Se ai cacciatori si chiede il motivo per cui vanno a caccia, la risposta unanime è "perchè ci divertiamo".
Il divertimento è lo stimolo che induce l'uomo alle attività ludiche e sportive, ed è una speciale sensazione di benessere psico-fisico assai vicina a ciò che si prova allorchè si soddisfa una pulsione istintiva (fame, sete, sesso, riposo dopo la fatica, ecc.).
Le scienze comportamentali insegnano che per comprendere un fenomeno occorre risalire alla sua causa, e l'istinto (che stimola il cacciatore) è un complesso di reazioni automatiche, frutto di adattamento evolutivo (selezione dei più adatti) finalizzato all'autoconservazione.
Paleontologia, anatomia comparata, neurofisiologia ed etologia ritengono che la struttura base cerebrale dei vertebrati mammiferi (che sono al vertice della catena alimentare) sia fisiologicamente uguale in tutte le specie (incluso l'uomo) determinando moduli di comportamento simili.
E' opinione diffusa che dopo la grande glaciazione l'ominide sia riuscito a sopravvivere per milioni di anni e fino all'avvento dell'agricoltura (circa 16.000 anni fa) alimentandosi prevalentemente con gli animali cacciati.
Nella notte dei tempi la sopravvivenza dell'ominide era difficilissima e precaria perchè non c'erano armi capaci di compensare la deficiente dotazione anatomica (l'uomo è fisicamente il più debole dei predatori) e la caccia ai grandi erbivori era assai pericolosa; la lotta contro le fiere, contro la natura ostile, contro le malattie, contro la fame, contro i nemici per la difesa o la conquista di territori di caccia, contro i rivali per la supremazia nel comando, per la divisione del cibo e per la scelta delle donne era perenne e mortale.
In tali condizioni estreme solo gli individui più forti, più scaltri, più dotati per la caccia e per la guerra avevano qualche possibilità di trasmettere i propri geni ai discendenti.
Una dura selezione naturale attraverso migliaia di anni ha plasmato l'istinto dell'uomo in funzione delle necessità della sopravvivenza (la caccia e la guerra contro gli avversari) e tale istinto è presente ancor oggi nella profondità della psiche dell'uomo evoluto (con il suo corredo di aggressività, territorialità, ostilità verso i diversi, difesa della proprietà e del clan di appartenenza, volontà di dominio).
A seguito della selezione naturale il cacciatore-guerriero è la figura dominante della società primitiva perchè è in grado di procurare cibo, assicura la difesa e la conquista dei territori di caccia; è in grado di costruire utensili e strumenti di offesa; conosce l'ambiente naturale, le abitudini delle prede e le tecniche di caccia; sovrintende a pratiche e riti propiziatori; trasmette i suoi geni ai discendenti.
Sono state le necessità della caccia a favorire la socialità (le forze unite aumentano le probabilità di successo), la gerarchia delle strutture sociali e la comunicazione (il linguaggio).
Le cognizioni sull'ambiente, sulle tecniche di caccia, sulle abitudini delle prede, sono diventate nel tempo un patrimonio così complesso che solo i vecchi erano in grado di trasmettere ai giovani e ciò ha favorito l'avvento della società patriarcale nella quale i vecchi vengono nutriti anche quando non sono più in grado di cacciare attivamente.
Insomma per milioni di anni ogni sforzo, ogni pensiero, ogni risorsa creativa dell'uomo si è concentrata nell'invenzione di armi e tecniche più efficaci per la caccia.
E dunque il legame strettissimo tra caccia e sopravvivenza spiega perchè l'istinto primordiale del predatore carnivoro sia ormai connaturato alla psiche profonda umana e permanga ancora oggi, perchè le modificazioni genetiche nell'uomo sono lentissime.
Da ciò deriva che la conoscenza dell'istinto è la precondizione di ogni indagine sul comportamento dell'uomo e sulla sua inclinazione alla caccia.
Tuttavia, in aggiunta alla sua natura "animale" l'uomo (unico in natura) è dotato dello sviluppo intellettivo, una linea evolutiva alla quale si deve il successo biologico della specie umana che, come contrappeso alla primigenia violenza endogena, gli ha consentito di canalizzare in forme pacifiche e costruttive l'originaria aggressività naturale.
Le leggi, le istituzioni pubbliche, i sindacati, le regole che presiedono alla meritocrazia, gli esami, i concorsi, l'ordinamento giudiziario, gli apparati che garantiscono l'ordine, sono "invenzioni" della civiltà, finalizzate a regolare le competizioni che insorgono sempre allorchè le risorse ambite sono limitate.
Ma la prova che l'istinto primordiale cova sotto la struttura regolatrice ordinata dalla società civile, si riscontra allorchè un fatto contingente (stress, paura, gelosia, ira, etnia, religione) infrange la barriera dei freni inibitori, perchè allora l'istinto primordiale torna ad esprimersi con la insensata violenza originaria del predatore carnivoro.
Solo se si tiene presente la collocazione storica tradizionale della caccia, quale atavica consuetudine socialmente metabolizzata (coincidente con la storia dell'umanità), si può capire che essa rappresenta l'evocazione metaforica e liturgica di un universo occulto, ma non estinto, antropologicamente connaturato alla natura umana.
Lontano dal frastuono della città, nel silenzio suggestivo della campagna, il cacciatore torna ad ascoltare il respiro profondo della terra; ritrova una sintonia con l'antica sapienza della natura; riscopre che le ore di luce danno la misura del tempo e che sulla forza delle gambe si misura la distanza.
Le istanze della fame, della sete, della stanchezza, del caldo sul freddo tornano ad avere l'urgenza di autentiche necessità fisiologiche e non più semplici abitudini.
La caccia, nell'animo del cacciatore, è un archetipo dell'essenza della vita, metafora dei cicli naturali (vita-morte, predatore-preda) che non sono invenzioni umane. E' espressione del più profondo degli istinti e il cacciatore è il più autentico figlio della natura e della tradizione.
I non iniziati non possono capire che la caccia per il cacciatore è passione, sentimento, emozione indotta dalla indecifrabile ma suggestiva allusione di una remota vita, lontana dalle parossistiche pressioni di una quotidianità ormai così povera di realtà.
La totale ignoranza intorno al mondo venatorio traspare dagli argomenti che gli anticaccia usano per chiedere l'abolizione della caccia perchè, a loro dire, la maggioranza è contraria, perchè altera l'equilibrio biologico e perchè è una crudeltà inaccettabile trarre diletto dall'uccisione di animali.
In genere le strumentalizzazioni polemiche come quelle citate contro la realtà delle cose, denotano la carenza delle argomentazioni di fondo. (segue).
Enrico Fenoaltea