E finalmente siamo a caccia. Abbiamo sofferto molto per questa pandemia, abbiamo sofferto tutti, ma abbiamo anche riscoperto un popolo ricco di solidarietà. Il popolo dei cacciatori ha fatto la sua parte. Forse anche più e meglio di altri. Ma l'importante è che nel corso della pandemia, a dispetto delle grancasse anticaccia, e dei TAR, è stato sancito un principio che riconosce alla caccia un servizio utile, indispensabile alla comunità.
Altre grandi sfide ci attendono. Sia in casa, sia soprattutto in Europa, dove "grazie agli inestimabili sforzi di così tanti cacciatori - come ha detto Torbjorn Larsson, presidente della Face (la Federazione Europea delle Associazioni Venatorie) - abbiamo solide prove per dimostrare nella pratica come i cacciatori stiano attuando con successo la strategia dell'UE sulla biodiversità per il 2030 e diano un contributo cruciale al ripristino degli habitat, delle aree protette, col monitoraggio delle specie selvatiche e molto altro ancora".
La biodiversità, si diceva. O meglio, si dice oggi, con questo termine, quello che in passato veniva reso esplicito dalle comuni attività della campagna, con l'azione intelligente dei legislatori, il lavoro quotidiano dei contadini, l'apporto armonizzante dei cacciatori, in sintonia totale fra loro. La caccia moderna, quella nata ed evolutasi dopo la rivoluzione francese, aveva stabilito un rapporto stretto fra tutti coloro che avevano a cuore la salvaguardia delle bellezze delle nostre campagne. Storia e arte, sudore della fronte e diletto erano stati il collante che aveva conservato fino a noi un patrimonio inestimabile di natura e cultura. Quel "paesaggio" dai mille campanili, che racchiudeva e ancora malgrado tutto racchiude l'insieme del creato modellato a dimensione di noi umani. Che comprende anche le migliaia di specie animali, di cui noi preleviamo una piccola parte degli "interessi". Minima, ragionevole, sicuramente di scarso significato per la salvaguardia di quelle popolazioni che gli indicatori internazionali definiscono "a rischio".
Noi cacciatori sappiamo più di altri che gli equilibri naturali soggiacciono a regole complesse. Ogni specie, animale o vegetale, dipende dalle altre con cui interagisce e da tutti gli elementi - aria, acqua, suolo - che fanno parte dell'ambiente in cui vive. Le profonde trasformazioni che i nostri territori hanno subito in quest'ultimo secolo hanno determinato l'abbondanza o la scomparsa di questa o quella specie, rompendo gli equilibri cosiddetti naturali, che nel caso del nostro paese, ma dell'Europa in genere, naturali non sono. Dipendono dalle attività umane. Ormai a livello planetario. Ma non di certo dai cacciatori. Anzi, i cacciatori, come sempre, fanno in modo che la selvaggina oggetto di caccia possa mantenere una giusta consistenza. Dandosi da fare per salvaguardare e - quando serve - ricostituire l'ambiente più adatto. Siamo noi i primi interessati a che questo avvenga. Come si dice, senza ambiente non c'è fauna, senza fauna non c'è caccia. E' l'ambiente che fa la differenza. Il rapido sviluppo sociale, la corsa "innaturale" al profitto, hanno spopolato le campagne, soprattutto nelle aree disagiate, come gran parte della montagna. Boscaglie e macchie incolte hanno favorito l'aumento di alcuni ungulati. La parcomania ha fatto il resto. Insieme alle trasformazioni fondiarie delle terre irrigue. Conseguenza? Lamentiamo l'abbondanza di ungulati, corvidi, nutrie, storni (è un controsenso che questa specie non sia nell'elenco delle cacciabili), ma facciamo finta (i nostri governanti fanno finta) di non sapere da cosa dipende la carenza di specie che nelle stagioni giuste erano la gioia degli occhi e dei cuori di chi come noi frequentava pianure e paludi. Siamo ricchi di monocolture al posto del variegato paesaggio rurale immortalato dai nostri grandi artisti. Chi ha imposto la parola "biodiversità" non è altro che chi fino ad oggi ha fatto in modo che questa ricchezza venisse distrutta. Oggi, a buoi scappati, si prova a chiudere la stalla.
Cosa possono fare i cacciatori? Qual è, oggi, la missione della caccia? Niente può prescindere dallo stare insieme consapevolmente. Il mondo - l'abbiamo visto con questa pandemia - vive di un'esistenza planetaria. Con i grandi blocchi continentali che puntano in concorrenza all'egemonia economica. Difficile, direi impossibile, tornare indietro a un'età preindustriale. Perdipiù, per la caccia, questa evoluzione sociale planetaria porta alle superconcentrazioni metropolitane, dove la cultura dominante non ci è amica. L'idea di vita all'aria aperta viene codificata nei salotti delle capitali. Se vogliamo salvaguardare il nostro modo di vivere da cacciatori, le nostre tradizioni nazionali, dobbiamo favorire una coscienza europeista, perchè è là che si prendono le decisioni. Già, chi ha dimostrato più sensibilità, ha incrementato la propria presenza nei nostri consessi internazionali: CIC, Safari Club, e soprattutto FACE. Più ci sentiremo europei, più ci faremo sentire a Bruxelles, e più potremo sostenere le nostre ragioni.
Fra cacciatori europei, diverse possono essere le cose che ci dividono, ma tante anche le cose che ci uniscono. La più importante è la comune passione: aldilà delle tante tradizioni, è quasi naturale anche per noi mediterranei entrare in sintonia con i cacciatori del centro o dell'est e del nord Europa. In tutti c'è la stessa volontà, lo stesso impegno a tutelare le popolazioni selvatiche. E' un patrimonio comune, soprattutto quando si parla di uccelli migratori.
Qualche esempio? Quanto a salvaguardia della biodiversità la Face ne ha messi insieme una cifra che fa invidia alle più grandi sigle internazionali dell'ambientalismo. Ben 470 progetti. Per il ripristino degli habitat, la difesa di uccelli e mammiferi, il razionale controllo dei grandi carnivori, delle specie aliene e invasive, delle aree protette, per la salute degli animali, l'educazione alla salvaguardia del patrimonio naturale.
E in Italia? Non siamo certamente da meno. Basterebbe elencare tutte le aree che i nostri cacciatori gestiscono per favorire la presenza di fauna selvatica. Per le zone umide, in particolare, se non ci fossero i cacciatori, avremmo perso anche gli ultimi rifugi che annualmente annoverano centinaia di migliaia di uccelli acquatici. Ma è così anche per la presenza nutrita di molta altra selvaggina. Non solo oggetto di caccia. Ovviamente.
E questo è il bello. La caccia è la chiave di volta della biodiversità. Lo dobbiamo far sapere a tutti.
In bocca al lupo.
Giuliano Incerpi