sollecitato il mio interesse, quanto un rinvio ai dati di una relazione pubblicata dal CAI (Club Alpino Italiano) del Piemonte, che mette in evidenza l'intima relazione fra impianti di risalita e fauna alpina.
In giornate convulse come queste, mi sembra perciò oltremodo opportuno richiamare sull'argomento l'attenzione dei promotori del referendum piemontese, e di quanti vi si sono accodati come pecoroni per sfruttare la ghiotta opportunità che riverbera i suoi effetti mediatici anche sulla quasi parallela tornata elettorale. Promotori che a occhio e croce si fingono emuli dei propri conterranei di Collegno, smemorati o quantomeno gravemente distratti rispetto a un fenomeno che per degli ambientalisti quali si professano dovrebbe farli profondamente riflettere sulla loro inutilità.
Credo perciò importante - nel momento in cui insieme all'emendamento che in Piemonte abroga la legge regionale sulla caccia, ne passa, quasi alla chetichella un altro che dispone di nuovi contributi per le stazioni sciistiche (Vera Schiavazzi, La Repubblica, Torino, 3 maggio 2012) - credo importante, dico, riportare alcuni stralci di questa approfondita analisi, non per agitare ancora di più le notti dei tanti no-tav dell'ultima ora, anch'essi piuttosto strabici, ma per richiamare l'attenzione di chi ha ancora un minimo di buon senso affinché nel momento in cui dovrà esprimere un'opinione (o un voto), sappia che la caccia è come al solito un falso problema.
E veniamo alla ricerca del CAI.
Il Prof Luca Rotelli, dell'Università di Milano, autore della relazione, mette in evidenza senza mezzi termini come negli ultimi decenni su tutto l'arco alpino siano stati dislocati ben 13.500 impianti di risalita con 40.000 piste per uno sviluppo di 120.000 chilometri. Una importantissima realtà, che riverbera i suoi effetti sull'economia della montagna, sia in estate, ma soprattutto in inverno, quando la fauna alpina, pur attrezzata biologicamente, si trova a sopportare difficoltà straordinarie. Il fagiano di monte, ad esempio (ma anche il camoscio è fortemente penalizzato), è una specie che ha risentito e ancora risente in maniera evidente di questo disturbo. La costruzione di una stazione sciistica, afferma Rotelli, è responsabile di almeno quattro importanti azioni negative sulle popolazioni di questa specie: svernamento in cattive condizioni (scarsa quantità e qualità di nutrimento, scarse possibilità di scavare buchi nella neve per limitare le perdite energetiche); disorganizzazione dell'attività di “parata” (combattimenti amorosi), poiché i luoghi delle principali arene di canto sono stati occupati dalle stazioni di arrivo in ski-lift, seggiovie, funivie; distruzione di una parte dell'habitat di nidificazione e di allevamento delle covate; mortalità da impatto contro i cavi degli impianti di risalita: nel corso di due soli inverni, nella Savoia, sono state recuperate le spoglie di ben 53 galliformi (38 fagiani di monte, 7 galli cedroni, 7 pernici bianche, 1 coturnice), un valore minimo rispetto alla mortalità reale, in quanto il ritrovamento delle spoglie degli uccelli deceduti è molto difficile.
Ecco quindi che, come il temerario blogghista Sapiens, ai tanti animalisti della domenica, vegani, entomologi o brambilliani che siano, pur consapevole che il turismo alpino, invernale o estivo che sia, è una risorsa importantissima per i nostri montanari, mi viene da chiedere: nessun referendum per abrogare la fantastica attività sciistica?
Enrico Parretti