Da appassionata e studiosa del comportamento, ho provato ad indagare e a domandarmi il motivo dell' astio mediatico diffuso verso caccia e cacciatori.
La caccia viene additata come usanza barbara e primitiva, i cacciatori indicati come incivili nemici della natura; nascono e vivono partiti e populismi sulla denigrazione della nobile arte venatoria.
Domandandomi a cosa si debba non solo questa mancanza di rispetto verso chi legittimamente pratica una attività perfettamente legale e prevista dalla legge, ma anche tutto questo odio facilmente indirizzato verso la nostra categoria, sono giunta ad alcune considerazioni.
Il buonismo dilaga.
L'ipocrisia regna.
L'ignoranza comanda.
Nella jungla di cemento delle città, perdiamo il contatto con la naturalità, dimentichiamo le radici e la civiltà contadina, la vita autentica di chi produce e sta alla base della filiera alimentare, arrivando a immaginare una natura che non esiste, una campagna e una foresta di bestiole felici carine e coccolose come in uno spot tv.
I tempi socioculturalmente bui, le incertezze che popolano gli scenari di vita di tutti, portano chi manca di ampie prospettive ad ergersi a moralizzatore e facile paladino dei deboli di turno...
Ed ecco che tutti diventano animalisti, strenui difensori dei poveri quanto costantemente snaturati animali, visti un po' come in una proiezione Disney carica di retorica.
Ed ecco tutti vegetariani, tra alimentazione "sostenibile" a cereali e vegetali fuori stagione dall'altro capo del mondo, lancia in resta contro lo sfruttamento animale, ignorando più o meno deliberatamente che quasi tutti gli animali al servizio dell' uomo, in natura neppure esisterebbero.
Come nei "minuti di odio" di orwelliana memoria, in un battito d'ali tutti a puntare il dito, detestare, inveire, non solo contro la caccia ma di volta in volta contro allevatori, addestratori, sportivi, e chiunque tragga sostentamento o diletto da una qualche presunta forma di sfruttamento animale.
È così che in un attimo il cacciatore diventa lupo cattivo, ad opera di una società poco informata e orientata alla comprensione, quanto all'apparenza, che imbraccia bandiere senza conoscere, ormai cosi lontana dalla natura e dalla naturalità di cui si blatera senza sapere, incapace di capire che non viviamo nell incontaminato mondo dei documentari, incapace di comprendere che la vita e lo sviluppo della nostra specie necessitano di un equilibrio studiato, con le specie selvatiche, che nei boschi passano strade, coltivazioni; incapace anche di capire che i prodotti bio sostenibili a km0 non industriali dei pastori e dei mercati cittadini trendy, hanno bisogno per esistere, anche della tutela da predatori e nocivi...
A cosa mira il delirio post animalista estremo di questi tempi?
Alla fine di un arte millenaria come la caccia?
Alla fine pure dell' allevamento e della coltivazione?
È necessario e auspicabile che vi sia controllo e contenimento delle specie selvatiche, e che chi ne ha diritto possa esercitare e un arte e una cultura sancite dalla legge e dalla storia.
La natura non è più selvaggia, divide i suoi ambienti con noi, onnivori intelligenti dotati di pollice opponibile, cacciatori, industrializzati e manipolatori della natura stessa per il nostro sostentamento, ed è anacronistico inutile e cieco negarlo.