L'Exa di Brescia ha dato forfait. Tutto passa, tutto finisce. Restano i ricordi, la nostalgia, anche i rimpianti. Resta nella memoria di ognuno la traccia, forte, di un'esperienza che ti ha formato, che ti ha maturato, che ti ha fatto crescere.
Ambasciatore in terra bresciana della rivista Diana, le trentaquattro primavere dell'Exa le ho vissute tutte. O quasi. Le ultime due, per impegni "ultronei", le ho trascurate, come fa un cagnolo distratto che non intercetta la furba orecchiona. La prima, invece, secondo quanto mi ricordò il grande boss Enrico Chillè, factotum della Fiera, la....padellai proprio! La notizia, mi pare fosse la venticinquesima o la trentesima edizione, mi lasciò un po' perplesso. Non mi sembrava di aver mancato alla prima edizione, forse l'avevo vissuta un po' nell'ombra (ero giovanissimo), o forse nessuno se n'era accorto, che c'ero anch'io. Mi parve strano, dato che non avevo mancato gli altri tentativi di fiera nazionale delle armi e della caccia, che all'epoca si celebrarono, una tantum, a Milano, a Genova. Fatto sta che Chillè fu irremovibile. Per questo peccato originale, non fui inserito nella rosa degli insigniti per meriti di continuativa presenza. E rimasi senza medaglia ricordo.
Di medaglie e di targhe, tuttavia, contribuii nel tempo a distribuirne. Per il 20mo anniversario, un lingotto d'argento coniato con la testata di Diana e il marchio dell'EXA, che consegnai a tutte le aziende che alla fiera erano state presenti fin dal primo anno. (Era la fissa di Chillè, co-protagonista della cerimonia, ovviamente). Un medaglione, anch'esso d'argento, coniato dalla Zecca di Lucca, nel 2007, per celebrare i cento anni di Diana, consegnato alle decine di aziende e operatori che si erano adoperati a favore della caccia e a sostegno della nostra grande eccellenza armiera. E spille, e spillette, e badges, in una serie infinita, appuntati alla giacca e al cappello di decine e decini di personalità, di operatori, di amici. Ricordo la prima spilletta (una beccaccia dorata) che fissai alla giacca di un divertito e - devo dire - anche inorgoglito Pier Giuseppe Beretta, gran signore delle armi bresciane di un tempo. Ricordo le tante iniziative culturali, i dibattiti, le promozioni di progetti che nel rutilante stand di Diana ogni anno si organizzavano; la proposta, prima nel suo genere, del Club VIP, dove un pubblico selezionato (operatori, collaboratori, soprattutto) aveva l'opportunità di conversare fuori dalla calca e degustare le specialità toscane. Le promozioni commerciali (abbonamenti superscontati, libri paghidue/prenditre), "Il Bacio di Diana". Due giovanissime miss, in decoltè, una agghindata come l'Artemide greca, una come una Diana bionica, il cui bacio con foto era riservato a chi acquistava libri Olimpia. Le hostess, molto avvenenti, che popolavano lo stand, cinque, sei, anche dieci. Una novità, piuttosto provocatoria nella Brescia di allora. Me lo rammentava molti anni dopo, con una punta di invidia nei miei confronti, Aurelio Guarneri, per decenni segretario Federcaccia ed eminenza grigia della caccia bresciana, oggi assessore provinciale alla caccia, convinto che il successo di Diana in Fiera fosse dipeso anche da quei dolci e accoglienti sorrisi.
E come non ricordare l'amico di sempre, Carlo Peroni, promotore indiscusso del mondo armiero bresciano e nazionale, animatore di eventi collaterali memorabili, a partire dall'annuale Convegno di studi sulla disciplina delle armi, coordinato dall'altro amico Piero Vigna, oggi scomparso, compagno insieme a Carlo di altrettanto memorabili cacciate e di simpatiche disfide a scopone scientifico, nell'accogliente dimora di Enrico Vallecchi, nella campagna senese.
Ricordo l'anno che al Convegno venne Giovanni Falcone. Un ingombrante apparato di sicurezza, uno stuolo di giornalisti di cronaca giudiziaria (e inviati d'assalto) che mai s'era visto a Brescia. Il clamore per la sua relazione, che rivelava l'intreccio scellerato fra armi e crimine organizzato.
Ricordo gli incontri conviviali, a Gardone e in città, dove lontani dal chiasso si acquisivano informazioni di prima mano sulle aspettative del settore, le novità delle aziende, le campagne di sensibilizzazione a difesa della caccia e del comparto armiero. Dove si discuteva delle opportunità di rilancio della Fiera, del nuovo padiglione, la cui inaugurazione veniva sempre rimandata all'anno dopo, con gli auspici del sindaco di turno e nel cruccio del presidente della Camera di Commercio, l'infaticabile Francesco Bettoni. Un anno, all'inaugurazione - il giro delle autorità finiva sempre al VIP lounge dello stand di Diana, per un aperitivo - alcuni amici, stanchi di questi rinvii, mi chiesero di provocare l'allora Sindaco, il Senatore Martinazzoli, perchè il Comune si sbrigasse a fornire le certezze necessarie affinchè finalmente l'anno successivo si potesse usufruire del nuovo padiglione. Lo feci alla mia maniera, da toscanaccio, strappandogli un impegno che le altre autorità cittadine lì presenti attendevano da tempo. Poco dopo mi riferirono che, allontanandosi, l'uomo ebbe subito a lamentarsi del mio comportamento ("ma chi era, chiese, quel tipo così petulante che mi ha importunato?"). Però, l'anno dopo furono inaugurati i nuovi spazi della Fiera, con tutti gli amici bresciani che incontrandomi mi ricordavano di quel memorabile battibecco.
Forse, l'avvento dei nuovi padiglioni, con il bisogno di attrarre anche un pubblico generico, fu l'inizio della fine. La ricerca di compatibilità temporali con le altre grandi fiere tedesche e americane, aveva portato allo spostamento della data, da febbraio (quanti San Valentino ho passato Brescia!) ad aprile, epoca ormai tarda per le aziende, sempre più alla ricerca di ordini per pianificare la produzione, con un mercato che si spostava sempre di più fuori dai confini nazionali. Appetiti e interessi a volte difficilmente intuibili, a volte inconfessabili, che puntavano a una diversa connotazione dell'area e della struttura, una concorrenza territoriale da fuori regione, la lunghissima crisi economica hanno fatto sì che di rinvio in rinvio, la decisione di organizzare l'Exa altrove sia stata ipotizzata (o decisa, fa poca differenza) fuori tempo massimo.
Oggi tocca solo recriminare per una bellissima stagione perduta, augurandoci che, comunque e ovunque sarà, possa al più presto rivivere.
Giuliano Incerpi