Come ci dice la FAO, la media annua pro-capite planetaria di consumo di carne ammonta a 37 chili a persona, con oscillazioni anche evidenti, ovviamente, a favore dei paesi cosiddetti ricchi. Allorquando tutta l’umanità volesse (perché no?) uniformarsi agli standard occidentali, il complesso bovino mondiale a cereali diverrebbe insostenibile per il conseguente impatto ambientale sul nostro piccolo e unico pianeta.
Che fare, allora, siamo costretti a convertirci tutti al vege-veganesimo? Non necessariamente: un aiuto molto significativo potrebbe darcelo l’applicazione su larga scala della rewilding economy. Tale progetto-filosofia consiste nel ripristinare gli ecosistemi naturali laddove la trasformazione agro-alimentare storica non sia più economicamente vantaggiosa. Solo in Italia negli ultimi cinquant’anni la superficie boscata è raddoppiata e le aziende agrarie canoniche sono più che dimezzate, specialmente in ambito collinare-montano. Su questi milioni di ettari s’è già strutturata una fauna selvatica estesa e numerosa, sulla quale poter impostare una fiorente wildlife economy (vedi recensione libro Wildlife Economy, ndr).
La componente faunistica ungulata (cinghiale, cervo, capriolo, ecc.) già ora può fornire tonnellate di eccellenti proteine animali biologiche sensu stricto a costo di produzione “zero”. Ma tale processo potrebbe-dovrebbe essere integrato e magnificato dal “ritorno” di specie di enorme valore, sia economico che culturale: bisonte europeo, uro, tarpan. Il primo ancora presente in relitte aree centro-europee, il secondo ed il terzo, progenitori del bue e del cavallo domestici, estinti in epoca storica recente.
La formazione e l’affermazione di loro popolazioni rewilded consentirebbe, al pari delle altre specie selvatiche, lo sviluppo di una diffusa e durevole attività economica basata sul loro uso sostenibile. Tra gli usi, culturale, ricreazionistico, naturalistico, venatorio, del “complesso ungulato naturale” così ricostituito potrebbe primeggiare una virtuosa filiera della carne, sostanzialmente priva di impatto ambientale in quanto perfettamente integrata negli ecosistemi naturali e seminaturali. Si tratterà di riequilibrare il consumo di proteine animali a favore di una maggiore sobrietà quantitativa ed a vantaggio di un salto di qualità nutrizionale ed economico.
Bernardino Ragni*
REWILDING, una “faccia” molto speciale di Wildlife Economy-Nuovo Paleolitico; in generale: il ripristinare condizioni “selvagge” ancestrali in luoghi di loro storica rimozione.
E.g. per tutta l’Età Paleolitica, l’Eurasia occidentale, la Penisola Italiana, la Regione Alpino-appenninica, erano estesamente popolati da una comunità di Ungulati ricca di specie e di popolazioni estese (Fig. 1).
ma attraverso tutta l’Età neolitica, l’Età storica, Fino ai Secoli XVII – XX, Homo sapiens sterminò Bos taurus, l’Uro e Equus ferus, il Tarpan (Fig. 2)
e quasi estinse: Bison bonasus, il Bisonte europeo (Fig.3).
Purtuttavia oggi, e nelle prossime decadi, E.g. nei Paesi della UE, in Italia, nella Regione Alpino-appenninica, come in altri Paesi “sviluppati”, si assiste a un estesissimo abbandono dell’agricoltura consueta (Fig. 4).
Questi milioni di ettari di foreste e praterie possono essere il “teatro” per il ritorno di: il BISONTE EUROPEO, il “nuovo” URO, il “nuovo” TARPAN (Fig. 5).
Dal punto di vista ecologico la comunità faunistica “rewilded” può utilizzare in modo ottimale le risorse offerte dagli habitat, facendo raggiungere il livello climax alla zoocenosi. E.g. in Italia, nel suo insieme, è presente la situazione faunisticamente incompleta illustrata in Fig. 6.
La quale, sviluppando progetti di REWILDING, può evolvere in zoocenosi complesse e complete (Fig. 7).
Dal punto di vista ecologico-economico tale comunità “rewilded” dovrebbe utilizzare più integralmente, ottimalmente, complementariamente possibile l’offerta rifugio-trofica dell’ambiente di vita (habitat) raggiungendo il livello “climax” degli ecosistemi e cioè il massimo della capacità portante ecologica in termini di: numero di specie, numero di individui per specie, biomassa totale, per unità di tempo e di spazio. Tale condizione ecologica si traduce anche nello “optimum” economico consentendo la massima diversificazione possibile degli usi sostenibili, la massima espressione quantitativa possibile per ciascun uso, alla quale consegue il massimo utile possibile, per unità di tempo e di spazio.
* Bernardino Ragni, professore di Zoologia ambientale e di Gestione faunistica presso l'Università di Perugia, è l'autore del saggio "Wildilife Economy - Nuovo paleolitico". Aracne Editrice. Ariccia (RM). |