Dalla parte di cattivi. Mia madre è morta di SLA, sclerosi laterale amiotrofica, i muscoli del viso paralizzati, incapace di parlare, riusciva ancora a camminare col suo passo malfermo, nella sua pelliccia di visone, che portava anche a marzo perché il suo corpo scheletrico e senza muscoli non era più in grado di produrre calore. È stata aggredita da un gruppo di ragazzine che hanno urlato a una donna malferma con i segni della morte sulla faccia immobile che era un’assassina e una puttana. Assassina perché i visoni allevati e uccisi né più né meno delle vacche sono considerati umani. La parola “puttana” non so perché sia stata usata: forse perché una donna anziana scheletrica, macilenta e malferma si presume porti una pelliccia per sedurre qualcuno. Qualche anno a Milano fa un uomo è stato ridotto in fin di vita: con lesioni al polmone e alla milza. Un cagnolino senza guinzaglio traversò bruscamente la strada, un tassista lo investì e il cagnolino morì. Il tassista si fermò e scese dal suo taxi per scusarsi e vedere se poteva fare qualcosa e fu massacrato. Porto il ricordo di quel tassista nel cuore.
Anche se ho posseduto cani e li ho amati, vorrei chiarire una cosa: l’unica “razza” che mi interessa è quella umana, e non solo perché io e la mia famiglia ne facciamo parte, ma perché le capacità di sofferenza che l’essere umano ha, grazie allo straordinario sviluppo della sua corteccia cerebrale, non le ha nessuno. Gli animali provano dolore, noi proviamo sofferenza. I due termini non sono sinonimi. La mamma foca vede i suoi piccoli massacrati. Li vede massacrati dai cacciatori di pellicce, cattivissimi, che peraltro stanno mantenendo i loro figli, oppure da un maschio della loro stessa specie. Quando incontra una femmina con i cuccioli, la foca maschio, come il leone, e come moltissime altre specie, uccide i cuccioli, così che la femmina, priva di cuccioli, ritorna in calore e lui può accoppiarsi. Non metto in dubbio che mamma foca ci resti male, ma poche ore dopo si sta di nuovo accoppiando per avere altri cuccioli. Nulla di quanto succede può essere paragonato alla sofferenza della morte di un essere umano. Eppure il numero di parole scritto per compiangere i cuccioli di foca è infinitamente superiore, diecimila a uno, al numero di parole scritto per ricordare settanta milioni di bambine che mancano in Cina, qualcuna avrebbe avuto le treccine, qualcuna avrebbe avuto la frangetta. In Cina molte donne sono state invitate all’aborto, in maniera ferma ma cortese, portandole di peso all’ospedale e iniettando soluzione ipertonica (acqua e sale con molto sale) direttamente nella cavità uterina.
Nei film la violenza contro l’animale giustifica la violenza contro l’uomo. L’episodio di Milano fa parte dell’antiumanesimo post sessantottino. Gli animali sono buoni, l’uomo cattivo: siamo solo noi i cattivi? Noi siamo sempre cattivi. Moltiplicato per centinaia di orrendi libercoli per l’infanzia, questo crea un pensiero unico e folle oltre che psicotico: l’uomo ha sempre torto, l’animale sempre ragione, l’animale è l’essere superiore, innocente, intrinsecamente buono, l’uomo ha sempre torto, colpevole, ripugnante ama il denaro. Quando un gruppo di cani sbrana un bambino, la colpa è dei padroni, si affrettano a spiegarci, perché i cani sono normalmente buoni. Poi discutiamo su quanto il padrone sia stato irresponsabile a non evitare che la normale ferocia dei canidi affiorasse, ma la colpa è la normale ferocia che madre natura ha messo dentro i suoi figli.
I cani inselvatichiti sono molto più pericolosi dei lupi. Madre Natura non è né carina né simpatica, non è una mite vecchietta vegetariana, ma un’entità che se ne infischia del dolore e usa la ferocia come una delle chiavi di volta per la sopravvivenza. I lupi sono feroci e gli orsi pure: i film che li rappresentano come dolci e buoni sono idiozie. Nell’orrendo film la Carica dei 101, quello fatto da persone, non il cartone, uno dei personaggi negativi odia gli animali perché un morso gli ha tolto per sempre l’uso della voce, e questo dovrebbe essere comico. I due malfattori, uno è l’attore di dottor House, per rubare i cagnolini sono puniti con immersioni nell’acqua e ghiaccio, congelamento e scariche elettriche sui genitali. Questi orrendi film insegnano a ridere del dolore umano. I bambini sono addestrati dalla prima infanzia all’umanizzazione dell’animale e al disprezzo per l’uomo e per il suo dolore. Il film Up è molto bello nella prima parte, nella seconda l’iperanimalismo diventa perdita di comprensione per l’uomo, un uomo certamente reso folle da decenni di solitudine, ma sempre uomo. Dovrebbe essere lui la priorità. Invece è l’animale.
