Nonostante il calo degli appassionati, la caccia fa girare una bella fetta di economia in Europa. Ogni cacciatore spende in media 2400 euro l'anno per attrezzature, abbigliamento e permessi. Il che significa che tutti insieme, i 6,7 milioni di cacciatori europei sono una forza economica stimata in 16 miliardi di euro.
Sono alcuni dei dati usciti dalla conferenza “Il Valore Economico della Caccia nell’UE”, organizzata a settembre 2016 dalla FACE a Bruxelles insieme all'Intergruppo Biodiversità, Caccia e Ruralità. Nel dettaglio, lo scorso anno i cacciatori francesi hanno speso 3,6 miliardi, mentre quelli italiani 3,2, con un totale di 43 mila posti di lavoro (in Francia sono 25.800). Il settore della caccia in Europa offre 102.581 posti di lavoro. Nel Regno Unito, un recente studio ha rilevato che la caccia contribuisce all'economia britannica per 2,5 miliardi di sterline (equivalenti a 3.2 miliardi di euro) ma anche che annualmente vengono spesi qualcosa come 295 milioni di euro per le varie iniziative di conservazione e protezione ambientale, grazie agli introiti della caccia. Tali attività di conservazione comprendono qualcosa di difficilmente quantificabile in termini monetari, ovvero 3,9 milioni di giornate di lavoro volontario, pari a 16.000 posti di lavoro a tempo pieno.
Nelle slide presentate da Michl Ebner, presidente della FACE, si fa presente che uno studio condotto in Irlanda ha dimostrato che i cacciatori contribuiscono all'economia nazionale per 111,6 milioni di euro, di cui l'80–90% speso nelle zone rurali. Attraverso la loro confederazione nazionale, i cacciatori greci finanziano invece l'attività delle 400 guardie ambientali, il che vuol dire una spesa di 7 milioni di euro l'anno.
A questi straordinari valori positivi si aggiunge un altro grande dato, che aiuta le economie dei paesi: il lavoro volontario. Il lavoro dei cacciatori, non stipendiato, ai fini protezionistici, si riassume in alcune attività ben precise: gestione della fauna selvatica; controllo delle specie aliene, manutenzione delle foreste; conservazione e ripristino degli habitat; conservazione dei corridoi naturali; creazione e mantenimento degli habitat, creazione e manutenzione di recinzioni, siepi, stagni, l'alimentazione in inverno dei selvatici in difficoltà e le attività di rimboschimento. In Europa la Face stima che i cacciatori si occupano della gestione e della manutenzione di 2,9 milioni di ettari, ovvero il 65% degli habitat cruciali per la fauna selvatica.
Le direttive Ue considerano la caccia come un servizio per gli ecosistemi e per le zone rurali, ed è esplicito il riferimento al contributo positivo dell'attività venatoria anche e soprattutto a difesa delle specie cacciabili. Un concetto che la maggior parte dei cacciatori comprende al volo, ben conoscendo quel senso di responsabilità che implica che per avere carnieri ottimali bisogna garantire al bosco e agli altri ambienti (aree umide, praterie) le condizioni per poter rinnovare le proprie risorse. Al di fuori di questo mondo invece rimane poco più che una storiella da imbonitori. Il cacciatore spara, punto.
Quantificare come e cosa fanno i cacciatori sembra impossibile, ma una risposta potrà arrivare dalla stessa Commissione Ue che sta effettuando la mappatura e la valutazione dei cosiddetti servizi ecosistemici, il che potrà, ce lo auguriamo, dare un valore anche a quelli dei cacciatori. In tal senso la Face ha chiesto il riconoscimento ufficiale della caccia tra questi “servizi”, che comprendono, tra le altre cose anche l'attività sociale e culturale dei cacciatori, che tengono in vita molte comunità rurali altrimenti abbandonate da un mondo che corre verso un progresso cieco e sfrenato. In questo senso quindi offre anche occasioni di sviluppo economico assolutamente ecosostenibile in direzioni chiave come la distribuzione di carne di selvaggina e la conservazione di paesaggi naturali (la caccia sostenibile rientra nella strategia di difesa della biodiversità) e culturali da tramandare.
Cinzia Funcis
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