Nel novembre del 1989, fece scalpore la vibrata protesta di Rossana Rossanda, passionaria del Manifesto, che contestò la presenza (probabilmente condita anche con qualcos’altro) di Raul Gardini, l’”inquinatore”, al congresso nazionale di Lega Ambiente di Siena, dove si parlò del futuro della chimica in Italia. Ermete Realacci, Renata Ingrao, Chicco Testa (oggi convinto nuclearista), allora al vertice dell’associazione, invece, non batterono ciglio. Apparve comunque chiaro che in questi movimenti cosiddetti ambientalisti, c’era qualcosa di contraddittorio. Da una parte si diceva di tutelare l’ambiente, dall’altra si strizzava l’occhio a chi quell’ambiente stava aggredendo senza mediazione alcuna.
Del resto non era la prima volta che incongruenze del genere si affacciavano sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Purtroppo. Si scoprì per esempio che il vicepresidente mondiale del WWF, Luc Hoffman, era il padrone della Hoffman LaRoche, responsabile della tragedia dell’Icmesa (Seveso, 1976: 200 bambini colpiti da cloracne, migliaia di animali morti, un’intera popolazione a rischio avvelenamento). Un altro Vicepresidente si rese responsabile del disastro chimico di Bophal, in India (2200 persone morte in poco tempo, migliaia avvelenate). Una contiguità pericolosa fra mondo dell’alta finanza, grande industria, affaristi. Tutti benemeriti del WWF. Chissà perché.
Chissà perché, la Fiat, in quegli anni, concedeva la dolce Susanna (Agnelli) quale presidente del sodalizio italiano, e nello stesso tempo otteneva di poter battezzare una sua utilitaria, ancora oggi in produzione, col nome della sua mascotte. Chissà perché, in quegli anni, il presidente dell’Unione Petrolifera, Theodoli, anche in incontri ufficiali, sfoggiava la cravatta col Panda. Che c’azzecca il petrolio con la difesa della natura? Mah. Chimica, petrolio, interessi mastodontici, all’ombra dell’orsetto bianco e nero, che peraltro non fanno dimenticare le piccole e meno piccole marachelle di qualche leader ambientalista nostrano.
Fondi, intrecci e coperture politico-affaristiche, che hanno consentito alle principali associazioni ambientaliste italiane di consolidare il loro potere, purtroppo a spese nostre e di tutti i contribuenti. Non è infatti con i proventi delle tessere che queste associazioni gestiscono le loro attività, ma grazie ai contributi di non meglio identificati filantropi e a preziosi finanziamenti dello Stato e degli enti pubblici. Due terzi del bilancio del WWF Italia, ad esempio, è costituito da finanziamenti e donazioni che provengono da enti pubblici e da aziende.
Insomma, sarebbe l’ora che qualcuno ci mettesse un occhio, dentro l’immenso pentolone di queste associazioni che si stanno piano piano sostituendo alle congregazioni religiose. Un tempo, per salvarsi l’anima, i grandi peccatori finanziavano le parrocchie. Oggi, i grandi inquinatori, intesi in senso lato, privati o pubblici, singoli o associati che siano, per mettersi in pace con la propria coscienza, sostengono queste nuove chiese.
Un compitino, verrebbe in mente di affidare alle nostre associazioni venatorie, tradizionali e virtuali, strutturate e barricadiere, senza distinzione alcuna. Perché non prendere esempio da quel Wilfried Huismann, noto documentarista tedesco, che s’è andato a spulciare con la telecamera bilanci e attività del WWF e ha scoperto come poco ambientalista esso sia nella pratica?
Basterebbe, con poco, cominciare con l’incaricare un commercialista, giovane, di quelli precari, ma vispi, con tanta voglia di fare, o anziano, che nei prossimi mesi si troverà a fare i conti con il rilancio economico previsto da quest’ultima manovra che punta a equiparare al ribasso anche i redditi da pensione, incaricarlo dunque di andarsi a leggere presso la cancelleria del tribunale i bilanci di queste nostre associazioni ambientaliste e acquisire l’elenco di coloro che hanno contribuito a riempirne le casse. Stando a quanto ha dichiarato in televisione in questi giorni Stefano Leoni, presidente del WWF Italia, la ricerca non sarebbe infruttuosa.
E quindi, chissà, con poca spesa si potrebbe trovare il bandolo della matassa, e spiegarci come mai noi, cacciatori, l’anello più debole della catena, poveri tapini, siamo additati da costoro come i maggiori responsabili di una realtà faunistica e ambientale, che invece, per quanto ci compete, facciamo di tutto per rendere migliore.
Vito Rubini
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