Scegliamo a caso. Dall’antico castello di Romena, in Casentino, feudo degli Alberti e quindi dei Guidi, restano il cassero e due torri a testimoniare l’imponenza di uno dei più antichi fortilizi medioevali della zona. I conti Guidi ospitarono Dante al tempo del primo esilio e in seguito hanno conservato lo spettro di quel Maestro Adamo da Brescia, arso vivo per aver falsificato i fiorini della Repubblica: “... ivi è Romena là dov’io falsai la lega suggellata dal Battista”.
Nella fattoria adiacente al castello, nei mesi estivi del 1902, ha soggiornato Gabriele D’Annunzio, impegnato nella stesura di alcuni canti dell’Alcyone. Terminati gli ozi letterari, il poeta ha lasciato testimonianza della sua meraviglia per quanto aveva visto e vissuto: “... se nato non fossi nella terra d’Abruzzi, vorrei esser nato qui, nella terra della Verna e di Michelagnolo”.
Il mio apprezzamento in proposito: io che in quella terra ci sono fortunatamente nato, anche dopo tanti anni, tanti cambiamenti e tanti errori, non posso negare la meraviglia per quanto la natura ha sparso a piene mani in questa vallata, creando una sorgente di sensazioni mantenute nel tempo.
In un mondo semplice, di brave persone, ci sono occasioni per “vivere” personaggi e realtà diverse. E qualcuna resta, inspiegabilmente, per sempre. Da ragazzo ero rimasto affascinato da quanto raccontavano del vecchio Detti e della sua famiglia di fabbri. Artigiani raffinati e armaioli per vocazione. Il nonno Detti era diventato famoso perché aveva riparato il fucile di Tiburzi, il più celebre e temuto dei briganti maremmani. Tutti lo raccontavano e tutti lo sapevano, anche i Carabinieri, che infatti andarono per chiedere informazioni, ma furono scacciati e, sembra, malmenati. Io faccio l’armaiolo, disse il nonno Detti, e per me riparare il fucile del Granduca o quello di Tiburzi è la stessa cosa.
Da queste parti, fortunatamente insieme a tanti, ho visto le luci soffuse dell’alba e i colori del tramonto, il Falterona coperto di neve, nitido e vicino, l’Arno verde e brillante con i filari di pioppi che alla brezza s’inchinano e ti salutano. Abeti, pini, castagni, faggi, aceri, sorbi e ontani. Insieme ai nostri cani, le piogge d’autunno, le improvvise folate di tramontana e l’aria fredda che ti mozza il fiato. Il volo morbido di una beccaccia che scompare nel fitto e il frullo improvviso di una brigata di starne che ti mette in crisi, con il cuore a mille, per non sparare nel mucchio. Poi, l’ultima isolata che parte diritta nel sole d’inverno, incredibilmente bella e clamorosamente sbagliata. Lo sguardo deluso e di commiserazione del cane che difficilmente potrà capire quanto “non” mi sia dispiaciuto.
Nel frattempo, nessuno o quasi badava a quello che i nostri amici stavano lamentando. “Tutte le lumache muoiono per via dei veleni nell’aria e nell’acqua: topi, cavallette e anche gli uccelli dal becco corto, le cince e i batticoda”.
Paradossalmente, i segnali venivano dalle lumache e dai topi, senza accorgersi che ci stavano scivolando addosso tutte le inquietudini, incertezze, nostalgie e ricordi.
Poi, come succede quasi sempre quando ormai è tardi, qualcuno si rende conto che buona parte di questa gente vive e lavora in campagna, conosce e sa valutare situazioni e relativi problemi. Si comincia così a pensare che “forse sarebbe opportuno ascoltarli anche se sono cacciatori”, come ha detto, testualmente, qualche fenomeno.
Passare da un concetto di stretta tutela a quello di gestione, con tutto l’equilibrio possibile e senso della misura, è stata una delle proposte forse neanche considerata. E da lì, anche per i disutili, violenti e barbari cacciatori, è stato facile prevedere quanto stava per capitarci, a partire dal cinghiale. Reintrodotti anche a fini venatori, prima con i maremmani, di cui quasi non rimane traccia, poi con varie ibridazioni che hanno aumentato a dismisura peso e numero di piccoli. I coltivi sono i loro ristoranti preferiti, ma possiamo considerarli “nostri coinquilini” anche in zone non periferiche e compagni di giochi nelle spiagge.
Negli stessi periodi si ebbe conferma che il capriolo diminuiva in montagna, ma era in crescita progressiva e continua nelle zone collinari. Questi animali, insieme ai daini, sono brucatori selettivi, che scelgono con cura, dedicandosi con ghiotto interesse alle gemme dei rimboschimenti e della rinnovazione naturale. L’ultima loro scoperta sono stati i vigneti; prelibatezze assolute.
Nel contempo risultava anche evidente che erano troppi, che la predazione naturale è insufficiente, e che gli adattamenti dei calendari e dei piani di selezione non danno risultati; così come le costosissime recinzioni, i disturbatori a ultrasuoni, trappole e ronde notturne.
I pochi rimasti tra quelli che si lamentavano delle lumache e dei topi, non vanno più a caccia per ragioni anagrafiche, ma continuano a chiedersi perché a parlare e magari a decidere, sono sempre quelli che potrebbero occuparsi proficuamente e con maggiore successo di altre cose.
Emergenza climatica e riscaldamento globale. Giusto allarme per tutti noi che ascoltiamo analisi e opinioni diverse di meteorologi e scienziati. Ultimamente alcuni di loro hanno fatto notare che in Inghilterra, in un tempo non lontanissimo anche se si tratta di secoli, a centinaia di chilometri più a nord dell’attuale limite di coltivazione, si curavano alberi da frutto, le viti, e si produceva vino. Allora il caldo era una benedizione, mentre oggi sembra una sorta di punizione pagana per i nostri comportamenti antinatura.
Altri scienziati e altre notizie, fortunatamente positive. Grazie al divieto dei clorofluorocarburi si sta richiudendo il “buco dell’ozono”, e non solo. Secondo un recente studio australiano, in futuro sarà possibile solidificare l’anidride carbonica e trasformarla in combustibile sintetico per l’industria. Dopo le notizie, il biglietto di un giovane amico che mi accusa sempre di essere troppo “tenero”. Lo riporto praticamente per intero.
“Qualcuno ha detto che l’avversione contro la caccia rappresenta la sintesi di tutte le meschinità dell’uomo contro il creato, e per tener fede a questo principio, sembra che sia intenzione di ambientalisti, animalisti, vegetariani e vegani, di modificare per legge tutti i menù dei ristoranti (per il momento solo italiani) abolendo piatti come – Maccheroni con ragù di anatra – Filetto in crosta - e - Manzo alla pancetta, per sostituirli con – Cavallette e scarabei al sugo, - Petti di formiche arrosto con contorno di coleotteri saltati e – Croccanti tarantole al vapore come dessert”.
Io sarò anche tenero, indubbiamente.
In bocca al lupo, amici. E restate sereni.
Mario Biagioni