L'Italia nei prossimi anni dovrà fare passi decisivi per mettersi in pari con altri paesi europei in fatto di specie invasive. Finora gli apparati ministeriali hanno fatto orecchio da mercante sugli allarmi dell'Europa, strizzando una volta l'occhio agli animalisti, un'altra agli agricoltori inferociti, ma di fatto non intervenendo mai, da quando, dopo il 1997 con il recepimento della Direttiva Habitat, fu introdotto l’obbligo di una specifica autorizzazione da parte del Ministero dell’Ambiente per l’immissione in natura di specie alloctone, e demandando di fatto le problematiche eventuali con la fauna problematica alle regioni e agli enti locali nella 157/92.
I danni causati da questa politica assente e costantemente in trincea sono molteplici: quelli concreti in termini di danni al patrimonio biologico ed economico (solo per la nutria la stima è che fra il 1995 e il 2000 abbia provocato danni per un totale di 11,6 milioni di euro, oltre alla spesa di 2,6 milioni per attività di controllo), oltre che quelli culturali e sociali, visto che la maggior parte dei cittadini non sa nulla di questo argomento, anche se è, di fatto, uno dei più urgenti sul fronte della protezione ambientale.
Le specie aliene e invasive al momento sono infatti la minaccia più grave per la biodiversità, seconde solo al depauperamento degli habitat. L'Italia ne conta ben duemila. Cosa che ci classifica al terzo posto in Europa, subito dopo Belgio e Francia, che ne hanno oltre 2.500 e Gran Bretagna, (oltre tremila), tra i Paesi più a rischio per la perdita della biodiversità autoctona. Spaventoso l'impatto sull'economia: si stima siano stati persi 12 miliardi in tutta Europa per i problemi legati alla diffusione di specie estranee. Ecco perchè dirsi ambientalisti e poi fare campagne per la difesa delle nutrie o degli scoiattoli grigi, utilizzando per altro i consistenti introiti versati dallo Stato (come fanno gran parte delle associazioni riconosciute dal Ministero dell'Ambiente), è qualcosa di estremamente contraddittorio e dannoso. Se hanno credito (e soldi) associazioni che umiliano il lavoro di scienziati e tecnici, come possiamo aspettarci che piccoli comuni e provincie si oppongano alle migliaia di firme che minacciano i loro provvedimenti? Che cedano al primo soffio di vento, è semmai più che scontato.
Eppure è un italiano il primo a promuovere la spinta all'azione da parte dell'Europa. Piero Genovesi, tecnico Ispra (pare, da poco nominato direttore) dirige l'organismo internazionale di IUCN che raggruppa i maggiori esperti di specie invasive. Grazie ai loro studi l'Europa ha finalmente uno strumento per imporre ai diversi Paesi come e dove agire in tempo ed evitando ulteriori danni. Non appena la disciplina sulla lotta alle specie aliene sarà legge europea ne vedremo delle belle, in Italia. Con ogni probabilità dovremo adeguare la legge 157/92, inserendo un sistema di intervento chiaro per l'avvio di piani di eradicazione e l'individuazione di specifiche responsabilità. Dovremo anche modificare certe impostazioni protezioniste che finora hanno frenato la praticità spicciola di Comuni e Atc, che potranno finalmente affrontare le emergenze chiamandole con questo nome, attraverso piani d'azione ben determinati e comuni a tutta l'Europa.
Un' indagine conoscitiva redatta dalla dottoressa Maria Laura Pasqua, anche lei ricercatrice Ispra, parla proprio della necessità di adeguare il quadro normativo italiano, contemplando efficaci misure di prevenzione e repressione delle introduzioni non autorizzate e programmi di controllo ed eradicazione. Se esiste il divieto di introdurre specie alloctone, è per esempio inconcepibile che per questi atti, accidentali o voluti, non siano previste responsabilità e sanzioni. “L’introduzione di specie alloctone invasive – dice la Pasqua senza girarci troppo intorno - comporta il rischio della perdita di un elevato numero di specie, con una progressiva omogeneizzazione delle biocenosi e l’alterazione profonda degli ecosistemi”. Il problema è che le specie esotiche possono entrare in competizione con le specie autoctone per la conquista delle risorse e spesso accade che le une, soprattutto se invasive, arrivino a soppiantare le altre. Inoltre le specie animali introdotte possono predare le specie autoctone che, incapaci di sfuggire ai nuovi predatori, diminuiscono rapidamente, giungendo talvolta anche a livelli prossimi all’estinzione locale. Le specie invasive possono agire anche indirettamente, interferendo nei rapporti interspecifici tra i componenti di una comunità e modificando i processi e la funzionalità degli ecosistemi.
