E allora ci siamo. Dopo un paio di giorni o poco più di timida preapertura, consumiamo il vecchio rito. Dell'apertura ovviamente. Siamo in pista. Nelle nostre lande. Per i nostri boschi. Nelle paludi, nei campi assolati. Nei capanni ben infrascati alla posta di un merlo, o di un colombo o di una tortora di risulta. A scandagliare nella testa del cane, ma meglio ancora dai movimenti della coda (oggi ce l'hanno anche i Kurzhaar, i Breton, i Cocker...) se davanti c'è qualcosa. Un fagiano, una quaglia. Una starna?...Una...lepre???
Che bellezza questa varietà di caccia! Quanto impegno per goderne ancora, nella maniera più genuina. E nostante tutto, ce n'è ancora. Dobbiamo salvaguardarla. Diamoci da fare!
In verità, ci stiamo dando da fare. Ci siamo sempre dati da fare per difendere le nostre terre, le nostre tradizioni, il nostro patrimonio storico, culturale, ambientale. Il nostro patrimonio sociale. Che è fatto di amicizie, di condivisione, di solidarietà. Tutte qualità che oggi nella società contemporanea scarseggiano. Da noi, no. Fra di noi ce ne sono anche per gli altri. Basta affacciarsi - lo dico da sempre - ad una delle tante, ancora tantissime sagre e feste della caccia che popolano la nostra provincia. Da nord a sud, senza soluzione di continuità. Tipiche per le peculiarità dei territori. Nella fascia alpina si celebra il camoscio e il capriolo, nel lombardo-veneto la migratoria, i piccoli uccelli, come in Romagna, in Liguria ed anche in Toscana, in Umbria e nelle Marche, nel Lazio, il palombaccio. Il cinghiale ormai un po’ ovunque. Se fossimo in Cina, sarebbe comunque un’apoteosi dell’anno del cinghiale, tanti ne abbiamo.
E la tavola, la buona tavola. Un tripudio di piatti. Anche nuovi, proposti dalla cucina stellata. Anche moderni, per il brunch, per il panino tipo BigMac, secondo le nuove tendenze. Quelle che vanno fra i giovani, fra i frettolosi metropolitani. Perchè no, favorirle, in città, nelle paninerie, potrebbe essere un utile strumento per avvicinare alla caccia chi ci ignora. E attraverso questa breccia saporosa - “ha sapore, ha sapore...” ripeteva l’inconsapevole figlio della mendicante nel film “Baaria” di Tornatore - si potrebbe inoculare nelle menti di costoro il virus della curiosità per un mondo, il nostro, oggi estraneo alla dimensione globalizzante.
Eppure, questa esuberanza faunistica, non dimentichiamo cervi e caprioli, legioni di uccelli silvani, tordi in testa, dimostra che pur nella mancanza di equilibri, non tutto è perduto. E la caccia, i cacciatori, possono fare ancora la differenza. Come in realtà la stanno facendo da sempre. Prima di tutto nella consapevolezza che la natura non è quella che ci narrano nei salotti televisivi. è lo specchio della complessità. Il cerchio che ha inizio dal lombrico nel becco della beccaccia e si chiude nell’ingluvie del capovaccaio, attraverso infiniti intrecci, a noi ben noti, che fin da piccoli ne abbiamo masticato. Biodiversità, la chiamano oggi. Che altro non è se non quel caleidoscopio meraviglioso ai nostri occhi di eterni fanciulli, che lega lo scricciolo al popolo dei ragni, la pavoncella alla piccola fauna di larga, il gheppio allo scoiattolo, la cornacchia alle uova della fagiana, il lupo ai cinghialotti. Il moriglione ai ributti di quadrello.
E allora! Chi si dà da fare perchè il moriglione abbia a disposizione il suo ambiente? Chi, per la sua passione per il cinghiale, tiene puliti i sentieri nei boschi, nella macchia, fra gli infiniti intrighi del sottobosco mediterraneo? Chi si adopera per raccomandare agli agricoltori che si mantengano le vecchie pratiche della tradizione, per recuperare la starna, incrementare la presenza della lepre, affinchè si possano ripristinare zone per la permanenza di tortore e colombacci? Facciamolo sapere a chi decide per noi senza saperne. Di più. Organizziamoci anche meglio, facendo squadra se possibile, prima di tutto sul territorio sul quale viviamo, sul quale pratichiamo la caccia, per recuperare alla verità una massa di ignari e inconsapevoli che si fanno abbindolare dalla televisione.
La terra, la nostra terra, sta soffrendo. Lo sappiamo. è nostro dovere impegnarci per salvaguardarne il patrimonio naturale. Con la Federazione europea dei cacciatori anche noi abbiamo sottoscritto un appello (Biodiversity Manifesto) per gestire le aree naturali, che a queste latitudini, in Europa, non sono più da tempo terre selvagge, ma paesaggio modellato dall’uomo, dalle sue popolazioni, nel tempo, dagli agricoltori, e che adesso, causa anche sciagurate pratiche agricole, rischiamo di perdere. Tutti. La soluzione prospettata negli ultimi cinquant’anni dai parcomaniaci non ha dato frutti, anzi, ha consentito il saccheggio del nostro Belpaese. Non ci credete? I ridicoli consensi elettorali ai verdi (che in altre parti d’Europa hanno segnato anche recentemente incredibili successi) ne sono la più palese testimonianza. La protezione dell’ambiente, quindi, va ripensata. Il nostro approccio, di cacciatori, le nostre esperienze, la nostra passione possono essere determinanti. Nella ricerca, come nella pratica quotidiana, nella gestione corretta dei territori. Abbattendo le barriere fra le categorie, opponendoci ai compartimenti stagni. L’antica scienza della biodiversità c’insegna che facciamo tutti parte di un insieme e che nessuno può esimersi dal suo ruolo in questo progetto di tutela. L’interesse generale a salvaguardare la diversità delle infinite forme di vita in equilibrio fra loro è anche il nostro interesse di cacciatori. Far conoscere le nostre sensibilità e i nostri impegni green è per noi il più importante investimento a favore della caccia. E dunque, comunichiamo! Comunichiamo di più! Comunichiamolo bene! In tutti i modi! Con tutti i mezzi a disposizione!
Dai che ce la facciamo!
In bocca al lupo a tutti. Che la stagione prosegua in serenità!