Come c’era da aspettarsi, alla fine le maggiori associazioni animaliste e anticaccia italiane (Lav, Enpa e Lipu) hanno dovuto chiarire pubblicamente che loro con le proposte di referendum abrogativi sulla 157/92 non c’entrano nulla. Non le condividono e ritengono del tutto inutile la campagna referendaria lanciata sottotono e senza fondi da un comitato di piccole associazioni (che si sono subito messe a litigare, partorendo addirittura due raccolte di firme separate per quesiti referendari diversi). Partiti da una dozzina di persone soprattutto in Piemonte, arrivati ora a qualche centinaio di cittadini, sono una manciata di esagitati che non hanno alcuno spazio sui grandi mezzi di comunicazione e sono totalmente ignorati dalla politica.
Inutile a dir poco. Le consorelle animaliste boicottano l’iniziativa, prospettando addirittura conseguenze nefaste sia in caso di sconfitta (probabilissima anche se qualche estremista sembra tentato a dar loro credito ) che nella remota ipotesi di successo (il che vuol dire raccogliere 500 mila firme legittimamente autenticate - ma i primi riscontri già registrano dei peccatucci - e ottenere l’agognato quorum alle urne). Poi c' lo scoglio costituzionale. Abolire alcuni articoli della 157 secondo le analisi delle associazioni di cui sopra, in questo preciso momento di emergenza faunistica (vedi protesta Coldiretti e contestuale impegno di tutte le forze politiche parlamentari) aprirebbe la strada a nuove iniziative legislative, probabilmente "diverse" dall'impostazione filo ambientalista di certi passaggi della 157. Come ben ha fatto notare la Lipu, l’Italia verrebbe a trovarsi scoperta in tema di normativa comunitaria e dovrebbe quindi tornare a legiferare, “con tutti i rischi - dice - comportati dal riaprire una questione positivamente chiusa negli anni scorsi”. Sbagliando tempi, modi e strategie, questi semi-sconosciuti hanno costretto i più navigati a scoprire le proprie carte, evidenziando anche che in fondo dei cacciatori hanno un gran bisogno, canalizzando di fatto gran parte delle proprie attività contro un unico nemico carismatico. Senza il quale si mostrerebbero impotenti di fronte ai veri problemi dell’ambiente (inquinamento, agricoltura intensiva, specie invasive, ovvero le maggiori minacce riconosciute per la biodiversità).
Resta comunque nell’aria qualche perplessità per la presenza di questi irriducibili nelle piazze italiane a caccia di firme: animalisti incattiviti tampineranno i passanti nelle principali città italiane raccontando bugie, puntando tutto sullo stereotipo del cacciatore cattivo, una sorta di pirata della natura, che se ne frega di tutto e di tutti. Sappiamo bene quanto nell’opinione pubblica manchi quel minimo di consapevolezza su cosa fanno i cacciatori, su quali siano i limiti a loro imposti ed i presupposti di legge da ottemperare per ottenere una licenza ad uso venatorio (fedina penale linda per esempio. Pare poco?). Sappiamo quanto sia facile puntare su un’ignoranza diffusa per gettare discredito sulla categoria. Le menzogne che raccontano ormai sono un mantra mistico in cui credono ciecamente, che rischia di fare adepti qui e là tra i tanti generici amanti degli animali (e chi non lo è?).
Questa pressione, l’ennesima, può essere salutare per il nostro mondo. Quale momento migliore per uscire dal guscio e prendersi lo spazio che ci meritiamo nella società? Del resto la protesta di Coldiretti, arrivata fino a palazzo Chigi, con tanto di presa di coscienza della politica e del Governo sulla necessità di aumentare gli abbattimenti venatori di specie come il cinghiale, la dice lunga sull’importanza sociale ed economica di una figura che fino ad ora era passata per vetusta, meramente hobbistica, se non inutile o addirittura dannosa. Niente di più distante dalla realtà, quella vissuta da chi deve fare i conti con quello che la natura toglie dai raccolti, mutilando introiti e vanificando sacrifici. Una natura che deve necessariamente essere gestita, dato che, piaccia o non piaccia, l’Italia è territorio fortemente antropizzato.
Occorre quanto meno vigilare, e fare opera di persuasione nei confronti dei nostri concittadini, soprattutto dei giovani e anche delle donne.
Come al solito in questo ci battono i francesi. La loro è una battaglia serrata, che si gioca su un testa a testa competitivo e passionale con gli animalisti, a cui non intendono lasciare campo libero. A dire ai francesi chi sono e cosa fanno vogliono essere loro. Willy Schraen, presidente dei federcacciatori transalpini, nei giorni scorsi ha ottenuto spazio in un noto programma su una delle maggiori radio pubbliche francesi per ribadire, insieme all’influencer cacciatrice Instachasseresse, che non è il caso che a parlare di caccia siano sedicenti ambientalisti. “Non lascerò più dire tutto e qualsiasi cosa. Non ho problemi a discutere con qualcuno che non condivide le mie opinioni ed è così che deve andare il dibattito democratico ma ciò che non voglio è che si trasfiguri la verità ′′ ha detto Willy Schraen in diretta nazionale.
In Francia, lo sappiamo, le questioni aperte sono ben più specifiche. Sotto attacco pratiche di caccia tradizionali da noi già interdette da tempo. La Federazione Nazionale, per chiarire le questioni aperte, da un anno cerca di ammodernare la propria immagine usando i nuovi mezzi di comunicazione, come Instagram, con un nuovo approccio più green e pieno di pathos, per attirare il pubblico giovane e dare un’idea di trasparenza e genuinità. Ricordiamo la recente campagna video (che non deve essere costata poco), molto efficace da questi punti di vista, arrivata a 14 milioni di visualizzazioni. Efficace anzitutto perché sono giovani a parlare ai giovani. Qui il “lifting” è già in corso. Il ringiovanimento e l’attenzione al femminile sono al centro di questo processo, grazie anche ad una sfilza di cacciatrici Instagrammer che pubblicano le loro ricette di crocchette di fagiano e arrosti di cervo. Utilizzando tutte le chiavi per il successo degli influencer: vita quotidiana, scatti di qualità e tanti sorrisi. E da noi quando?
Cinzia Funcis
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