Si legge nella relazione: “la legge 157/92, che rappresenta il principale strumento normativo nazionale per la tutela e la gestione della fauna selvatica, non fa alcun riferimento esplicito alle problematiche legate alla diffusione di specie alloctone. Le attività di eradicazione e controllo delle specie naturalizzate di mammiferi ed uccelli possono essere condotte solo in ottemperanza al dettato dell’art. 19 della legge n. 157/92, che delega alle Regioni la programmazione di piani di abbattimento, formulati sulla base di un parere dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica. Tali piani di abbattimento devono essere attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle Amministrazioni provinciali eventualmente coadiuvate da altri soggetti (ovvero dalle guardie forestali, dalle guardie comunali, dai proprietari o conduttori dei fondi agricoli su cui si attuano gli interventi stessi)”. Quindi non è prevista la possibilità di intervento diretto da parte di organismi nazionali (Ministero dell’Ambiente, Ministero per le Politiche Agricole, Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica), neanche in casi di rilevante interesse nazionale o per popolazioni la cui distribuzione si estenda a livello sovra-regionale. Ad eccezione di ratti e topi, uniche specie escluse dal campo di applicazione della legge n. 157/92. Secondo la biologa dell'Ispra sarebbe ora opportuno formalizzare il sistema e "individuare un unico soggetto istituzionale cui affidare compiti autorizzativi, di monitoraggio e di sperimentazione in materia” dice Pasqua.
C'è ancora molto da fare. Attualmente, a parte alcuni casi specifici, esiste solo una semplice lista di specie, ma ha l’obiettivo futuro di essere arricchita con i dati di presenza, i motivi di introduzione, i danni alle attività dell’uomo, gli effetti sulla biodiversità e le principali azioni di intervento proposte. La valutazione dell’impatto causato dalle diverse specie verrà effettuata considerando i danni reali o potenziali relativi al contesto italiano.
Tra i mammiferi più dannosi in Italia, in grado di esercitare un impatto negativo sull'ambiente, ci sono nutria, ondatra e coniglio selvatico, che creano problemi per le loro attività di scavo o per il loro modo di alimentarsi, il visone americano per la predazione nei confronti di altre specie. Lo scoiattolo grigio, invece, è da tempo indicato come il colpevole della diminuzione delle popolazioni di scoiattolo rosso, con cui è entrato in competizione avendo poi la meglio. Altre specie invasive italiane sono Lepre sarda, Silvilago, Scoiattolo variabile, Tamia siberiano, Topo domestico, Ratto nero o dei tetti, Ratto delle chiaviche, Cane procione, Visone americano, Daino, Muflone.
Per quanto riguarda invece gli uccelli la situazione è più tranquilla: i rischi maggiori sono rappresentati dalla capacità di incrociarsi con specie autoctone con conseguente inquinamento genetico. L'elenco comprende: Pellicano rossiccio, Airone schistaceo, Ibis sacro, Fenicottero cileno, Cigno reale, Cigno nero, Oca indiana, Oca del Canada, Oca egiziana, Anatra muta, Anatra sposa, Anatra mandarina, Gobbo della Giamaica, Colino della California, Colino della Virginia, Coturnice orientale, Pernice sarda, Francolino, Francolino di Erckel, Quaglia giapponese, Fagiano comune, Fagiano versicolore, Tortora domestica, Parrocchetto dal collare, Parrocchetto monaco, Amazzone fronte blu, Usignolo del Giappone, Becco a cono, Astrilde becco di corallo, Astrilde comune, Bengalino comune, Maina comune.
“L'Italia non dovrà insomma ripetere la drammatica esperienza vissuta nel caso dello scoiattolo grigio americano” ha detto Genovesi, facendo presente che "Nonostante gli allarmi, ci abbiamo messo anni per attuare un piano di controllo".
Cinzia Funcis
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