Amplificata da
facebook, la
protesta animalista contro la sperimentazione animale partita qualche anno fa dall'onorevole
Michela Vittoria Brambilla, si è allargata oltre ogni immaginazione. A tenere banco nelle ultime settimane, più che le ragioni oggettive di chi difende gli animali, sono stati gli insulti, inqualificabili e vergognosi, rivolti ad una ragazza di venticinque anni, la cui unica colpa è stata quella di raccontare all'Italia che
è ancora viva nonostante quattro gravi patologie rare, grazie ai medici e alla sperimentazione animale utilizzata per i farmaci che è costretta ad assumere ogni giorno da quando è nata.
Caterina Simonsen, questo il nome ormai famoso della ragazza, è diventata
simbolo della lotta per il diritto di cura, ma anche sprono e vanto per la ricerca scientifica italiana, c
he chiede di poter continuare ad utilizzare tutti i mezzi disponibili per lo studio delle cure di gravi malattie.
Grazie alla sua forza e alla sua disarmante testimonianza video, questa giovane che sogna di laurearsi in veterinaria e di studiare un giorno i metodi alternativi alla sperimentazione, ha messo gli animalisti di fronte alle loro enormi ipocrisie. Raccontando una sua giornata-tipo passata tra farmaci e terapie, suo malgrado costantemente chiusa tra le quattro mura di casa, Caterina, anche se non lo fa direttamente, sembra chiedere a chi la contesta e che è arrivato ad augurarle ogni male: “voi cosa fareste al mio posto? Vi lascereste morire?”.
Una testimonianza vera e così pertinente (da studentessa Caterina è consapevole di tutto l'iter necessario all'approvazione di un qualsiasi farmaco – sperimentazione compresa) forse era quello che serviva per uscire dai “se” e dai “ma”, per confrontarsi con la dura e tragica realtà di chi soffre davvero, qui e ora, e non ha tempo da perdere dietro a costruzioni filosofiche e sociali eticamente corrette nei confronti degli amici animali. Al di là del ragionevole dubbio sulla coerenza di chi si dice contrario alla sperimentazione sugli animali (non è infatti per nulla verosimile che nessuno di loro si sia mai curato un raffreddore, non si sia mai sottoposto ad un vaccino, non abbia mai avuto bisogno di un antibiotico o di un antidolorifico), è mai possibile una vera opposizione a questo genere di farmaci salvavita? Cosa farebbero loro nei panni di Caterina? Qualora accettassero la morte anche per una banale infezione per solidarietà ai topolini da laboratorio, si sono mai chiesti cosa farebbero se si trattasse dei loro figli?
Che farebbe per esempio la Brambilla, che si scaglia con particolare veemenza contro tutto ciò che comporta lo sfruttamento animale, sempre che non rientri in una delle attività delle aziende di famiglia? Fu lei a rispondere “non posso rifiutarmi di vendere pesce” a chi le faceva notare questa enorme macchia nel suo ricco curriculum da passionaria animalista.
Nell'universo di valori dell'ex ministro Brambilla la mera motivazione del profitto personale forse supera il diritto alla salute e quello della dignità umana? Proprio lei ha fatto di tutto, e sembra ci sia riuscita, per portare in aula norme sulla sperimentazione animale ben più restrittive rispetto a quelle imposte dall'UE, con un testo, che dalla battaglia su Green Hill in poi ha dilatato esageratamente i tempi per il recepimento della Direttiva comunitaria, già mediata con tutti i soggetti coinvolti (animalisti compresi), esponendoci al rischio multe milionarie dall'UE.
S
e l'Italia si conformasse all'ideologia di Brambilla e soci non faremmo altro che costringere i nostri bravi ricercatori (già penalizzati dagli esigui fondi concessi dallo Stato)
a emigrare all'estero, dovunque possano lavorare e continuare i propri lunghi e complicati studi. Come l'italianissimo
Pierpaolo Pandolfi, al vertice del Cancer center dell'Università di Harvard, l'olimpo delle università di tutto il mondo, che su un articolo di Repubblica poco fa
ha spiegato gli enormi risultati raggiunti grazie alle cavie da laboratorio. Risultati impensabili solo pochi anni fa come quella di aver reso, per la prima volta, una grave forma di leucemia 100% curabile con l'uso di farmaci mirati. “Il merito è loro” dice al giornalista mostrando i topolini del centro diagnostico del Mouse hospital, che lui stesso ha inventato. Letteralmente un ospedale intero dedicato ai topi. Ovviamente le malattie sono indotte, e sono quelle degli uomini. Qui tac, risonanze ed ecografi sono minuscoli. Tutto è a misura di topo. I topini hanno geni umani e grazie allo studio di come si sviluppano nei loro piccoli corpi i geni responsabili dei tumori (molto ma molto più velocemente che nell'organismo di un uomo),
Pandolfi ha messo a punto dei farmaci speciali che “aggiustano” le cellule malate. Un passo che permetterà di salvare vite umane, di adulti e bambini.
Ora qualcuno chieda alla Brambilla, che in Parlamento a ottobre 2013 è stata eletta Presidente della Commissione Bicamerale sull'Infanzia (e a quanto ci risulta è l'unico importante incarico che ricopre in Parlamento),
chi salverebbe fra un bambino malato di cancro, visto che è deputata alla loro tutela,
e un topolino di quelli gestiti da Pier Paolo Pandolfi ad Harvard.