C'è molto da imparare ed analizzare rispetto a ciò che è accaduto negli scorsi giorni. Di fronte alla indubbia strumentalizzazione di un fatto di cronaca i cacciatori si sono dimostrati uniti, reagendo in maniera compatta alle tante manipolazioni della realtà, fatte sui numeri degli incidenti di caccia e perfino sui calibri concessi per la caccia al cinghiale. Qualche autorevole giornale (Repubblica) ha gridato allo scandalo, paragonando le armi da caccia a quelle usate in guerra. Disinformazione pura, evidentemente fatta con l'intento di inquinare il dibattito sull'argomento, innescando la sempre efficace leva della paura. Completamente inutile – si arguisce da quanto scrive il comitato Direttiva 477 su facebook - chiarire in tutte le lingue ai giornalisti di Repubblica, che l'uso e i calibri delle armi per la caccia hanno subito sempre maggiori vincoli nel 2015 e ancor più nel 2018, che il numero di colpi utilizzabili a caccia è stato a sua volta limitato nel 2015, che le armi "simil guerra" (definizione loro) non si possono utilizzare, che le distanze di sicurezza indicate dalla legge sono riferite alla direzione del tiro e non in ogni direzione, che l'utilizzo di calibri "performanti" è necessario per ovvie questioni pratiche ed etiche e che non a caso la legge prevede calibri minimi per la canna rigata e non massimi... tanto alla fine scrivono sempre le solite scemenze imboccate dai soliti anti.
La paura è fomentata poi dai pretestuosi numeri sulle “vittime”, vessillo di una nota associazione anticaccia, la cui esistenza è strettamente connessa al macabro conteggio degli incidenti, anche il più lieve, che in qualche forma ha a che fare con la caccia. Si arriva dunque alla considerata ragguardevole (?) cifra di 114 vittime, tra feriti (84, la maggior parte) e morti (30). Giocando sull'equivoco poi, per bocca di qualche anticaccia finto tonto, in tv (Rai3 per esempio) quelle “vittime” diventano morti. E morti rimangono nell'immaginario collettivo (spesso anche dei cacciatori), visto che perfino i giornalisti non si prendono la briga di verificare fonti e numeri.
Ma, ed è un fatto statistico, non esiste attività umana, purtroppo, esentata da incidenti. Emblematico che la maggior parte degli incidenti avvenga in casa (4,5 milioni!, di cui almeno 8 mila mortali), dove si passa più tempo, certo, ma dove certamente ci sentiamo al sicuro. Per non parlare delle stragi con cifre ben più consistenti degli incidenti sul lavoro (635.000, di cui 1.029 con esito mortale) e sulle strade (174 mila, con oltre 3 mila morti). O degli incidenti gravi che purtroppo capitano sistematicamente nello sport e nelle attività del tempo libero, dalla raccolta di funghi allo sci, all'alpinismo. Solo nel mese di settembre sono morti 24 cercatori di funghi, 21 escursionisti, 16 bagnanti e 2 sub. Addirittura farsi un selfie può uccidere. Secondo uno studio globale realizzato dalla Biblioteca nazionale Usa di medicina, tra il 2011 e il 2017 sono morte 259 persone alla caccia di uno scatto estremo su cime impervie, edifici e strapiombi. E la statistica sembra sia per massimo difetto.
L'altra leva, sempre più efficace a livello mediatico, è quella dell'etica. Se uccidere gli animali è sbagliato, la caccia è da abolire, punto. Anche se di animali ne muoiono milioni e milioni ogni giorno per soddisfare tutti i bisogni umani, anche se la carne, anche di cacciagione, trionfa nei menù di trattorie e ristoranti stellati. Che chi è contro la caccia, nella stragrande maggioranza dei casi, non disdegni una bella bistecca al sangue, lo dicono i numeri. Basta confrontare il dato nei sondaggi degli abolizionisti e quello del numero complessivo di vegani e vegetariani.
A proposito di sondaggi, l'altro giorno il sito Indiscreto (una testata sportiva) ha raggiunto un picco di visite tale da mandare in tilt il server che lo ospita. Merito dei tanti cacciatori, dopo la chiamata informale di Federcaccia, ripresa diffusamente, accorsi a votare no alla domanda posta in un sondaggio sull'abolizione della caccia. In poche ore, grazie anche al passaparola, il risultato è stato ribaltato. Quasi 13 mila voti, quasi tutti dei cacciatori (secondo gli stessi gestori del sito) dimostrano una sola cosa: i cacciatori sono nella media più motivati e appassionati di chi è contro la caccia. Una volta ammesso che il sondaggio era stato pubblicato proprio a partire dalla posizione contraria all'attività (cavalcando l'onda mediatica dell'incidente di Imperia), il sito fa una riflessione sulle proprie posizioni (“il cacciatore lo preferiamo nettamente al signor Amadori o al signor Aia”) e sull'accaduto: “ il punto su cui meditare – scrivono - non è però che gli appassionati di caccia difendano legittimamente la caccia, ma che sul web questi appassionati sembrino molti di più che nella realtà. In altre parole, minoranze molto motivate possono alterare la percezione di un fenomeno”.
Un'altra interessante riflessione viene dalle pagine del Foglio grazie all'intelligente disamina di Antonio Currado. “L’inopportunità etica della caccia – scrive a caldo subito dopo l'incidente di Imperia - andrebbe rilevata indipendentemente dalle occasionali disgrazie che comporta, e quindi la tragedia su cui fanno leva le dichiarazioni degli animalisti (sentite e sincere, senza dubbio, vista l’entità del trauma) dovrebbe risultare ininfluente nel loro giudizio morale. È uno dei duri paradossi a cui si va incontro quando si astrae l’etica dalla legge”.
Insomma, c'è da meditare, e molto, su cosa significa oggi fare comunicazione e sui pericoli che avventate disattenzioni possono comportare. Soprattutto se si pensa che le fonti che sembra oggi se ne accorgano sono proprio quelle che - in fatto di caccia - fino ad oggi ne hanno fatto uso distorto e vergognoso. Non ultimo l'avventato allarme lanciato anche da un ministro (o ministero?) che sull'argomento dovrebbe usare molta prudenza, visto gli oneri che - causa un inadeguato controllo - pesano sull'economia di tutta la nazione. E non stiamo certo parlando di caccia, come in molti (istituzioni, congreghe animaliste e stampa) vorrebbero far credere.
Cinzia Funcis
Nota: Viene quasi da condividere la lapidaria sentenza di Camillo Langone, che ancora sul Foglio scolpisce: #stocoipastori, #stocoimalgari, #stocongliallevatori che in montagna vedono i loro asini, le loro manze, le loro pecore, le loro capre sempre più spesso mangiate vive dai lupi e che non possono minimamente opporsi a questo scempio perché la pagana legge italiana considera sacro il lupo feroce come l’induista legge indiana considera sacra la vacca mansueta. Conseguentemente, pregando il Dio di Genesi 9,2 che la caccia autorizza e quasi impone, #stocoicacciatori...