Non sono un sociologo rurale e non possiedo certo gli elementi scientifici per dissertare adeguatamente sul difficile tema dei rapporti e delle differenze tra “cultura rurale” e “cultura urbana”, ma ritengo che la “cultura rurale” - a differenza della “cultura urbana” - essendosi basata e sviluppata da un modello di società prevalentemente agricolo, sia caratterizzata soprattutto dalla consapevolezza dei “valori” e delle “verità” più semplici e naturali sul corretto rapporto con l’ambiente, nonché sulla razionale utilizzazione delle sue risorse - animali compresi - senza false ipocrisie o concezioni “disneyane”.
Ciò implica la consapevolezza del fatto che anche la morte fa parte della vita (pure di noi uomini), che la vita di un uomo ha un valore “diverso” da quella di un animale (senza per questo che siano implicati aspetti religiosi o ci si possa arrogare il diritto di maltrattare gli animali), che esistono predatori e prede, animali selvatici e animali di allevamento, che c’è un tempo per nascere ed uno per morire, così come c’è un tempo per seminare ed uno per raccogliere.
Consapevolezza che nella vita degli uomini, così come del resto in natura, nulla è facile o dovuto e tutto è frutto di impegno, di fatica, di lotte, sacrifici ed anche di sofferenze, che sono poi le cose che - a noi uomini con il dono della ragione -dovrebbero far apprezzare il valore vero di ciò che si è riusciti ad ottenere in cambio.
Per questi motivi anche la caccia, così come altre attività, tradizioni, valori e culture, peraltro fortemente integrate tra loro, era un tempo – neanche troppo lontano – parte normale ed indiscussa di un modello di società agricolo - rurale dove nulla vi era di male nell’usufruire razionalmente delle risorse naturali, nel rispetto di poche e chiare regole dettate da Madre Natura prima ancora che dal Legislatore.
Purtroppo questo modello sociale è stato messo ad un certo punto in crisi, nel suo complesso, dall’affermarsi di un processo di sviluppo sempre più concentrato a livello urbano, dove questi valori e verità, tutte le consapevolezze prima elencate, tendono purtroppo a perdersi.
Ciò è accaduto ed accade nonostante le aree rurali restino maggioritarie sia in termini di diffusione territoriale sia di popolazione rispetto ai poli urbani, perché purtroppo non riescono più a “fare tendenza”, soverchiate dall’incredibile “peso” assunto dalla cultura cittadina, dalla sua pressante capacità di comunicazione, dai mass media che ci propinano sempre più le regole “urbane” del mondo del business, della finanza, della moda.
Mondi dove, in realtà, l’unica regola è che non ci sono regole, dove spesso la virtualità ha sostituito la realtà, dove tutti sono pronti a tutto pur di continuare a crescere, dove tutti vogliono una vita facile, dove le cose sono pretese, dove sono andate in crisi la famiglia e suoi valori, dove i giovani si rincoglioniscono in discoteca, dove di naturale non c’è più niente e ti puoi aspettare che sia la gazzella a sbranare il leone, alla faccia dei “valori” veri e della vera sostenibilità dello sviluppo.
Mondi dove si cerca di non pensare e di non parlare della morte, dove si preferisce “ignorare” queste verità, nascondendosi nell’illusione di una immortalità da conquistare con trucchi appropriati, siano essi cosmetici o futuribili manipolazioni genetiche che richiedono il superamento di un limite che – almeno a mio avviso – l’uomo non dovrebbe mai superare. Con il risultato di non saper dare più valore alla vita, soprattutto a quella umana, e quindi violenza e morte vengono spesso dispensate in modo assurdamente gratuito.
Mondi che per crearsi un alibi e mettersi a posto la coscienza hanno partorito prima l’ambientalismo e poi l’animalismo, fallimentari parchi e oasi mentre tutto il resto del territorio viene sacrificato senza riguardi.
Mondi dove sembrerebbe non esserci più spazio per ciò che è naturale, compresa la caccia.
Uso il condizionale perché credo e spero si possa davvero fare qualcosa per recuperare.
Il punto è quello di favorire un processo di ritorno dell’opinione pubblica italiana alla consapevolezza dell’importanza reale di mantenere vivi e vitali – pur in un contesto ambientale e socioeconomico profondamente cambiato – i valori fondanti della nostra storia e della nostra natura di uomini come parte integrante di un sistema di regole naturali che, volenti o nolenti, possiamo anche non comprendere in tutte le loro complesse sfumature, possiamo anche a livello personale non condividere, ma che tutti dobbiamo accettare e rispettare.
E qui sta la vera sfida del mondo venatorio italiano: riavvicinare la caccia all’opinione pubblica rendendo visibile la sua vera essenza, il suo vero volto, con la sua vera veste e con le sue vere funzioni, cancellando la coltre di preconcetti, falsità e strumentalizzazioni di cui è stata vittima sino ad oggi, dimostrandone invece la dignità, l’utilità ambientale, sociale ed economica.
