Siamo ancora giovani. Anche noi. Noi che come minimo siamo sugli anta. Ho letto con grande interesse, quasi con commozione, il recentissimo riappello ai giovani apparso su queste pagine.
Condivisibile in tutto e per tutto. Credo per questo che sia importante tornare sull'argomento, perchè quei giovani che vorremmo fra le nostre file possano immedesimarsi meglio nel ruolo. E' vero, abbiamo bisogno di nuovi ideali e di nuove competenze. Come dire: uno sguardo convinto verso il futuro. In questi ultimi cinquant'anni tutto è cambiato. Il nuovo che avanza richiede entusiasmo, capacità di vedere lontano, muoversi con competenza nella complessità, credere in se stessi. Sognare. Più o meno, pur in situazioni completamente diverse, quello a cui aspiravamo noi, allora, quando decidemmo, forse inconsapevolmente, che la caccia sarebbe stata una delle ragioni della nostra vita. Forse inconsapevolmente, perchè padre, zio, nonno, bisnonno, vicini di casa, erano solitamente cacciatori. Si cresceva, noi, in quell'ambiente, fin da piccoli. Soprattutto chi stava in campagna. Anche perchè, per andare a caccia, bastava girare l'angolo e c'eri subito.
L'esperienza, che diventava presto competenza, te la facevi ovunque, giorno per giorno. Nel borgo, nel rione, in piazza, nel vicolo, si respirava quella magica atmosfera. Dal barbiere era l'argomento clou, intercalato fra le accese dispute sul calcio, a volte sulla politica. Il macellaio, il verduraio, nei tempi giusti esponevano selvaggina. Non pochi nella cerchia integravano il modesto reddito facendo il cacciatore di mestiere. In Maremma, ma anche altrove, ce n'era una bella scelta. Il civettaio per le allodole, il canaio per il cinghiale, l'uccellaio per i tanti capannisti, il piccionaio per i colombi. I provetti cacciatori di montagna, come i padulani. Gli allevatori di cani da ferma e di quelli da seguita. Noi bambini, curiosi per condizione, imparavamo tutto prima del tempo. Quelle erano le attività in cui ci trovavamo immersi. Quando non c'era la scuola, alcuni anche prima e dopo l'ora di scuola, s'accompagnava il babbo o il nonno e - sotto stretta sorveglianza - ci poteva capitare anche di dare prova di una precoce maestria. I molti deliziosi bozzetti degli illustratori di allora, Lemmi e Norfini su tutti, sono lì, nelle vecchie riviste, a ricordarcelo. Chi frequenta le fiere della caccia trova ancora sulle bancarelle molti libri del tempo, racconti, saggi, manuali, antologie su cui ci siamo formati, e che dannoa l'idea di come fosse diverso quel mondo da quello di oggi. Ugolini, Niccolini, Cantalamessa, Barisoni, Ghidini, Noghera, Colombo, Zammarano, Mazzotti, Pieroni, Garavini, Gramignani, Celano, Lupi, Quadri, Armani, Fioravanti, Bardelli, Nobile. Furono loro i cantori di quella stagione. Rigoni Stern, Gianni Brera, Cibotto, Ortega, Hemingway, Ruark, su altri livelli letterari. E non mancavano i poeti, quelli dell'Olimpo, Carducci (Gira su' ceppi accesi/lo spiedo scoppiettando:/sta il cacciator fischiando/su l'uscio a rimirar/tra le rossastre nubi/ stormi d'uccelli neri....), Pascoli (...Ma i tordi ancor non calano, e non sento/se non il fischio delle ballerine/seguire il solco dell’aratro lento;), Leopardi (...Odi per lo sereno un suon di squilla,/Odi spesso un tonar di ferree canne,/Che rimbomba lontan di villa in villa./Tutta vestita a festa/La gioventù del loco/Lascia le case, e per le vie si spande;/E mira ed è mirata, e in cor s'allegra.), che la evocarono, la caccia, come parte viva di quel contesto sociale e culturale. Retaggio ancestrale di un modo di vivere radicato nei millenni. Omero, Senofonte, Lucrezio, Virgilio, e mille anni dopo Federico II e ancora poi Lorenzo il Magnifico, ne furono tutti intrisi, naturalisti ed ambientalisti ante litteram. Il termine greco "eco" è la radice comune di ambiente, casa, economia. Che racchiude in sè le ragioni della nostra esistenza. A cui si ispirarono quell'Henry Thoreau, primo ambientalista moderno, e quell'Aldo Leupold, architravi di un modello di sviluppo che non trova contraddizioni fra tutela del patrimonio naturale e caccia correttamente intesa. Alla maniera degli antichi, alla maniera dei pellirossa, o agli aborigeni australiani come ai pigmei, convinti di questo indissolubile legame, contrariamente a quanto predicano questi profeti di sventura che sbraitano sotto insegne evocative di un ecologismo foraggiato dai peggiori inquinatori del contemporaneo.
Cosa voglio dire con questo. Voglio dire che mentre per noi tutto era facile, direi quasi automatico, per i giovani di oggi occorre davvero passione, ma soprattutto è importante condividere il prezioso appello accompagnandolo ad un serio e comune progetto che crei le condizioni affinchè le nuove leve possano percepire almeno i profumi di quell'atmosfera. La loro sensibilità, la loro preparazione, le loro convinzioni faranno il resto, ma c'è bisogno di una guida illuminata, per aprire i loro cuori alla storia, alla bellezza, all'amore per questa nostra passione, che a volte è anche sofferenza.
Potrebbe essere la nuova missione su cui impegnare le nostre attuali dirigenze.
E' il momento, credo.