Per prefigurare il futuro, così si dice, bisogna conoscere il presente e anche il passato. Per questo, oggi, si ricorre sempre più spesso a quella che si chiama "indagine sociologica", abusata nel marketing, strumentalizzata dalla politica. Abusata e strumentalizzata, perché si costruiscono ricerche con un fine precostituito: ottenere risposte funzionali all'obiettivo. Risultato: il settore commerciale ics ottiene effetti con i quali prova a convincere i consumatori che quei suoi prodotti sono il toccasana; la componente politica ipsilon utilizza il dato della ricerca commissionata per orientare l'opinione dell'elettore.
Anche per la caccia, o per la categoria più vasta degli utenti di outdoor (ma non solo), a seconda del committente, il dato appare più spostato da una parte piuttosto che dall'altra a seconda di chi lo commissiona. E chi ha più potere (economico, politico) le più volte prevale.
A monte di tutto ciò, tuttavia, c'è un Ente dello Stato, l'Istat, che insieme a vari altri organi statali segue metodi scientifici, puntuali e inoppugnabili, a cui si può fare riferimento. Fino a diversi anni fa, l'Istat forniva dati con cadenza annuale anche per la caccia. Oggi non più. E questo è un male. Resta il fatto che la conoscenza di un fenomeno è determinante per intraprendere qualsiasi iniziativa di sostegno. E per saperne qualcosa, della caccia, bisogna ricorrere a vari e disparati interlocutori, che a volte nicchiano, quando addirittura proprio non ti filano neanche. Le indagini "di parte" recenti sono poche, frammentarie, discontinue. Spesso superate. L'ultima della Federcaccia, risale al 2013, cioè a dati raccolti probabilmente l'anno precedente. Quella, parziale, dell'Università di Urbino fa riferimento a dati del 2016. Un dato più fresco, più oggettivo, lo possiamo trarre da una comunicazione della Polizia Amministrativa, che dà sostanzialmente stabile il numero dei porto d'armi (un milione e duecentomila circa dal 2016 al 2019) di cui intorno alle settecentomila unità quello delle licenze di porto di fucile per uso di caccia. Ma ci si ferma qui, si sa praticamente poco sul resto. Manca un profilo aggiornato dei cacciatori italiani. Chi sono, cosa fanno, dove vanno a caccia, quando e quanto vanno, che forme di caccia praticano. Stando alle polemiche, pur tenendo conto dei reiterati piccoli o grandi lockdown di quest'anno, sembrerebbe che la parte del leone la facesse il cinghiale. Ma probabilmente non è così. Nemmeno il web ci aiuta, affollato com'è di gruppi e contro gruppi, a volte in contraddizione fra loro, e soprattutto senza un minimo di ordine. Gli unici che se ne possono avvantaggiare sono i grandi gruppi (Facebook del cacciatore Zuckerberg, Amazon, Google...) che dispongono di sofisticatissimi algoritmi in grado di memorizzare ed elaborare ogni singolo respiro di chi vi si affaccia. Ma noi ne restiamo esclusi.