Dimostrare che la caccia non rappresenta affatto un “tabù” o una “vergogna”, ma piuttosto una risorsa, una opportunità per l’ambiente e per la collettività, e che essere cacciatori vuol dire anche lavorare concretamente per un ambiente migliore, per essere tra la gente, per la gente, per essere tutti cittadini migliori.
Per raggiungere questo obiettivo bisogna però affrontare la questione in modo indiretto, in termini più generali, tornando a far riconoscere ed accettare la caccia come parte integrante di quel mix di valori, culture e tradizioni, che non sono “residuati” di un passato che non può più tornare, ma che restano i pilastri fondanti anche di un presente e, soprattutto, di un futuro che tutti vorremmo migliore.
Io credo che - per altro - questo processo di ritorno ad una maggiore consapevolezza ed attenzione ai temi legati ai veri problemi posti dall’attuale modello sociale di sviluppo sia già in atto. Dobbiamo sfruttarlo, cavalcarlo assicurandogli una giusta regia, una guida.
Lo dimostrano, a mio avviso, tanti segnali che ultimamente si sono colti al riguardo: a parte gli sfegatati animalisti ed anticaccia ed i falsi sondaggi che spacciano, la maggioranza dell’opinione pubblica ha più volte già dimostrato - non certo di comprendere - ma di saper ricollocare i termini della “questione caccia” nella loro reale dimensione rispetto ai veri problemi del Paese, dove economia, occupazione, sanità, sicurezza ambientale ed alimentare, ecc., rappresentano le vere priorità e sfide della nostra società.
Nella definizione di questo nuovo modello di sviluppo, basato sulla valorizzazione della ruralità e delle sue espressioni culturali e tradizionali, il mondo venatorio deve svolgere un ruolo da protagonista, utilizzando proprio questi argomenti nella sua comunicazione con la società e non lasciandoli diventare, come già successe in passato, patrimonio esclusivo del mondo ambientalista.
Parte del mondo ambientalista, infatti, tende sempre a strumentalizzarli a suo favore, aggiungendo immotivatamente anche la caccia alla lista dei “cattivi” da combattere.
Ma io credo che tutto questo da soli, anche in una ottimistica e quasi utopistica prospettiva di unità del mondo venatorio, non si possa fare. L’esperienza ce lo insegna: molto si è tentato di fare ma poco si è ottenuto.
Occorre sancire vere e strategiche alleanze mirate.
Sia benvenuto, quindi, il neo coordinamento per la difesa della cultura rurale, ma ancora io credo ciò non sia sufficiente.
Le alleanze devono avere delle priorità e dei soggetti privilegiati con cui svilupparsi.
Abbiamo - prima di tutto - la necessità di rafforzare e ufficializzare un percorso (già invero avviato) ma in modo molto più pragmatico e operativo con chi più di tutti incarna la cultura rurale che vogliamo difendere (e con essa l’ambiente, la fauna, la flora, l’agricoltura e il territorio): il mondo agricolo.
Mondo agricolo che, tra l’altro, può offrirci anche un riferimento per le azioni da impostare al fine della rilegittimazione della caccia. Il mondo agricolo, infatti, è da anni particolarmente attento e molto attivo in termini di iniziative concrete sul territorio e di comunicazione esterna, su molteplici tematiche di carattere ambientale e sociale che, pur essendo strettamente correlate alle esigenze tecnico-economiche delle imprese che rappresenta, sono di grandissimo interesse anche per tutta la società.
Che fare allora, in concreto, subito.
Dobbiamo inserirci nel circuito virtuoso che il mondo agricolo ha già attivato proponendoci come nuovi partner attivi e collegati ai temi di interesse collettivo, assolutamente evitando che i loro unici alleati continuino ad essere le rappresentanze organizzate del mondo ambientalista. Dobbiamo, dove possibile, collegarci alle iniziative che già vengono realizzate e soprattutto proporne di nuove e più specifiche sui temi della gestione del territorio e della collaborazione agricoltori/cacciatori.
Sono convinto che così facendo risolveremmo anche il cronico problema dell’accesso ai mezzi di informazione e quindi della difficoltà di comunicazione esterna che da sempre ci assilla e caratterizza. Avremmo, infatti, assicurata una adeguata visibilità - che oggi è quanto mai necessaria - perché fare senza comunicare e rendere visibile quello che si è fatto equivale a non fare niente. E questo ce lo insegna proprio la cultura urbana che vogliamo combattere.
Quanto agli argomenti e le iniziative da proporre le idee non ci mancano, ma questa è tutta un’altra storia. Personalmente sono anni che sostengo tali necessità e qualcosa ho anche cercato di realizzare in proposito con alterne fortune.
Credo sia ora che a muoversi in questa direzione sia tutto il mondo venatorio.
So che molti cacciatori - tutti grandi appassionati come me - sono più orientati a pretendere subito questi riconoscimenti, ma a loro rivolgo l’invito a riflettere sul fatto che quello che per noi è già giusto e scontato oggi, è da far divenire giusto e scontato per tutti. Allora avremo vinto.