L'Italia è il paese più ricco di biodiversità in Europa ed è al primo posto anche per varietà di habitat. Il che vuol dire che abbiamo maggiori responsabilità rispetto ad altre aree europee nel contrasto del declino di specie e ambienti naturali, e che dobbiamo assumerci in maniera più gravosa gli impegni che l'Europa chiede a tutti i paesi membri per fermare le cause della scomparsa di specie autoctone. Anche se il mondo ambientalista non perde giorno per attaccarla, l'attività venatoria non è tra queste cause, anzi, come abbiamo visto anche recentemente, le associazioni venatorie e i loro volontari portano avanti molti progetti di tutela ottenendo perfino finanziamenti previsti per la rete Natura 2000, ponendosi così tra i più esperti gestori di aree sottoposte a protezione speciale, che prevedono anche l'esercizio della caccia, seppur con alcune limitazioni.
Che la caccia sia sostenibile, lo certifica l'Ispra. Nella sua relazione alla presentazione del terzo rapporto della Direttiva Habitat, Piero Genovesi, oggi direttore ex Infs, fa il punto della situazione. La Direttiva tutela 113 specie vegetali e 225 animali, 132 habitat. In tutto il 50% delle specie e il 67% degli habitat sono in uno stato di conservazione sfavorevole. Soffermandoci sulla fauna troviamo 127 specie per cui si ritiene inadeguato lo stato di conservazione, 74 in cattivo stato, e 26 per cui non si hanno dati a sufficienza. Le specie che si trovano in una situazione favorevole sono 168 (tra queste rientrano naturalmente quelle soggette a prelievo venatorio). La situazione è peggiorata negli ultimi anni, ma pare stia migliorando per gli sforzi ottenuti con la tutela delle aree tipiche.
Come scritto sopra, tra le “pressioni legate alla distruzione degli ambienti naturali e al disturbo antropico” la caccia non è contemplata. Dal grafico che riportiamo di seguito, emerge una verità difficilmente controvertibile: la fauna è condizionata “solo” da modifiche agli ecosistemi, disturbo antropico, agricoltura, selvicoltura e urbanizzazione. Alla caccia, seppur inserita insieme a pesca e prelievo di flora non è attribuita nemmeno una minima percentuale di disturbo, il che dimostra che tutti gli allarmi ambientalisti sul depauperamento delle risorse faunistiche causato dai cacciatori, sono immotivati o basati su dati falsi e fuorvianti. Le pressioni sulle specie animali e vegetali sono altre: specie alloctone invasive, gestione forestale, frammentazione degli habitat, disboscamento e prelievo di risorse idriche.
E' un dato di fatto che le vere minacce, quelle scientificamente riconosciute, vengano spesso ignorate dalle organizzazioni ecologiste – che il Ministero dell'Ambiente riconosce come enti di protezione ambientale e a cui passa discreti (qualcuno comincia a pensare che siano ingenti) finanziamenti pubblici -, quando non addirittura fomentate, come nel caso delle campagne mediatiche di "disinformazione", che se ne fregano degli obbiettivi europei e delle multe che potrebbero arrivare all'Italia e chiedono agli italiani di apporre la loro firma a tutela di animali dannosi. Come nutrie e scoiattoli grigi, due specie alloctone invasive causa diretta della scomparsa della biodiversità italiana.
Anche dal rapporto sulla Direttiva Uccelli, di prossima uscita, avremo queste conferme. Lorenzo Serra dell'Ispra ha anticipato alcuni dati molto rassicuranti. Per esempio quello sul trend del colombaccio, una delle specie a maggiore pressione venatoria ma anche una delle più cresciute sia in termini di popolazione (+360%) negli ultimi dieci anni, che di areale conquistato. Rispetto al 1984, quando occupava il 57% del territorio, nel 2012 ha raggiunto l'88% dello stivale. Sono aumentate anche le specie acquatiche e quelle ormai tipiche delle aree urbane e diminuite quelle degli ambienti rurali, dei pascoli e degli arbusteti, come i passeriformi. Tra le dieci specie in aumento ci sono anche cormorano e usignolo del Giappone, l'una problematica, l'altra esotica invasiva. Aumentano anche gabbiani e cigni, anche loro certo non proprio tipiche di gran parte dei nostri territori.
In totale sono 73 le specie di uccelli in aumento, 56 quelle in diminuzione, e dato ben più preoccupante, ben 89 le specie per cui – parola dell'Ispra - non si conoscono affatto i trend.
Una curiosità, per concludere (ma, inevitabilmente su questi argomenti ci dovremo ritornare): la massima ricchezza di specie animali nel nostro continente, si registra in ordine di importanza in Italia, Francia e Spagna. Ma guarda un po': questi tre paesi sono quelli dove maggiormente si pratica l'attività venatoria. Sarà un caso?
Cinzia Funcis