Sto dalla parte dei cattivi. Un padre eschimese o siberiano o uzbeco che abbia la vendita di pellicce come unica attività di sostentamento dei suoi figli mi è più simpatico delle ragazzine che aggredirono mia madre. Poi possiamo discutere, pretendere tutti una certificazione che garantisca un livello di sofferenza basso nell’abbattimento dell’animale, che limiti le pellicce ad animali di allevamento. L’allevamento aumenta la biodiversità, mentre l’abolizione dell’uso delle pellicce la diminuirebbe, perché gli animali non sarebbero più allevati, esattamente come il vegetarismo sarebbe una catastrofe per gli animali che scomparirebbero dalla faccia della terra. L’orso è in via di estinzione, la vacca e il visone no. Noi mangiamo le vacche e usiamo i visoni per le pellicce: per gli animali è meglio o peggio essere usati?
L’animalismo parte bene, certo, ma sta diventando sempre di più, anche lui, una terribile forma di antiumanesimo, di odio isterico da latrare con tutta la violenza possibile verso il “cattivo” di turno. La signora con la pelliccia è un SS, il macellaio un carnefice. Nel frattempo in Cina fiumi di ipertonica sono stati iniettati e i feti femmina al settimo, ottavo e nono mese, con ben più sistema nervoso centrale di qualsiasi foca neonata o adulta, si raggrinziscono e muoiono. Tutto questo nell’assoluto silenzio del cosiddetto Movimento di liberazione femminile, troppo impegnato a battersi per il diritto della donna islamica a portare il burka per distrarsi.
Ce l’hai tu la pelliccia della mia mamma: chiede il cucciolo di volpe dai manifesti contro le pellicce. Chi vive veramente nella natura, nelle nazioni che hanno ancora una natura, la Svizzera per esempio, le volpi sono numerosissime e vanno abbattute o diventano una catastrofe per l’agricoltura, dato che i loro predatori, i lupi, per fortuna non ci sono più. E sottolineo la parola “fortuna”. Le pellicce di queste volpi sono bruciate, perché nessuno le vuole più e le fabbriche di pellicce europee sono già fallite. In compenso compriamo i giacconi imbottiti di animali cinesi che, quelli, sono allevati e ammazzati in condizioni spaventose. Nessuno vuole più pellicce in castorino: le nutrie sono state liberate e ora sono una catastrofe ambientale. A migliaia distruggono i nostri argini, ma non si possono toccare perché gli animalisti insorgono. Io vivo in mezzo alla natura e passo in mezzo ai cacciatori, arruolati dai comuni per tenere basso il numero dei cinghiali e che avranno anche dei figli.
E dopo aver riempito il mondo di cartelloni, ce l’hai tu la pelliccia della mia mamma, hanno fatto togliere il cartellone di Pro Vita che mostrava come è effettivamente fatto un feto di 11 settimane.
Silvana De Mari
Tratto da La Verità del 20/04/18
Silvana De Mari. Medico e scrittrice di romanzi fantasy. Laureata in medicina all’Università di Torino, si è specializzata in chirurgia generale ed endoscopia dell’apparato digerente e in psicologia cognitiva. Ha esercitato come chirurgo presso gli ospedali piemontesi San Luigi di Orbassano e Santa Croce di Moncalieri, e in Etiopia all’ospedale di Bushulo. Del 2000 il suo primo romanzo per ragazzi, L'ultima stella a destra della luna, cui segue nel 2003 La bestia e la bella, sempre per Salani. Il successo arriva nel 2004 con L'ultimo elfo, tradotto in diciotto lingue, con cui vince il 48º Premio Bancarellino e il Premio Andersen. Il sequel L'ultimo orco del 2005 segna il passaggio dell'autrice dalla letteratura per ragazzi al genere fantasy rivolto infatti ad un pubblico più adulto. L'ultimo orco vince il premio IBBY International Board on Books for Young People 2006 e il Prix Sorcières "Romanzi per ragazzi" nel 2008 in Francia. Ha all'attivo oltre una ventina di titoli, molto apprezzati dal pubblico.