Per questo, unica consolazione, in un mondo globalizzato, è quella di dare un'occhiata fuori di casa. In Europa, per esempio, quanto a dati va un po' meglio. Sul sul sito web della FACE, la Federazione Europea dei Cacciatori, ogni paese dell'Unione (o quasi) propone il suo profilo, più o meno aggiornato e piuttosto sintetico. Per nostra utilità, volendo acquisire qualche indicazione più utile, ci si può allora riferire ai nostri vicini mediterranei, spagnoli e soprattutto francesi. Malgrado qualche mal di pancia (ultimo la nuova ministra dell'ambiente, che - contrariamente a certi suoi predecessori come Segolene Royal, per esempio - risente di sollecitazioni animaliste), i cacciatori francesi stanno meglio di noi e si danno più da fare a favore della loro passione. Fanno squadra, sotto la bandiera della Federcaccia francese, sono ascoltati dal governo, hanno idee precise di cosa sono e di dove vogliono andare. Attraverso studi strategici finanziati dal Ministero dell'Ambiente e da quello dell'Agricoltura, aggiornano in continuazione i loro profili, per avere sempre sottomano il polso della situazione e utilizzarlo al meglio nei confronti dell'opinione pubblica e dei diversi interlocutori istituzionali e sociali. Da una ricca serie di dettagliatissimi resoconti, sappiamo perciò che i cacciatori sono un milione e trentamila (con 25.750 donne), danno lavoro a 27.800 persone (il tennis ad esempio ne impiega 18.100), quasi la metà dei praticanti la caccia ha meno di 55 anni, per più della metà in età lavorativa, un terzo pratica la caccia agli ungulati (cinghiale soprattutto), un altro terzo la piccola selvaggina stanziale, un terzo la migratoria (13% selvaggina d'acqua). Ogni cacciatore francese spende per la caccia 2.168 Euro, fa risparmiare milioni di danni causati dalla selvaggina, ne rimborsa molte decine di migliaia agli agricoltori, finanzia interventi sul territorio per quasi quattrocento milioni di Euro. Il giro d'affari complessivo ruota intorno ai quattro miliardi di Euro (il tennis un miliardo, la pesca un po' meno di un miliardo). Circa la metà dei cacciatori s'impegna per la tutela dell'ambiente (90 milioni di ore di volontariato, pari a 57 mila lavoratori a tempo pieno) con un plus-valore di due miliardi e mezzo di Euro, mentre la stragrande maggioranza dà importanza al suo rapporto con la natura e al vivere all'aria aperta, al valore sociale della caccia, allo stare insieme anche convivialmente, che favorisce l'armonia sociale e la comunicazione fra generazioni. Più di un milione di Euro viene investito annualmente per sostenere l'immagine della caccia e fare opera di educazione nelle scuole. Con un beneficio per la salute personale valutata più del doppio della media dei cittadini francesi. E le donne, secondo queste indagini, per competenza, passione e dinamicità, sono il futuro della caccia!
Non sono da meno in Spagna, dove l'87% del territorio è considerato cacciabile, pari a circa 44 milioni di ettari, suddivisi in 32.817 cotos (riserve di caccia, private per l'82%), con più di settecentomila cacciatori (in aumento rispetto al 2005). Un vero e proprio catalizzatore multisettoriale per l'economia (6,5 miliardi di Euro di PIL, 186.758 lavoratori fra diretti e indiretti, 614 milioni di Euro di tasse incassate dallo Stato), come certifica un’indagine condotta in collaborazione col ministero dell'agricoltura e i diversi governi regionali. L'attività di caccia frutta un ricchissimo carniere, a base soprattutto (in ordine numerico di capi) di conigli, tordi, pernici, colombacci, coturnici, tortore, lepri, corvidi, storni (315.021), cinghiali, acquatici, volpi, cervi e altre specie, che forniscono carni sane e di alta qualità gastronomica, commercializzata per 45 milioni di Euro. Il cacciatore spagnolo, con un salario medio di duemila Euro, spende per la caccia quasi 10mila Euro l'anno, mentre un titolare di riserva ne spende più di 40mila. Ampio il dettaglio anche per la funzione sociale del cacciatore, compreso la formazione e la sensibilizzazione dei giovani in età scolare e la protezione faunistica e ambientale.
Sono tutte informazioni che favoriscono la comprensione di un mondo, quello dei cacciatori, che l'odierna cultura sempre più di tipo metropolitano tende a contestare. E se anche noi in Italia vogliamo recuperare quell'immagine che anche per diatribe interne abbiamo sperperato, dovremo considerare come più che necessaria, seguendo l'esempio almeno dei nostri colleghi spagnoli e francesi. Potrebbe essere l'obiettivo principale di quella tanto sollecitata cabina di regia, che al momento funziona a singhiozzo e si sveglia solo nei casi di estrema emergenza, quasi sempre sotto forma di reclamo contro l'ennesimo sgarbo alla categoria.
In alternativa, chi può, tra i tanti portatori d'interesse, si svegli e lo faccia.
Paolo Longo